martedì 31 ottobre 2017

Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri sono di nuovo indagati come possibili mandanti delle stragi mafiose del 1993


Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri sono di nuovo indagati come possibili mandanti delle stragi mafiose del 1993 a Firenze, Roma e Milano. La procura di Firenze ha chiesto e ottenuto dal giudice delle indagini preliminari la riapertura del fascicolo (archiviato per due volte) dopo aver ricevuto da Palermo le intercettazioni dei colloqui in carcere dell’ex boss mafioso Giuseppe Graviano. Le intercettazioni (di cui sui giornali di oggi si possono leggere alcune parti) sono state fatte nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta presunta e mai dimostrata “trattativa Stato-mafia“. Graviano ha 54 anni ed è in prigione da quando ne aveva 30 assieme a suo fratello Filippo, per il ruolo avuto nelle stragi ordinate da Cosa Nostra nei primi anni Novanta.

Già in passato Berlusconi era stato indagato per sospetti legami dalle procure di Firenze e Caltanissetta, ma la sua posizione era stata archiviata. In particolare nel 2009 era stato tirato in ballo da un ex collaboratore dei Graviano, Gaspare Spatuzza, e accusato di essere stato in contatto con Cosa Nostra nei primi anni Novanta. Le accuse però non portarono a nulla.

Fonte: Il Post

Carles Puigdemont dice che non è in Belgio per chiedere asilo politico

Il presidente catalano destituito dice che vuole "portare la crisi all'attenzione dell'Europa" e accetterà il risultato del voto anticipato


Carles Puigdemont, presidente della Catalogna destituito dal suo incarico dal governo spagnolo, ha tenuto una conferenza stampa a Bruxelles, nella quale ha detto che il suo governo continuerà a lavorare come un governo legittimo, nonostante sia stato destituito dopo l’applicazione dell’articolo 155 della costituzione spagnola da parte del governo spagnolo, e quindi sia in sostanza oggi privo di poteri. Puigdemont è a Bruxelles da ieri insieme ad alcuni ex ministri catalani (cinque o sette, a seconda delle fonti), probabilmente per sfuggire a un eventuale mandato di arresto nei suoi confronti.

Puigdemont ha detto che «parte del governo catalano si è spostata indefinitamente a Bruxelles per portare all’attenzione la crisi catalana nel cuore dell’Europa e la politicizzazione della giustizia spagnola». Ha smentito che lui e gli altri ministri siano in Belgio per chiedere asilo politico, come era stato ipotizzato ieri da alcuni giornali spagnoli, e ha spiegato che parte del governo è rimasta a Barcellona, dove continuerà a svolgere i suoi incarichi nonostante siano stati sospesi dal governo centrale spagnolo. Puigdemont ha detto che non tornerà in Spagna finché non riceverà «garanzie» dal governo. Il governo catalano destituito, ha detto Puigdemont, continuerà a lavorare perché sia impossibile per il PP, il PSOE e Ciudadanos smantellare il progetto di indipendenza catalana.

Leggi anche: La Repubblica catalana non è mai nata

Puigdemont ha anche detto che accetterà le elezioni anticipate del prossimo 21 dicembre convocate dal governo spagnolo, che applicando l’articolo 155 della costituzione spagnola ha sciolto il Parlamento catalano, e che gli indipendentisti rispetteranno il risultato delle elezioni, chiedendo al governo spagnolo se farà lo stesso.

Secondo Puigdemont gli indipendentisti «hanno teso fino all’ultimo momento la mano» al dialogo. Ha incolpato il Partito Popolare e il Partito Socialista – secondo cui invece Puigdemont ha organizzato un referendum illegale, sulla base di quanto decise il Tribunale costituzionale – di aver reagito soltanto con la repressione, insistendo sul fatto che le decisioni del governo catalano siano state dettate dalla volontà di evitare la violenza, perché è questo il modo in cui il governo ha deciso di fondare la Repubblica catalana. Parlando della denuncia contro i membri del governo spagnolo fatta dal procuratore generale spagnolo alla Audencia Nacional, ha detto che «persegue un’idea, non un reato», e che è stata dettata dalla voglia di «vendetta, non di giustizia».

Ieri è stato il primo giorno lavorativo dell’autoproclamata Repubblica catalana, che però di fatto non si è svolto: Puigdemont e altri importanti ministri, attesi a Barcellona, sono andati in segreto a Bruxelles, e il Parlamento, sciolto dal governo spagnolo, non si è riunito. L’opinione degli osservatori internazionali, quindi, è che la Repubblica catalana non sia di fatto mai nata. Il procuratore generale spagnolo José Manuel Maza ha presentato due diverse denunce, contro i membri dell’ex governo catalano e contro alcuni funzionari e capigruppo del parlamento, per aver proclamato l’indipendenza. Le accuse sono di ribellione, sedizione, malversazione e altri reati, e sono state presentate alla Corte Suprema spagnola e alla Audiencia Nacional. Maza ha chiesto che siano valutate misure di custodia cautelare nei confronti degli accusati.

Oggi intanto il Tribunale costituzionale spagnola ha sospeso in via cautelare la dichiarazione d’indipendenza catalana, approvata venerdì scorso dal parlamento di Barcellona, come richiesto dal governo spagnolo. Il Tribunale costituzionale ha diffidato gli alti funzionari del parlamento dall’attuare qualsiasi iniziativa volta ad applicare l’indipendenza.

Fonte: Il Post

lunedì 30 ottobre 2017

Due grosse notizie su Trump e la Russia

Un suo ex consigliere si è dichiarato colpevole e ha raccontato cose molto significative; l'ex capo del suo comitato elettorale è stato incriminato e si è consegnato alle autorità

Donald Trump, Paul Manafort e Ivanka Trump durante la convention del Partito Repubblicano del luglio 2016 a Cleveland. (Chip Somodevilla/Getty Images)

Ci sono due grosse notizie sull’indagine giudiziaria che riguarda le interferenze russe nel corso delle ultime elezioni americane, la presunta collaborazione tra il governo russo e il comitato elettorale di Donald Trump e i presunti tentativi di Donald Trump di ostacolare la suddetta indagine.

La prima notizia è che un ex consigliere di Trump, George Papadopolous, è stato arrestato a fine luglio, si è dichiarato colpevole di falsa testimonianza all’FBI, ha ammesso di aver incontrato esponenti del governo russo in campagna elettorale per parlare di come danneggiare Hillary Clinton e sta collaborando con l’indagine. La seconda notizia è che Paul Manafort, ex capo del comitato elettorale di Donald Trump, e il suo ex socio Rick Gates sono stati incriminati e si sono consegnati alle autorità federali statunitensi. Manafort e Gates, che hanno collaborato informalmente con Trump fino a poco tempo fa, sono stati incriminati per cospirazione contro gli Stati Uniti, riciclaggio di denaro, frode fiscale, violazione delle leggi sulle lobby e falsa testimonianza.

George Papadopolous, ex consulente di Trump per la politica estera, si è dichiarato colpevole per aver mentito all’FBI sull’interferenza della Russia e sta collaborando con le indagini; lo stesso Papadopolous inoltre ha raccontato di aver incontrato esponenti del governo russo durante la campagna elettorale e che sapeva che questi avevano migliaia di email di Hillary Clinton (presumibilmente le stesse poi diffuse da Wikileaks) già ad aprile del 2016, molto prima che gli attacchi informatici diventassero pubblici. Papadopolous aggiornò diversi altri membri del comitato Trump sui suoi contatti con i russi.

A questo punto Papadopolous è la seconda persona vicina a Trump – la prima è suo figlio Donald Jr. – che sappiamo con certezza aver incontrato rappresentanti del governo russo in campagna elettorale per discutere di come i russi possedessero materiale potenzialmente dannoso per Hillary Clinton. Durante la campagna elettorale Donald Trump chiese pubblicamente alla Russia di hackerare la posta elettronica di Hillary Clinton per trovare le email che aveva cancellato quando era segretario di Stato; Papadopolous ha mentito all’FBI lo stesso giorno in cui Trump disse all’ex capo dell’FBI – James Comey, che poi licenziò – che voleva la sua fedeltà.

Riguardo la seconda notizia, secondo i documenti che motivano l’incriminazione di Manafort e Gates, “Manafort ha usato una fortuna nascosta oltreoceano per mantenere uno stile di vita di lusso negli Stati Uniti, senza pagare tasse su quel reddito. […] A questo scopo sia Manafort che Gates hanno mentito ripetutamente al fisco”. I fatti riguardano un periodo che va dal 2006 fino “almeno” al 2016. L’abitazione di Manafort era stata perquisita alla fine dello scorso luglio, e da allora Manafort era considerato la persona messa peggio dal punto di vista legale tra quelle più vicine a Donald Trump. Manafort è stato capo del comitato elettorale di Donald Trump da marzo ad agosto del 2016; fu licenziato quando emersero sui giornali i primi indizi sui suoi lunghi e intricati rapporti con imprenditori russi e ucraini molto vicini a Vladimir Putin, compresa una consulenza da 12 milioni di dollari per Viktor Yanukovych, l’ex presidente dell’Ucraina molto filo-russo.

Il presidente Donald Trump ha reagito con due tweet in cui dice che le accuse su Manafort si riferiscono a molti anni fa (non è vero, come abbiamo visto), che i procuratori dovrebbero occuparsi della collaborazione tra Hillary Clinton e la Russia (un’accusa senza prove) e che comunque le accuse contro Manafort non riguardano la presunta collaborazione tra il suo comitato e la Russia; le accuse contro Papadopoulos però suggeriscono il contrario, e comunque la notizia di oggi è il punto di partenza della fase più importante dell’indagine, non quello finale.

L’indagine è condotta dal procuratore speciale Robert Mueller, nominato dopo il licenziamento del capo dell’FBI James Comey, che ha poteri molto ampi: potrebbe perseguire anche reati non immediatamente collegati al caso Russia, se indagando sul caso Russia dovesse imbattersi in qualcosa di illegale.

Fonte: Il Post

Carles Puigdemont è andato in Belgio

È lì con altri membri del governo catalano destituito, dicono i giornali spagnoli: potrebbe essere un tentativo di evitare il loro possibile arresto

(David Ramos/Getty Images)

Secondo i principali giornali spagnoli e catalani l’ex presidente della Catalogna Carles Puigdemont, destituito dai suoi poteri dal governo spagnolo dopo la dichiarazione d’indipendenza catalana, è a Bruxelles, in Belgio. Proprio oggi il procuratore generale spagnolo José Manuel Maza lo aveva denunciato insieme agli altri membri del governo catalano all’Audiencia Nacional, un’alta corte spagnola, per aver dichiarato l’indipendenza della Catalogna.

Insieme a Puigdemont, secondo i giornali spagnoli sarebbero in Belgio altri cinque ex ministri del governo catalano, anche loro destituiti la scorsa settimana: insieme vorrebbero chiedere asilo politico, ha scritto El Periodico. Sembra comunque improbabile che venga concesso l’asilo territoriale, come è definito più propriamente la forma di asilo in vigore tra i paesi dell’Unione Europea, visto che la Spagna non è considerato uno stato in cui i diritti civili sono in pericolo. Anche se il Belgio dovesse decidere che il caso dei politici catalani rientra tra quelli che possono prevedere la concessione di asilo, difficilmente la concederà, vista la crisi diplomatica con la Spagna che potrebbe provocare.

Puigdemont è accusato di ribellione, sedizione, malversazione e altri reati. Maza ha chiesto che siano valutate eventuali misure cautelari, ma per ora non l’arresto. Secondo l’agenzia EFE sono insieme a Puigdemont i ministri: Meritxell Borràs, ex ministra per l’Amministrazione pubblica, Toni Comín, ex ministro della Salute, Joaquim Forn, ex ministro dell’Interno, Dolors Bassa, ex ministra del Lavoro, e Meritxell Serret, ex ministra dell’Agricoltura. Il viaggio di Puigdemont non era previsto: oggi i giornalisti si aspettavano che comparisse al Palau della Generalitat di Barcellona, la sede del governo catalano. I ministri e Puigdemont avrebbero viaggiato in auto fino a Marsiglia, e da lì avrebbero preso un volo per Bruxelles.

I giornali spagnoli scrivono che Puigdemont e gli ex ministri sono andati in Belgio perché sapevano che oggi sarebbe arrivata la denuncia da parte del procuratore generale spagnolo, e che sarebbe stata probabilmente seguita da un mandato d’arresto nei loro confronti. In Belgio infatti, ha spiegato El Diario, c’è uno dei sistemi giudiziari più garantisti d’Europa, che prevede che una persona interessata da un mandato d’arresto emesso da un paese dell’Unione Europea possa fare appello a un tribunale locale perché valuti il merito della richiesta d’arresto. Inoltre, Puigdemont secondo El Diario avrebbe scelto il Belgio anche per ragioni politiche: uno dei partiti di governo è l’Alleanza neo-fiamminga, che chiede l’indipendenza delle Fiandre ed è solidale con la causa catalana. Theo Francken, un membro del partito e sottosegretario del governo, nei giorni scorsi aveva chiesto che il Belgio garantisse asilo politico a Puigdemont. Altri osservatori spagnoli scrivono che quello di Puigdemont potrebbe essere un tentativo di rendere di portata internazionale la crisi catalana, una strategia che il governo destituito sta provando a portare avanti da giorni.

La notizia del viaggio di Puigdemont e dei ministri a Bruxelles è stata data tra gli altri da El Pais, dalla Vanguardia, da El Periodico e da El Confidencial, che hanno citato fonti vicine al governo catalano o al Partito Democratico Europeo Catalano, il partito di Puigdemont. Non c’è ancora stata una conferma ufficiale, ma alcune dichiarazioni la hanno di fatto confermata: il coordinatore generale del Partito Popolare ha detto che il viaggio di Puigdemont è stato dettato dalla «disperazione», e il portavoce del primo ministro belga ha detto a Le Soir di non voler commentare le ragioni della visita del presidente catalano.

In molti hanno definito il viaggio di Puigdemont a Bruxelles «l’esilio belga del governo catalano», e hanno osservato che la scelta sembra essere una accettazione dell’applicazione dell’articolo 155 della costituzione spagnola, che ha di fatto sospeso l’autogoverno della Catalogna, e della conseguente dissoluzione del governo catalano.

Le denunce di Maza sono state presentate alla Corte Suprema spagnola e alla Audiencia Nacional. La denuncia presentata alla Audiencia Nacional è rivolta contro i membri del governo catalano ora destituito, mentre quella presentata alla Corte Suprema è rivolta contro alcuni rappresentanti del Parlamento catalano.

Intanto, lunedì sono arrivati altri sviluppi riguardo alle elezioni anticipate che sono state convocate dal governo spagnolo per il prossimo 21 dicembre, in risposta alla dichiarazione d’indipendenza approvata dal parlamento catalano venerdì scorso: il PDeCAT, il partito di centrodestra di Puigdemont, ed Esquerra Republicana (ERC), di sinistra, hanno detto che si presenteranno alle elezioni. I partiti che vogliono presentarsi devono infatti comunicarlo entro il 6 novembre, ma circolavano molte incognite su cosa avrebbero deciso: partecipare alle elezioni convocate da Rajoy significherebbe ammettere implicitamente che l’autoproclamata Repubblica catalana è finita prima ancora di iniziare; rimanerne fuori vorrebbe dire però perdere la possibilità di contare qualcosa. La CUP, il partito indipendentista di sinistra radicale che faceva parte della coalizione di governo, aveva già detto di voler ignorare le elezioni, non presentandosi.

Fonte: Il Post

domenica 29 ottobre 2017

L’esercito birmano ha stuprato centinaia di bambine rohingya

Lo riporta Medici Senza Frontiere, che nelle sue cliniche porta assistenza alle vittime di abusi sessuali, alcune delle quali hanno raccontato le loro terribili storie

Credit: Soe Zeya

Secondo Medici Senza Frontiere il 50 per cento delle ragazze rohingya minori di 18 anni fuggite in Bangladesh ha subito violenze sessuali sul territorio birmano.

In Bangladesh si sono rifugiati complessivamente 600mila rohingya, in fuga dalle persecuzioni dell’esercito della Birmania.

I rohingya sono una minoranza musulmana che conta circa un milione di persone perseguitate e discriminate da anni, che vive in prevalenza nella regione settentrionale della Birmania.

Vicino al campo profughi di Kutupalong nel distretto di Cox’s Bazar, Medici Senza Frontiere gestisce due cliniche che offrono cure sanitarie di base e di emergenza per i rifugiati rohingya.

All’interno delle cliniche gli operatori umanitari di MSF assistono psicologicamente e fisicamente le ragazze e bambine rohingya vittime di violenza sessuale.

“Il 50 per cento delle ragazze assistite è minorenne e molte di loro hanno meno 10 anni” ha spiegato un’operatrice dell’organizzazione.

Come ha riportato The Guardian, le ragazze presenti ora nelle cliniche sono solo una piccola parte delle bambine violentate durante le operazioni militari messe in atto dalle forze birmane.

“Molte donne e bambine non si fanno curare perché si vergognano di raccontare ciò che hanno subito. La scorsa settimana è arrivata una bambina di 9 anni violentata dai militari ” ha spiegato Aerlyn Pfeil, un medico presente nel campo profughi di Kutupalong.

“Alcune hanno solo 12 o 13 anni. Un caso recente riguarda una bambina che è stata violentata da 3 soldati”.

Una ragazza di 27 anni ha raccontato che, dopo la morte del marito e della madre durante le operazioni militari contro la minoranza musulmana, i soldati birmani hanno violentato la sorella di 14 anni.

“I soldati hanno messo gli uomini da una parte e le donne dall’altra per poi selezionare quelle che volevano prendere. Ho pianto quando ho visto mia sorella portata via ma non potevo fare niente”.

“Le donne venivano portate in una giungla per essere violentate. Poi i loro corpi venivano lasciati lì. Quando sono andata a cercare mia sorella l’ho trovata distesa e non capivo se fosse viva o morta”.

Il medico di MSF Aerlyn Pfeil ha spiegato che una delle richieste che viene effettuata dalle bambine vittime di violenza è quella di avere abiti nuovi. Quando arrivano, infatti, spesso hanno ancora addosso i vestiti di quando sono state stuprate.

Fonte: The Post Internazionale

Somalia: due autobombe a Mogadiscio, almeno 17 morti

Il bilancio è di almeno 17 vittime e diversi feriti. L'attentato è stato rivendicato dal gruppo estremista al-Shabaab


Due esplosioni hanno avuto luogo il 28 ottobre nel centro di Mogadiscio, in Somalia, ad appena due settimane da un grande attentato nella stessa città in cui sono rimaste uccise oltre 350 persone.

L’attentato è stato rivendicato dal gruppo estremista islamico al-Shabaab.

Il bilancio è di almeno 17 vittime e diversi feriti.

Due autobombe kamikaze a Mogadiscio

La prima delle due esplosioni è stata causata da un furgone che si è abbattuto contro l’hotel Nasahablod Two mentre la seconda, avvenuta poco dopo, ha colpito la zona nei dintorni del parlamento.

Secondo quanto riferito a Reuters dal sindaco di Mogadiscio, Abdullahi Aden, uomini armati appartenenti al gruppo estremista al-Shabaab hanno fatto irruzione nell’hotel dopo l’esplosione.

La struttura ricettiva colpita si trova a poche centinaia di metri dal palazzo presidenziale.

Nell’attentato sono rimasti uccisi anche il capo del distretto della polizia e un deputato locali.

L’attentato del 14 ottobre scorso era stato definito “la peggiore strage di sempre” a Mogadiscio.

Fonte: The Post Internazionale

venerdì 27 ottobre 2017

Il Parlamento catalano ha dichiarato l’indipendenza

Intanto il Senato spagnolo ha approvato le misure per applicare in Catalogna l'articolo 155 della Costituzione

(PAU BARRENA/AFP/Getty Images)

Il Parlamento catalano ha approvato una proposta presentata dalla maggioranza parlamentare indipendentista per iniziare un processo costituente che porti alla creazione di una Repubblica catalana indipendente. Di fatto, ha dichiarato la Catalogna indipendente, anche se formalmente la mozione riguarda le conseguenze di una eventuale dichiarazione (un modo arzigogolato per evitare guai legali). Alcuni dei partiti catalani non indipendentisti – il PP (Partito Popolare), il PSC (Partito socialista catalano) e Ciudadanos – sono usciti dall’aula al momento del voto perché hanno ritenuto la proposta illegale.

Poco dopo il Senato spagnolo ha approvato le misure relative all’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione, quello che consente allo stato di obbligare una Comunità autonoma (come la Catalogna) a rispettare la legge. Tra le misure approvate, c’è la rimozione di tutti i membri del governo catalano dal loro incarico e la riduzione dei poteri del Parlamento. Le misure dovranno essere approvate ora dal Consiglio dei ministri spagnolo: succederà oggi o domani mattina.

La procura generale spagnola aveva fatto sapere che in caso di dichiarazione d’indipendenza il presidente catalano Carles Puigdemont e altri membri del governo e del Parlamento sarebbero stati accusati di “ribellione”, un reato che prevede fino a 30 anni di carcere.

Fonte: Il Post

giovedì 26 ottobre 2017

Il Senato ha approvato il Rosatellum

La nuova legge elettorale è stata approvata definitivamente: hanno votato a favore tutti i partiti della maggioranza, più Forza Italia e Lega Nord

(ANSA/GIUSEPPE LAMI)

Oggi il Senato ha definitivamente approvato il Rosatellum che è diventato ufficialmente la nuova legge elettorale. Il voto è passato con 214 voti a favore, mentre 61 senatori hanno votato No. Hanno votato Sì alla legge i partiti della maggioranza PD e Alternativa-Popolare, oltre a Forza Italia Lega Nord e ALA-Scelta Civica, il gruppo del senatore Denis Verdini. Hanno votato contro Movimento 5 Stelle, Articolo 1-MDP e Sinistra Italia-Possibile.

Il Rosatellum ha introdotto nel nostro paese un sistema elettorale misto proporzionale maggioritario. Circa un terzo dei seggi tra Camera e Senato sarà eletto in scontri diretti all’interno di collegi uninominali. I due terzi rimanenti saranno invece eletti con un sistema proporzionale. Non sarà possibile il voto disgiunto: significa che si potrà quindi votare soltanto il candidato al collegio uninominale e una delle liste che lo appoggiano (se viene barrata la casella di un candidato al collegio uninominale e la casella di una lista diversa da quelle che lo appoggiano, il voto sarà annullato). Qui trovate una spiegazione completa del funzionamento della legge.

Ieri il Senato aveva approvato 5 articoli della legge con voto di fiducia, un espediente tecnico che è servito a rendere più rapide le procedure di approvazione. Alle votazioni con la fiducia non hanno partecipato Forza Italia e Lega Nord, che sono favorevoli alla legge, ma sono all’opposizione del governo. I senatori dei due partiti, però, sono usciti dall’aula, abbassando così il numero di voti necessari a far passare la legge e aiutando così la maggioranza a far passare i voti di fiducia. In alcune votazione è stato determinante l’appoggio di ALA-Scelta Civica, un gruppo esterno alla maggioranza di governo, ma che ha sempre votato a suo favore. Per protestare contro l’uso della fiducia il Movimento 5 Stelle ha organizzato una manifestazione di protesta davanti al Pantheon a cui hanno partecipato decine di persone.

Il Rosatellum è accusato dal Movimento 5 Stelle di essere pensato per ostacolarli, poiché prevede collegi uninominali (dove vanno bene i candidati forti e conosciuti sul territorio, di cui il Movimento non dispone in gran numero) e perché incentiva le coalizioni, che il Movimento 5 Stelle non vuole fare. La legge è anche criticata perché non prevede le preferenze, cioè non si potrà scegliere il nome del parlamentare a cui destinare il proprio voto. Sulla scheda, però, saranno presenti i nomi di tutti i candidati che riceveranno il voto degli elettori (saranno dai tre ai cinque nomi, uno per il collegio nominale e fino a quattro nel listino proporzionale). All’epoca della vecchia legge elettorale, il cosiddetto “Porcellum”, sulla scheda non erano presenti i nomi dei candidati.

La legge è stata anche molto criticata perché è stata approvata tramite voto di fiducia, sia alla Camera che al Senato. Porre la questione di fiducia su una legge elettorale è considerato un gesto politicamente inopportuno, anche se formalmente non ci sono leggi o regole che lo impediscono. Il principio che lo sconsiglia è che la sorte di un governo non dovrebbe essere legata a una materia di competenza tipicamente parlamentare come la legge elettorale. In passato, lo strumento della fiducia è stato usato altre due volte per approvare una legge elettorale nazionale. La prima, dalla Democrazia Cristiana nel 1953; la seconda dal governo Renzi per approvare l’Italicum. Un altro comportamento ritenuto scorretto è quello di approvare una legge elettorale senza coinvolgere nessuna parte dell’opposizione, poiché così facendo la legge approvata potrebbe essere scritta proprio per sfavorire gli avversari che non sono in maggioranza: ma anche questo è già capitato in passato.

Fonte: Il Post

In Catalogna non ci saranno elezioni anticipate

Lo ha annunciato il presidente catalano Carles Puigdemont, dopo una giornata piena di colpi di scena: rimane aperta la possibilità di una dichiarazione d'indipendenza


Il presidente catalano Carles Puigdemont ha annunciato oggi che non scioglierà il Parlamento catalano e non convocherà elezioni anticipate, diversamente da quanto fatto trapelare questa mattina. Puigdemont ha detto di avere provato tutte le vie possibili per trovare un accordo con il governo spagnolo: in particolare cercava garanzie che il governo di Mariano Rajoy rinunciasse, in caso di elezioni anticipate, all’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione, cioè quell’articolo che permette allo stato spagnolo di costringere una comunità autonoma (come la Catalogna) a rispettare la legge.

La decisione è stata presa dopo giorni intensi di riunioni tra il partito di Puigdemont (Partito democratico europeo, PDeCAT), il suo principale alleato, Esquerra Republicana (ERC), e altri gruppi indipendentisti catalani, tra cui la CUP, partito marxista e indipendentista che appoggia il governo Puigdemont. Una prima dichiarazione istituzionale di Puigdemont era stata prevista per le 13.30 di oggi, è stata poi rimandata di un’ora, prima di essere sospesa: fino a quel momento giornalisti e politici catalani davano per certo che Puigdemont avrebbe convocato elezioni anticipate. Poi qualcosa è cambiato ed è stata riconvocata una conferenza stampa per le 17, durante la quale Puigdemont ha annunciato la sua rinuncia all’opzione delle elezioni. Questo significa che rimane aperta la possibilità che il Parlamento catalano, a maggioranza indipendentista, approvi una dichiarazione di indipendenza durante la seduta che inizierà oggi alle 18 e finirà domani.

Fonte: Il Post

mercoledì 25 ottobre 2017

Al Senato il governo ha messo la fiducia sulla legge elettorale


Il governo ha messo la fiducia al Senato sull’approvazione della nuova legge elettorale, il cosiddetto “Rosatellum“. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro, ha detto che il governo pone la questione di fiducia su cinque votazioni. Poco prima, il Senato aveva respinto le pregiudiziali di incostituzionalità, il primo passo che porta alla discussione in aula. La legge elettorale dovrebbe essere approvata definitivamente dal Senato nei prossimi giorni. La Camera aveva già approvato il Rosatellum lo scorso 12 ottobre. In caso di approvazione anche da parte del Senato, la legge entrerà in vigore.

Fonte: Il Post

Dal 2019 si andrà in pensione a 67 anni?

L'ISTAT ha confermato l'aumento dell'aspettativa di vita, il governo ha detto che si adeguerà alla riforma Fornero, che prevede un aumento dell'età legale di pensionamento

(ANSA/MASSIMO PERCOSSI)

L’ISTAT ha confermato ieri che per gli italiani che hanno 65 anni l’aspettativa di vita è cresciuta di cinque mesi rispetto al 2013. La principale conseguenze di questa stima è che dal primo gennaio 2019 l’età di pensione legale, cioè l’età a cui si andrà in pensione se non saranno soddisfatti prima altri requisiti, salirà a 67 anni rispetto agli attuali 66 anni e 7 mesi. Salirà anche l’età prevista per la pensione anticipata, quella che si può ottenere a qualsiasi età a condizione di aver versato un certo numero di anni di contributi. Questo aumento è frutto di tre fattori: la riforma Fornero, che impone un adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita, le stime delle ISTAT e infine la decisione del governo di non intervenire per bloccare l’aumento dell’età pensionabile.

Nel corso dell’estate si era parlato molto della possibilità di sospendere l’aumento dell’età pensionabile. A chiederlo erano stati soprattutto i sindacati (che sono composti in gran parte da pensionati) e diversi esponenti di quasi tutte le forze politiche, come i membri della commissione Lavoro Cesare Damiano, del PD, e Maurizio Sacconi, di Forza Italia. All’inizio il governo sembrava incline ad assecondare le richieste, ma alla fine dello scorso settembre una serie di indiscrezioni filtrate dal ministero dell’Economia e da quello del Lavoro avevano lasciato intendere che il governo non aveva le risorse sufficienti a bloccare l’aumento. Sia il presidente dell’INPS Tito Boeri che la Ragioneria generale dello Stato avevano avvertito il governo che la sospensione dell’aumento dell’età pensionabile avrebbe messo seriamente a rischio la tenuta dei conti pubblici nei prossimi anni.

La riforma delle pensioni Fornero, approvata nel 2011, prevede che l’età di pensione legale venga aumentata semi-automaticamente al crescere delle aspettative di vita, una norma pensata per mantenere sostenibile il sistema pensionistico sul lungo periodo. La riforma prevede che l’età pensionabile venga aumentata a partire dal 2019 con un provvedimento del governo, in mancanza del quale l’età aumenterà automaticamente a partire dal 2021. Secondo i giornali, il governo approverà il provvedimento per aumentare l’età pensionabile entro la fine dell’anno. Oltre all’età di pensione legale, quella a cui tutti possono andare in pensione, aumenterà anche l’età per la pensione anticipata, quella che si può ottenere a qualunque età a patto di aver versato contributi per un certo numero di anni. Attualmente, gli uomini possono andare in pensione anticipata dopo aver versato 42 anni e 10 mesi di contributi, mentre le donne dopo averne versati per 41 anni e 10 mesi. Con l’approvazione dell’aumento dell’età pensionabile, gli uomini potranno andare in pensione dopo 43 anni e tre mesi, mentre le donne dopo 42 anni e 3 mesi.

L’Italia si conferma così uno dei paesi sviluppati con la più alta età di pensionamento legale. Questo non significa che gli italiani siano quelli che vanno in pensione più tardi. Le molte eccezioni alla regola generale previste dalla legislazione italiana, come ad esempio la pensione anticipata, fanno sì che l’età di pensionamento effettiva sia in realtà tra le più basse al mondo. Ad esempio, molte persone che si trovano oggi vicino all’età pensionabile hanno iniziato a lavorare tra i 16 e i 18 anni. Questo significa che, grazie alla pensione anticipata, possono ritirarsi dal lavoro anche prima dei 60 anni. Negli ultimi anni gli italiani sono andati in pensione in media a 62 anni, cioè due anni prima della media europea.

Fonte: Il Post

Trump riapre ai rifugiati ma restano esclusi 11 paesi e i controlli saranno più severi

Il nuovo testo, che sostituisce il bando varato quattro mesi fa e scaduto alla mezzanotte del 25 ottobre, introduce misure più dure per quanto riguarda i controlli sulla vita privata dei nuovi arrivati

Credit: Afp

Il presidente Donald Trump ha varato un nuovo ordine volto a regolare l’ingresso dei rifugiati negli Stati Uniti.

L’ordine sostituisce il bando, varato quattro mesi fa e scaduto alla mezzanotte di martedì, che vietava l’ingresso negli Stati Uniti ai cittadini di Somalia, Corea del Nord, Ciad, Yemen, Libia, Iran, Siria e Venezuela e che era già stato in parte bloccato dai magistrati.

Le nuove misure introducono criteri di selezione più severi rispetto al passato: saranno raccolte più informazioni sulle vite dei nuovi arrivati e delle loro famiglie e controllate in anticipo alcune delle loro abitudini, dall’utilizzo dei social network alle frequentazioni.

Sono inoltre previste verifiche particolarmente attente per quanto riguarda i cittadini provenienti da 11 paesi, riconosciuti come “ad alto rischio” ma non ancora identificati con chiarezza dalla Casa Bianca.

L’ammissione dei rifugiati sul suolo statunitense sarà vincolata ai giudizi degli ufficiali federali, chiamati a decidere sull’interesse nazionale dei loro arrivi.

Tali introduzioni, che potrebbero allungare di anni i controlli necessari per dare il via libera agli ingressi, sono state difese dai funzionari statunitensi, in quanto volte a garantire maggiore sicurezza ai cittadini statunitensi.

Secondo l’agenzia di stampa Reuters, rappresentanti di gruppi che tutelano i diritti dei rifugiati hanno criticato le misure più severe e in particolare il nuovo bando alle persone provenienti dagli 11 paesi considerati più a rischio, definito “non necessario”.

Sono inoltre previste verifiche particolarmente attente per quanto riguarda i cittadini provenienti da 11 paesi, riconosciuti come “ad alto rischio” ma non ancora identificati con chiarezza dalla Casa Bianca.

Il taglio alle ammissioni di rifugiati negli Stati Uniti è stato uno dei temi più discussi da Donald Trump nel corso della campagna elettorale per le presidenziali del 2016.

Una delle misure più discusse introdotte dalla sua amministrazione è stata il bando all’ingresso negli Usa dei cittadini provenienti da alcuni paesi a maggioranza musulmana (Iran, Libia, Somalia, Sudan e Yemen), esteso poi anche a Ciad, Corea del Nord e Venezuela, più volte bloccato dai giudici statunitensi.

Fonte: The Post Internazionale

martedì 24 ottobre 2017

Gli adesivi antisemiti con Anna Frank fatti dalla tifoseria organizzata della Lazio

Sono stati trovati nella curva sud dello Stadio Olimpico, quella che di solito ospita la tifoseria organizzata della Roma

(Twitter di Ruth Dureghello)

La tifoseria organizzata della Lazio ha riempito di adesivi antisemiti la curva sud dello Stadio Olimpico di Roma, dove era stata ammessa per il posticipo della nona giornata di Serie A contro il Cagliari — giocato domenica alle 20.45 — dopo la squalifica della curva nord in seguito ai cori razzisti dei tifosi contro un giocatore del Sassuolo nella partita di campionato disputata lo scorso 1 ottobre. La Lazio condivide lo Stadio Olimpico con la Roma e solitamente la sua tifoseria organizzata sta nella curva nord, mentre quella della Roma nella curva sud: gli adesivi antisemiti sono stati incollati proprio per offendere i tifosi della Roma. Sia tra gli ultras della Lazio che tra quelli della Roma è diffuso l’antisemitismo.

Tra gli adesivi trovati in curva sud ce n’è uno con la faccia di Anna Frank, l’autrice del famoso diario morta nel campo di concentramento di Bergen-Belsen a 15 anni, con indosso una maglia della Roma. Gli stessi adesivi erano già stati attaccati in giro per Roma nel 2013.

(ANSA)

Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma, ha diffuso su Twitter una fotografia degli adesivi presa dall’account Instagram di un tifoso della Lazio. Dureghello ha scritto: «Fuori gli antisemiti dagli stadi». In serata la FIGC ha aperto un’inchiesta sugli adesivi.

Fonte: Il Post

Un ricercatore iraniano dell’università di Novara è stato condannato a morte a Teheran

Ahmadreza Djalali, in carcere a Teheran dal 25 aprile 2016, è stato condannato alla pena capitale per spionaggio


Ahmadreza Djalali, ricercatore iraniano di 45 anni, esperto di Medicina dei disastri e assistenza umanitaria presso l’Università del Piemonte Orientale di Novara – e in carcere in Iran dal 25 aprile 2016 – è stato condannato a morte.

La notizia è stata diramata dalla moglie di Djalali e, in seguito, è stata confermata dalla Farnesina. Il ministro degli Esteri, Angelino Alfano ha ribadito che l’Italia continuerà “a sensibilizzare gli iraniani su questo caso fino all’ultimo” come ha già fatto “a livello diplomatico con il nostro ambasciatore e a livello politico come Farnesina”.

Djalali è stato arrestato in Iran il 25 aprile 2016, dove si trovava per prendere parte a dei seminari sulla Medicina dei disastri. Detenuto nella prigione di Evin, nella capitale Teheran, è stato condannato a morte con l’accusa di spionaggio. In due precedenti occasioni si era recato in Iran senza conseguenze.

Ad avergli creato problemi potrebbe essere stato il fatto di aver firmato articoli specialistici con ricercatori sauditi o di avere insegnato con professori israeliani nello stesso master e aver partecipato, ancora con un esperto israeliano, a un progetto dell’Unione europea sulla gestione di emergenze radiologiche, chimiche e nucleari.

In carcere ha condotto tre scioperi della fame, e uno delle sete, per affermare la propria innocenza. Le sue condizioni di salute sembrano esser peggiorate velocemente.

Il processo si è svolto in modo molto lento e i giudici, dopo avere ricusato i difensori di Djalali, hanno impiegato solo due udienze per giungere al verdetto.

Tra gli strenui difensori del ricercatore, oltre ai suoi colleghi dell’università del Piemonte orientale di Novara e la Conferenza dei rettori universitari italiani (Crui) anche Amnesty International che ha lanciato una campagna per la sua liberazione.

Fonte: The Post Internazionale

Trump ha messo in preallerta i bombardieri nucleari B-52

Si tratta della prima decisione di questo tipo dal 1991, poco dopo la fine della Guerra fredda. Secondo il capo di stato maggiore dell'Aeronautica non ci sarebbero legami con la crisi nordcoreana


Il presidente statunitense Donald Trump ha allertato i bombardieri nucleari B-52 per essere pronti ad agire entro 24 ore in caso di necessità.

Gli aerei militari, armati con testate nucleari, saranno dispiegati sulle piste di una base dell’Air Force in Louisiana, pronti a entrare in azione immediatamente.

I bombardieri – con un’autonomia fino a 14mila chilometri – sono in stato di preallerta, questo vuol dire che sono posizionati su piazzole di cemento alla fine della pista della base di Barksdale, nel nord-ovest della Louisiana, pronti al decollo.

L’ordine di alzare il livello di allerta deve giungere dal comandante delle forze strategiche, il generale John Hyten, responsabile delle forze nucleari, o dal comandante del comando nord degli Stati Uniti, Lori Robinson, responsabile della difesa del territorio statunitense.

Una decisione simile non veniva presa dal 1991, pochi anni dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine della Guerra fredda.

La notizia, non ancora confermata dal Pentagono, è stata diffusa da David Goldfein, capo di stato maggiore dell’Aeronautica Usa, nel corso di un suo intervento a Fox News.

Per Goldfein “si tratta di un ulteriore passo in avanti per arrivare preparati in caso di necessità”. L’ufficiale ha detto di considerare la decisione non direttamente legata alla crisi con la Corea del Nord, bensì una misura necessaria per affrontare la realtà dell’attuale situazione globale.

Nonostante questo, sono in molti a collegare l’allerta dei bombardieri B-52 alle tensioni sempre più forti con il regime di Pyongyang.

Nel suo primo discorso alle Nazioni Unite, il presidente Usa non aveva escluso una soluzione militare: “Se gli Stati Uniti saranno minacciati, non avremo altra scelta che distruggere totalmente la Corea del Nord”, aveva detto Trump.

All’inizio del mese aveva affermato che “soltanto una cosa funzionerà” con la Corea del Nord, avvicinando ulteriormente la possibilità di un conflitto dopo il fallimento dei tentativi di dialogo avviati dai suoi predecessori allo Studio Ovale.

Pochi giorni fa il giornale australiano Sydney Morning Herald ha diffuso i contenuti di una lettera firmata dalla Commissione esteri del parlamento nordcoreano indirizzata a vari parlamenti del mondo.

Nel testo la politica del presidente statunitense è definita “il culmine del pensiero americano per il quale il proprio benessere arriva prima di quello del resto del mondo”, mentre gli alleati di Washington sarebbero “senza principi, di vedute ristrette ed egoisti” e l’attuale amministrazione alla Casa Bianca “impegnata nel trascinare il mondo in un orribile disastro nucleare”.

Fonte: The Post Internazionale

lunedì 23 ottobre 2017

In Lombardia e Veneto ha vinto il sì nel referendum sull’autonomia

Il sì in Veneto ha raggiunto quota 98,1 per cento, mentre in Lombardia, dopo il 60 per cento dei voti scrutinati, l'affermazione dei favorevoli a una maggiore autonomia si attesta attorno al 95,64 per cento

Bandiere del Veneto durante una manifestazione a Venezia

In Lombardia e Veneto si sono tenute ieri, domenica 22 ottobre, le votazioni su due distinti referendum regionali in cui si chiede maggiore autonomia per le rispettive regioni.

In Veneto il quorum del 50 per cento+1, già superato alle 19, è stato ampiamente accolto dal 57,2 per cento. In Lombardia l’affluenza è stata più bassa, il dato provvisorio è del 37 per cento, dove però il quorum non era stato fissato.

Il sì in Veneto ha raggiunto quota 98,1 per cento, mentre in Lombardia, dopo il 60 per cento dei voti scrutinati, l’affermazione dei favorevoli a una maggiore autonomia si attesta attorno al 95,64 per cento, contro il 3,61 per cento che si è detto contrario al quesito referendario e lo 0,75 per cento che ha votato scheda bianca.

Lo scrutinio elettronico, che doveva essere l’elemento più rivoluzionario dell’intera consultazione è stato più lento di quello cartaceo.

Una nota delle 8.51 di Lombardia notizie, l’organismo che diffonde le notizie per conto della regione, in una nota delle 8.51 ammette: “Si stanno completando le operazioni di scrutinio nelle 9224 sezioni. Si sono registrate alcune criticità tecniche nella fase di riversamento dei dati delle rimanenti Voting Machine. Pertanto i risultati completi potranno essere resi noti nella giornata di oggi lunedì 23 ottobre, ad operazioni concluse”.

“Noi chiediamo tutte le 23 materie, e i nove decimi delle tasse”, ha detto il presidente del Veneto, Luca Zaia, parlando del “contratto” che il Veneto presenterà al governo per chiedere maggiore autonomia, dopo il referendum.

Fonte: The Post Internazionale

Il parlamento catalano si riunirà per rispondere a Rajoy

Il parlamento catalano si riunirà in plenaria giovedì per preparare la risposta all'applicazione dell'articolo 155 annunciata da Madrid

Credit: Afp

Il parlamento catalano si riunirà in assemblea plenaria giovedì 26 ottobre per pianificare una risposta istituzionale all’annuncio di Mariano Rajoy di volere imporre l’articolo 155 della Costituzione e interrompere l’autonomia della Catalogna.

Nelle intenzioni dei gruppi parlamentari, il confronto in aula dovrebbe durare un paio di giorni prima della votazione con cui Carles Puigdemont, presidente della Generalitat de Catalunya, potrebbe dichiarare l’indipendenza unilaterale della regione.

L’annuncio è arrivato dopo un incontro dei capigruppo del parlamento catalano che si è svolto nella mattinata del 23 ottobre.

Secondo il portavoce di Puigdemont, Jordi Turull, la settimana appena iniziata sarà quella in cui “saranno prese delle decisioni. Non fare nulla non rientra nei nostri piani”.

Puigdemont, che dovrebbe essere estromesso dalla sua posizione nei prossimi giorni, ha giurato che continuerà a combattere per l’indipendenza della Catalogna che, in base a quanto stabilito dai suoi alleati, potrebbe essere dichiarata entro la settimana.

La settimana si profila piena di incognite dopo l’annuncio di sabato di Rajoy di voler sospendere le autorità locali catalane applicando l’articolo 155 della Costituzione spagnola.

Rajoy ha inoltre annunciato l’estromissione dell’amministrazione Puigdemont dalla guida della Catalogna, le cui funzioni passeranno al governo centrale fino alle nuove elezioni nella regione.

Venerdì il Senato spagnolo voterà sulle proposte presentate pochi giorni fa da Mariano Rajoy.

Il presidente catalano ha definito la mossa di Madrid “il peggior attacco alle istituzioni catalane dai tempi della dittatura di Franco” e ha accusato il governo centrale di aver “sbattuto la porta” davanti alla sua richiesta di dialogo per superare il momento di grave crisi, il peggiore dal ritorno della democrazia avvenuto 40 anni fa.

Secondo il procuratore generale spagnolo, Jose Manuel Maza, Carles Puigdemont rischierebbe fino a 30 anni di carcere nel caso in cui decidesse di dichiarare ufficialmente l’indipendenza della Catalogna.

La prima dichiarazione, firmata il 10 ottobre scorso da Puigdemont a seguito dei risultati favorevoli alla secessione nel referendum del 1 ottobre, era stata immediatamente sospesa per un periodo di due mesi in modo tale da avviare un confronto con Madrid.

Fonte: The Post Internazionale

sabato 21 ottobre 2017

Egitto, almeno 50 poliziotti sono morti in uno scontro a fuoco con i terroristi di Hasm

Un convoglio delle forze di polizia è caduto in un'imboscata tesa nella parte occidentale del paese, vicino all’oasi di Bahariya. Secondo fonti del ministero dell’Interno egiziano sono deceduti 52 poliziotti

AFP PHOTO / KHALED DESOUKI

Oltre 50 poliziotti sono morti in Egitto durante uno scontro a fuoco con gruppi terroristici armati. Un convoglio delle forze di polizia è caduto in un’imboscata tesa dai terroristi di Hasm nella parte occidentale del paese, vicino all’oasi di Bahariya, nota come il deserto bianco.

Secondo fonti del ministero dell’Interno egiziano citate da Al Jazeera, sono deceduti 52 poliziotti e altri 32 sono rimasti feriti. Lo scontro a fuoco è avvenuto con i terroristi del gruppo Hasm nella nel governatorato di Giza.

La stessa fonte rivela che la maggior parte delle vittime sarebbero ufficiali.

La sparatoria si è scatenata quando le forze di sicurezza hanno cercato di scovare i terroristi in un loro nascondiglio. Ma secondo alcune fonti locali, sembrerebbe che i terroristi fossero stati informati sui movimenti degli agenti ed abbiano preparato con cura l’imboscata.

I mezzi delle forze di polizia si trovavano in un punto dove la strada è circondata da piccole alture e questo – secondo alcune ricostruzioni – avrebbe favorito il tiro.

A rivendicare l’attacco è stato il gruppo di terroristi islamici Hasm. In un comunicato diffuso su internet – e in contrasto con i dati diffuso dal ministero dell’Interno egiziano – la formazione considerata dal governo vicina alla Fratellanza musulmana ha dichiarato che il numero degli ufficiali morti è 56 e altri 32 sono rimasti feriti.

Hasm sostiene che “i mujahedin sono rientrati alle loro basi indenni e senza alcuna perdita”. “Nell’attacco è stato usato ogni tipo di arma”, si legge nel comunicato. Probabile che abbiano impiegato mitragliatrici leggere, lanciarazzi RPG e persino mortai.

Dopo la deposizione del presidente Mohamed Morsi, sostenuto dai Fratelli musulmani, in Egitto sono nati molti piccoli gruppi terroristi di matrice islamica, che hanno compiuto decine di attentati contro militari ed agenti di polizia.

Fonte: The Post Internazionale

Spagna, il governo applica l’articolo 155 e commissaria la Catalogna

"Tornare alla legalità, recuperare la normalità e la convivenza, continuare con la ripresa economica e andare a nuove elezioni in Catalogna", sono gli obiettivi dell'art.155 illustrati da Rajoy

Credit: AFP PHOTO / POOL / Juan Carlos Hidalgo

Il governo spagnolo si è riunito per due ore in un Consiglio dei ministri straordinario convocato dal premier Mariano Rajoy.

Alla presenza di tutti i ministri del suo governo, Mariano Rajoy ha annunciato la decisione di applicare, per la prima volta nella storia della Spagna, l’articolo 155 della costituzione.

Le decisioni del Consiglio dei ministri sono state annunciate dallo stesso Rajoy in una conferenza stampa. “Non era nostro desiderio ma nessun governo può accettare che la legge venga violata”, ha detto il premier.

“Questo è stato un processo totalmente unilaterale e contrario alla legge per imporre al governo spagnolo di accettare il referendum sull’indipendenza” ha spiegato Rajoy. “Per tutti questi motivi il governo ha dovuto applicare l’articolo 155 della Costituzione, non era il nostro desiderio e non era la nostra volontà. Non era mai successo”.

“Tornare alla legalità, recuperare la normalità e la convivenza, continuare con la ripresa economica e andare a nuove elezioni in Catalogna”, sono gli obiettivi dell’art.155 illustrati da Rajoy.

La prima misura di applicazione dell’articolo riguarda il raggiungimento delle elezioni in Catalogna. “Il presidente del governo potrà sciogliere il Parlamento e convocare le elezioni”. Per questo il governo spagnolo ha deciso di sospendere il presidente della Generalitat, il vicepresidente e tutti i consiglieri.

Queste le misure che saranno chieste al Senato:
  • Lo scioglimento del Parlamento catalano che agirà soltanto per il disbrigo delle pratiche ordinarie fino a nuove elezioni;
  • La rimozione del President Carles Puigdemont, del suo vice e dei suoi consiglieri.
Per il governo spagnolo, il presidente Puigdemont, si è reso responsabile di una “disobbedienza ribelle, sistematica e consapevole” degli obblighi previsti dalla legge e dalla Costituzione e ha “gravemente attentato” all’interesse generale dello stato.

Lo affermano le motivazioni della richiesta di attivazione dell’articolo 155 all’esame della riunione straordinaria del Consiglio dei ministri a Madrid.

“Le misure annunciate sono un colpo di stato contro il popolo catalano”, questa la reazione del partito del presidente catalano Puigdemont.

Fonte: The Post Internazionale

venerdì 20 ottobre 2017

Ogni settimana 12mila bambini rohingya fuggono dalla Birmania, secondo l’Unicef

Il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia ha chiesto alla comunità internazionale di intervenire a sostegno dei minori rohingya perseguitati in Birmania

Una famiglia rohingya nella terra di nessuno al confine tra la Birmania e il Bangladesh. Credit: Afp 

L’Unicef, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, ha lanciato l’allarme sulla situazione dei minori appartenenti alla minoranza musulmana rohingya presente al confine tra Bangladesh e Birmania. Secondo l’Onu infatti, sono almeno 12mila ogni settimana i bambini costretti a fuggire dalle violenze dell’esercito e dei nazionalisti birmani.

L’Unicef sostiene inoltre come siano almeno 320mila i bambini rohingya a essersi rifugiati in Bangladesh dalla Birmania dalla fine di agosto. Soltanto negli ultimi giorni sono 10mila i minori che hanno attraversato la frontiera tra i due paesi asiatici.

Questi bambini sono a rischio di contrarre malattie e di subire abusi di ogni tipo. “Molti piccoli rifugiati rohingya hanno assistito ad atrocità in Birmania che nessun bambino dovrebbe vedere”, ha detto Anthony Lake, direttore esecutivo dell’Unicef.

L’Unicef ha sottolineato la situazione disperata in cui si trovano i minori oggetto di questa vera e propria crisi umanitaria. “Questi bambini hanno urgente bisogno di cibo, acqua potabile, igiene e vaccinazioni per essere protetti dalle malattie che prosperano in situazioni di emergenza”, ha aggiunto Lake.

“Hanno bisogno di aiuto per superare tutto ciò che hanno sopportato, hanno bisogno di istruzione e di speranza”.

Secondo il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, i bambini ospitati nei campi profughi in Bangladesh presentano segni di malnutrizione acuta.

In questi campi mancano i servizi essenziali per le partorienti e i neonati. “Questa crisi sta rubando ai bambini l’infanzia, ma non dobbiamo lasciare che gli rubi anche il futuro”.

Fonte: The Post Internazionale

Theresa May ha chiesto di velocizzare i negoziati per la Brexit

Alla prima giornata del Consiglio europeo, la prima ministra britannica ha chiesto ai propri colleghi di aprire la seconda fase dei negoziati per l'uscita del Regno Unito dall'Unione

Credit: Afp

A Bruxelles, durante la cena dei capi di stato e di governo europei a Bruxelles, la prima ministra britannica Theresa May ha invitato i leader presenti a superare lo stallo nei negoziati per la Brexit. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha però risposto che le trattative sono “un processo graduale” e che ci vorrà più di qualche settimana perché si concludano.

La premier May aveva chiesto al Consiglio europeo di aprire immediatamente la seconda fase dei negoziati, quella che prevede la discussione sulle relazioni future tra l’Unione e il Regno Unito.

Alla prima ministra britannica ha risposto la cancelliera tedesca Merkel, ribadendo come le trattative su questo punto non possano ancora essere aperte, nonostante i “progressi” fatti.

“Ci sono stati segnali molto chiari da parte britannica, ma non sufficienti per iniziare la seconda fase”, ha detto Merkel, sottolineando come il secondo capitolo delle trattative sarà “tanto complicato quanto il primo”.

La cancelliera ha poi riconosciuto al governo di Londra di aver fatto un passo avanti, in particolare sulla questione dei diritti dei cittadini europei che risiedono nel Regno Unito, ma ha notato come sulle regole finanziarie la prima ministra May non abbia offerto alcuna nuova soluzione.

Proprio nella prima giornata del vertice di Bruxelles, con una lettera aperta, la premier britannica si era infatti rivolta ai cittadini europei residenti nel Regno Unito per assicurare loro che potranno restare nel paese anche in seguito alla Brexit.

Un’altra questione spinosa sul tavolo dei negoziati riguarda la situazione irlandese, senza un accordo infatti esiste il rischio di un ritorno dei controlli di confine tra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord.

Anche su questo tema è intervenuta la cancelliera Merkel, sostenendo come la priorità dell’Unione sia quella di scongiurare il riaccendersi degli scontri tra le diverse fazioni a Belfast.

“L’accordo del Venerdì santo deve essere salvaguardato”, ha concluso Merkel, citando il trattato di pace firmato a Belfast il 10 aprile 1998 tra il governo del Regno Unito e quello della Repubblica d’Irlanda.

L’accordo trovò l’approvazione della popolazione della regione britannica e di quella irlandese, come quello dalla maggior parte dei partiti politici dell’Irlanda del Nord, con la sola eccezione del partito Unionista Democratico (DUP), attuale alleato al parlamento britannico del partito conservatore di Theresa May.

Fonte: The Post Internazionale

giovedì 19 ottobre 2017

Un’autobomba in Afghanistan ha ucciso almeno 43 soldati


Il 19 ottobre in Afghanistan i talebani hanno attaccato una base militare, nella provincia meridionale di Kandahar, uccidendo almeno 43 soldati.

Secondo il ministro della Difesa erano presenti 60 soldati nel luogo in cui è avvenuto l’attentato.

Come riporta Reuters, 43 soldati sono stati uccisi e altri 9 sono rimasti feriti.

Qari Yousuf Ahmadi, portavoce locale del gruppo militante, ha dichiarato che si è trattato di un attacco suicida con un autobomba.

Secondo Qari Yousuf Ahmadi, durante l’attentato sono stati uccisi almeno 60 soldati talebani e molti altri sono rimasti feriti.

I talebani da 15 anni stanno tentando di rovesciare il governo di Kabul per stabilire nel paese un regime fondamentalista islamico.

Fonte: The Post Internazionale

La Spagna attiverà la sospensione dell’autonomia catalana sabato

Dopo la risposta del presidente catalano Puigdemont, il governo spagnolo ha annunciato che il 21 ottobre inizierà il procedimento per l'applicazione dell'articolo 155 della Costituzione spagnola 

Credit: Cesar Manso

Il governo spagnolo ha annunciato che convocherà un Consiglio dei ministri straordinario sabato 21 ottobre per attivare l’articolo 155 della Costituzione spagnola, che sospenderà l’autonomia catalana. Per applicare la norma è necessaria l’approvazione del Senato spagnolo.

Alle 10 di giovedì 19 ottobre è scaduto il secondo ultimatum di Madrid per il presidente della Generalitat catalana Carles Puigdemont, chiamato a fornire una risposta che chiarisca se lo scorso 10 ottobre ha effettuato la proclamazione dell’indipendenza.

Il presidente Puigdemont ha comunicato che il parlamento catalano avrebbe dichiarato l’indipendenza – annullando quindi la sospensione annunciata il 10 ottobre – se il governo di Madrid avesse “continuato la repressione”, attivando la procedura dell’articolo 155.

La decisione è stata votata ieri sera dal partito di Puigdemont, il PDeCat. Il premier spagnolo Rajoy ha risposto a questa eventualità, definendo questa scelta un “ricatto inaccettabile”.

Nel pomeriggio del 19 ottobre, Rajoy volerà a Bruxelles per partecipare al Consiglio europeo.

Sabato 21 ottobre è stata convocata una nuova protesta degli indipendentisti, dopo quella dello scorso 17 ottobre, per chiedere il rilascio dei due leader indipendentisti arrestati con l’accusa di sedizione, Jordi Sánchez e Jordi Cuixart.

Lo scorso primo ottobre, in un referendum dichiarato illegale dalla Corte costituzionale spagnola, i catalani si sono espressi in favore dell’indipendenza da Madrid.

Il 10 ottobre, il presidente catalano Carles Puigdemont, in un discorso di fronte al parlamento regionale, ha di fatto dato il via all’iter per l’indipendenza della regione autonoma dalla Spagna.

I popolari di Rajoy hanno sancito un accordo politico con i socialisti che, a fronte del sostegno all’articolo 155, hanno chiesto che venga riformata la costituzione nella parte in cui disciplina le autonomie regionali, e che si vada alle elezioni in Catalogna.

Fonte: The Post Internazionale

mercoledì 18 ottobre 2017

Cosa c’è da sapere sul referendum per l’autonomia in Lombardia e Veneto

Quando si vota? Cosa dice il quesito referendario? Se vince il sì cosa succede? Una serie di domande e risposte sul referendum regionale del 22 ottobre 2017

Bandiere del Veneto durante una manifestazione a Venezia

Il 22 ottobre i cittadini di Lombardia e Veneto saranno chiamati a votare per due distinti referendum regionali in cui si chiede maggiore autonomia per le rispettive regioni.

Si tratta di un referendum senza precedenti in Italia, e per questa ragione è necessario cercare di vederci più chiaro possibile.

COSA CHIEDE IL REFERENDUM

I due referendum gemelli di Lombardia e Veneto hanno un quesito estremamente simile nella forma e identico nella sostanza: si chiede ai cittadini se vogliono o meno che lo stato attribuisca ulteriori poteri alla loro regione di appartenenza.

Il quesito può apparentemente sembrare vago, ma si colloca in realtà nell’ambito dell’articolo 116 della Costituzione italiana, in cui si dice che particolari poteri possono essere attribuiti alle regioni italiane dallo stato (principalmente in materia di giustizia di pace, istruzione, beni culturali e ambiente) su richiesta di queste.

Il referendum chiede dunque di fatto che questo iter possa essere intrapreso.

I due referendum sono stati annunciati tra l’aprile e il maggio del 2017 dai governatori – entrambi appartenenti alla Lega Nord – di Lombardia e Veneto, Roberto Maroni e Luca Zaia.

COSA SUCCEDE SE VINCE IL SÌ

Il referendum è consultivo, e come tale in caso di vittoria del sì non ci sarà alcun effetto immediato, come succede invece nei referendum abrogativi e costituzionali.

Gli ultimi due referendum di carattere nazionale che hanno avuto luogo in Italia sono stati quello abrogativo sulle trivelle e quello costituzionale del 4 dicembre 2016: il primo non ha avuto effetto per il mancato quorum, il secondo invece ha visto la vittoria del no. Qualora però i referendum avessero visto una vittoria del sì, le modifiche proposte sarebbero immediatamente entrate in vigore.

Nel caso dei referendum per l’autonomia di Lombardia e Veneto, come abbiamo detto, non ci sarà alcune modifica automatica delle leggi.

I referendum consultivi, come dice il nome, servono principalmente a sentire il parere della popolazione su un determinato argomento, che in questo caso è la maggiore autonomia per le regioni. Se dunque nell’immediato non ci sarebbero cambiamenti nell’ordinamento di Lombardia e Veneto, i rispettivi consigli regionali inizierebbero una trattativa con lo stato per ottenere maggiori poteri.

LOMBARDIA E VENETO DIVENTEREBBERO REGIONI A STATUTO SPECIALE? 

Rispondiamo subito a questa domanda: no. Questo perché le regioni a statuto speciale (Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta) sono stabilite dalla Costituzione, e concedere questa forma di autonomia ad altre implica cambiare la nostra Carta.

Come sappiamo, i cambiamenti costituzionali avvengono con un iter complesso, che può avvenire o con il passaggio parlamentare attraverso una maggioranza qualificata di due terzi o, qualora il parlamento ne approvasse le modifiche a maggioranza semplice.

Per potere diventare realtà il cambiamento dovrebbe essere confermato attraverso un referendum costituzionale senza quorum.

Tuttavia, la vittoria del sì in Lombardia e Veneto potrebbe dare inizio a un dibattito sulle regioni a statuto speciale. Come queste due regioni hanno chiesto maggiore autonomia, potrebbero farlo anche altre. L’Emilia-Romagna, guidata dal governatore del PD Stefano Bonaccini, ha iniziato un iter simile in consiglio regionale, preferendo evitare il referendum ritenuto un costoso strumento di propaganda.

Ma una richiesta di maggiore autonomia da parte di diverse regioni potrebbe portare, sul medio periodo, a una revisione costituzionale degli ordinamenti regionali. Trattandosi di una modifica costituzionale, tuttavia, essa avrebbe un iter non rapidissimo.

CI SARÀ IL QUORUM? COME SI VOTA?

Il voto in Lombardia e Veneto si svolgerà il 22 ottobre. Gli aventi diritto di queste due regioni potranno recarsi alle urne dalle ore 7 del mattino fino alle 23. In Lombardia non sarà richiesto alcun quorum, mentre per quanto riguarda il Veneto il referendum avrà bisogno di una partecipazione di almeno il 50 per cento più uno degli aventi diritto.

Per quanto riguarda la Lombardia, per la prima volta sarà sperimentato il voto elettronico.

HA SENSO UN PARAGONE CON LA CATALOGNA?

Lo diciamo subito e senza mezzi termini: no, non ha senso. Intanto il referendum del primo ottobre in Catalogna proponeva l’indipendenza della regione spagnola, e non semplicemente “maggiore autonomia”. Inoltre, il voto in Lombardia e Veneto arriva in un clima di piena e totale legittimità costituzionale, diversamente da quello catalano, considerato illegale dalla Corte Costituzionale spagnola.

CHI SOSTIENE I REFERENDUM 

I referendum sono stati in primo luogo promossi dalla Lega Nord e, soprattutto, dai governatori di Lombardia e Veneto Roberto Maroni e Luca Zaia. Tuttavia, il centro del dibattito non è stato tra il voto in favore del sì o del no, ma sull’opportunità o meno che questi referendum si svolgessero.

Come abbiamo detto, ad esempio, il governatore del PD dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini sta portando avanti un simile iter per l’autonomia ma ha preferito un passaggio attraverso il consiglio regionale, considerando il referendum “un costoso strumento di propaganda”.

Anche Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, aveva definito questi referendum come una forma di propaganda.

In ogni caso, quasi tutti i partiti rappresentati nei consigli regionali delle due regioni sosterranno il sì a questo voto. Sarà diviso il PD lombardo tra voto favorevole e astensione, così come sono indecisi i pisapiani mentre contrari saranno MDP, Rifondazione e il Partito Socialista.

Lombardia e Veneto non sono nuove a iniziative autonomiste e hanno una forte tradizione di forze politiche in favore dell’autonomia, non limitate alla sola Lega nord (si pensi alla Liga Union Veneta o alla Lega Lombarda di Elidio De Paoli).

Nel 2006 le due regioni sottoscrissero il referendum costituzionale di quell’anno, che tra le altre cose prevedeva maggiore autonomia per le regioni, e furono le uniche due regioni italiane in cui vinse il sì.

Fonte: The Post Internazionale

200mila persone hanno manifestato in Catalogna a sostegno dei due leader indipendentisti arrestati

Jordi Sánchez e Jordi Cuixart, i presidenti delle organizzazioni civili indipendentiste Anc e Omnium, erano stati arrestati con l'accusa di sedizione. Le stime provengono dalla polizia catalana

Credit: Afp

A Barcellona almeno 200mila persone hanno manifestato per chiedere la liberazione dei due leader indipendentisti, Jordi Sanchez e Jordi Cuixart, arrestati con l’accusa di “sedizione” lunedì 16 ottobre per ordine della giudice Carmen Lamela della Corte nazionale di Madrid. I due uomini presiedono altrettante organizzazioni civili indipendentiste, l’Assemblea nazionale catalana e l’associazione Omnium cultural.

Le organizzazioni civili Assemblea Nazionale Catalana e Omnium si sono rivelate cruciali per il movimento indipendentista catalano e negli anni hanno catalizzato il consenso di migliaia di persone che hanno partecipato a diverse dimostrazioni a sostegno dell’indipendenza da Madrid. Proprio queste organizzazioni hanno convocato la manifestazione tenutasi il 17 ottobre.

La folla, composta da migliaia di persone secondo la polizia del capoluogo catalano, ha gridato “Libertat”, fischiando e protestando al passaggio degli elicotteri della polizia spagnola che sorvolavano l’area per ragioni di sicurezza.

Diverse manifestazioni si sono tenute in contemporanea in altre località della Catalogna. A Barcellona erano presenti in piazza esponenti di entrambe le associazioni presiedute dai due leader arrestati, insieme ai rappresentanti del governo locale catalano.

Il presidente della Catalogna Carles Puigdemont aveva infatti definito Sanchez e Cuixart dei detenuti “politici”. Il presidente catalano Puigdemont ha definito Sánchez e Cuixart due “detenuti” politici. “La Spagna incarcera i leader della società civile della Catalogna per avere organizzato manifestazioni pacifiche”, ha scritto Puigdemont sul suo profilo ufficiale Twitter. “Purtroppo ci sono di nuovo prigionieri politici”.

Il portavoce del governo di Barcellona, Jordi Turull, ha paragonato la situazione in corso in Catalogna al periodo più buio della storia recente spagnola, la dittatura fascista che ha governato il paese dal 1939 al 1975.

“Quello che il franchismo non aveva osato fare, lo ha fatto un tribunale del Ventunesimo secolo”, ha detto Turull. “Due persone innocenti sono state private di libertà da un tribunale incompetente per reati inesistenti”.

Lunedì 16 ottobre il tribunale di Madrid aveva deciso per l’arresto di Sanchez e Cuixart, ma di lasciare in libertà, anche se limitata da alcune misure cautelari, Josep Lluis Trapero, il capo della polizia catalana, i Mossos d’Esquadra, e la sua collega, l’intendente Teresa Laplana. Questi ultimi infatti non andranno in prigione ma non potranno lasciare la Spagna fino al termine delle indagini.

La Corte Nazionale di Madrid sta indagando sul ruolo svolto da queste persone durante le manifestazioni per l’indipendenza della Catalogna tenutesi a Barcellona alla fine di settembre 2017 e durante il contestato referendum del 1 ottobre.

La polizia spagnola, in quel caso, arrestò diversi funzionari catalani e operò alcune incursioni negli uffici delle autorità locali catalane come parte della repressione voluta dal governo centrale di Madrid per impedire i preparativi del contestato referendum organizzato comunque il 1 ottobre.

L’accusa di sedizione mossa a Trapero e Laplana riguarda la presunta mancanza di intervento da parte della polizia della regione autonoma della Catalogna durante la repressione attuata dalla polizia spagnola il 1 ottobre, nell’ambito delle operazioni di voto per il contestato referendum sull’indipendenza catalana.

Il corpo di polizia guidato da Trapero è inoltre accusato di non aver obbedito agli ordini del governo centrale, che ne aveva assunto il coordinamento insieme a quello della Policia Nacional e della Guardia Civil.

In quell’occasione diverse unità delle forze dell’ordine spagnole erano intervenute di fronte ai seggi per impedire a migliaia di cittadini catalani di votare. Durante gli scontri tra la folla e gli agenti, quasi 900 persone erano rimaste ferite, tra queste almeno 33 appartenenti alle forze dell’ordine.

I Mossos d’Esquadra sono stati accusati di non aver protetto i propri colleghi della Guardia Civil e della Policia Nacional durante le proteste dei manifestanti indipendentisti il 20 settembre 2017.

In caso di condanna, Trapero rischia fino a 15 anni di reclusione. Il reato di “sedizione” è presente nel codice penale spagnolo dal 1822 e una accusa simile a quella avanzata dalla procura spagnola nei confronti del capo dei Mossos d’Esquadra non era stata mai formulata contro un membro delle forze di polizia spagnole nella storia recente del paese.

Fonte: The Post Internazionale