martedì 28 febbraio 2017

Il vicepresidente di Samsung incriminato per corruzione

Lee Jae-yong, nipote del fondatore dell'azienda, è implicato nello scandalo che ha travolto la presidente della repubblica sudcoreana Park Guen-hye

Il vicepresidente di Samsung, Lee Jae-yong, è stato incriminato per corruzione. Credit: Jung Yeon-Je/Pool

Il vicepresidente di Samsung Electronics, Lee Jae-yong, è stato incriminato per i reati di corruzione e frode nell'ambito dello scandalo sulla corruzione e l'influenza politica che ha colpito la presidente della repubblica sudcoreana Park Guen-hye, ora sotto procedura di impeachment, e la confidente Choi Soon-sil, in stato di arresto. Ad annunciarlo è stata la procura speciale che indaga sul caso e che il 17 febbraio ha arrestato lo stesso Lee.

Incriminati anche altri quattro manager dell'azienda che produce cellulari e televisioni. Lee, nipote del fondatore di Samsung, era al vertice dell'azienda dopo i problemi di salute del padre nel 2014. Tra le accuse, è sospettato di aver versato l'equivalente di quasi 40 milioni di dollari in mazzette in cambio di favori pubblici. Il vice presidente di Samsung ha negato tutte le accuse.

Gli inquirenti hanno ottenuto a dicembre l'incarico dal parlamento per completare le indagini in 70 giorni con altri 20 dedicati alla preparazione della verifica degli addebiti mossi contro Park e Choi. Il portavoce dell'Ufficio della procura, Lee Kyu Chul, ha spiegato che l'incriminazione ci sarà anche contro altre quattro persone, tra cui l'ex ministro della Cultura, Cho Yoonsun, e l'ex capo di Gabinetto di Park, Kim Ki-choon, per l'ostracismo verso migliaia di artisti colpevoli di essersi dichiarati lontani dalle posizioni presidenziali.

La Corte costituzionale sta valutando i profili giuridici riguardanti l'impeachment della presidente Park. Ieri si è tenuta l'ultima audizione, alla quale non si è però presentata. Secondo i media di Seoul il responso dovrebbe arrivare entro il 13 marzo.

Fonte: The Post Internazionale

Tra Stati Uniti e Russia rapporti mai così negativi dopo la Guerra fredda

Il viceministro degli Esteri Sergei Ryabkov ha rivelato di non aver ancora discusso con l'amministrazione Trump sulle sanzioni contro Mosca

Il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov. Credits: Reuters

I rapporti tra Stati Uniti e Russia non sono stati così negativi dalla Guerra fredda. A dirlo è Sergei Ryabkov, il viceministro degli Esteri russo. La notizia è stata riportata dall'agenzia di stampa russa Interfax.

Ryabkov ha parlato anche dell'interesse della Russia a valutare le relazioni che si sono stabilite dall'elezione di Donald Trump. La Russia non ha ancora discusso con la nuova amministrazione americana le sanzioni imposte a Mosca e non ci sono state pressioni da parte del Cremlino su Washington per arrivare alla revoca dei provvedimenti.

Il viceministro degli Esteri ha detto di essere convinto che l'eliminazione delle sanzioni potrebbe facilitare la collaborazione tra Stati Uniti e Russia per arrivare a una risoluzione della crisi siriana.

Fonte: The Post Internazionale

La Russia minaccia reazioni all'aumento della spesa militare americana

La Commissione esteri della Duma ha criticato la decisione dell'amministrazione Trump di incrementare il budget per la Difesa

La Commissione esteri della Duma ha annunciato reazioni all'aumento di spesa militare americana. Credits: Reuters

La commissione Esteri della Duma ha annunciato reazioni nei confronti della decisione dell'amministrazione Trump di aumentare la spesa militare. L'incremento dovrebbe ammontare a 54 milioni di dollari.

Mosca ha comunicato che reagirà solo nel caso in cui il programma di revisione del bilancio degli Stati Uniti per la difesa dovesse essere portato avanti.

“Per ora si tratta di retorica pura. Ma se il budget (militare americano) verrà aumentato allora reagiremo, il ministero degli Esteri, e noi alla Duma", ha detto il capo della commissione Leonid Slutsky.

Fonte: The Post Internazionale

Fuga di notizie dalla Casa Bianca, Trump accusa Obama

Il presidente degli Stati Uniti ha attribuito all'organizzazione del suo predecessore anche la responsabilità per le proteste contro il partito repubblicano

Il presidente degli Stati Uniti Trump ha accusato Obama per la fuga di notizie. Credits: Reuters

Il presidente Donald Trump accusa il suo predecessore Barack Obama di essere responsabile delle fughe di notizie durante la sua amministrazione e delle proteste di piazza contro i repubblicani del mese di gennaio 2017.

“Sembra che la sua organizzazione abbia progettato le proteste contro i Repubblicani che stiamo vedendo nel paese”, ha detto il presidente degli Stati Uniti durante un'intervista sul canale Fox News. “Obama è dietro questi movimenti”.

Trump ha commentato la fuga di notizie che la sua amministrazione ha dovuto affrontare appena dopo il suo insediamento. “Penso che il presidente Obama stia dietro questa vicenda perché i suoi collaboratori sono coinvolti”, ha detto il presidente degli Stati Uniti. “Alcune delle rivelazioni sono venute da questo gruppo e sono molto gravi dal punto di vista della sicurezza nazionale. Capisco anche che si tratta di una questione politica e probabilmente continuerà”.

Nello specifico, Trump ha accusato i collaboratori di Obama di aver reso note le sue telefonate con i leader messicano e australiano, ma non ha fornito prove a sostegno delle sue affermazioni.

In realtà, Organizing for action, il gruppo che ha gestito la campagna di Obama, si è effettivamente dedicato alla preparazione delle proteste contro i temi principali del partito repubblicano americano.

Fonte: The Post Internazionale

lunedì 27 febbraio 2017

Il numero due di al-Qaeda ucciso in Siria da un drone statunitense

Abu Khayr al-Masri, considerato il vice di Al-Zawahiri, sarebbe stato colpito vicino a Idlib. La notizia, diffusa da siti jihadisti, non è stata confermata dal Pentagono

Un guerrigliero del fronte al-Nusra, gruppo legato ad al-Quaeda in Siria. Credit: Reuters

Uno dei leader più importanti di al-Qaeda, Abu Khayr al-Masri, è stato ucciso da un drone statunitense vicino a Idlib, nel nord-ovest della Siria. A riferirlo il 27 febbraio sono stati gli stessi miliziani jihadisti, che hanno pubblicato sul web le foto dell’auto sul quale viaggiava l’uomo, completamente distrutta da un missile. La notizia dell’attacco è stata diffusa anche dal Pentagono, che non ha tuttavia confermato la morte di al-Masri.

Nel 2005 l’intelligence statunitense ha identificato al-Masri come il numero di numero due di al-Qaeda e possibile erede del leader supremo Ayman Al-Zawahiri. Nel 2015, dopo essere fuggito dall’Afghanistan e aver scontato 12 anni di carcere in Iran, al-Masri era andato in Siria per riunire e guidare i vari gruppi legati all’organizzazione terroristica creata da Bin Laden, presenti sul territorio, e in difficoltà a causa dell’avanzata dell’Isis.

Il jihadista 59enne, secondo gli 007 americani, è coinvolto negli attentati del 1998 contro due ambasciate americane in Tanzania e Kenya, in cui morirono più di 200 persone, in gran parte civili.

Fonte: The Post Internazionale

Dj Fabo è morto in Svizzera ricorrendo al suicidio assistito

A comunicarlo sul Twitter è stato Marco Cappato, dell'associazione Luca Coscioni

Fabiano Antonioni è morto il 27 febbraio in Svizzera attraverso l'eutanasia. Credit: Associazione Luca Coscioni

“Fabo è morto alle 11:40, ha scelto di andarsene rispettando le regole, di un paese che non è il suo”. Con questo messaggio postato su Twitter, Marco Cappato, l'esponente radicale dell'associazione Luca Coscioni, ha annunciato la morte di Dj Fabo in Svizzera attraverso eutanasia.

L’ultimo messaggio del dj di 39 anni, rimasto cieco e tetraplegico dopo un grave incidente stradale, era partito poche ore prima dalla clinica dove era arrivato per ricevere il suicidio assistito. "Sono finalmente arrivato in Svizzera - dice in un messaggio audio diffuso dall’associazione Coscioni - e ci sono arrivato, purtroppo, con le mie forze e non con l’aiuto del mio Stato. Volevo ringraziare una persona che ha potuto sollevarmi da questo inferno di dolore, di dolore, di dolore. Questa persona si chiama Marco Cappato e lo ringrazierò fino alla morte. Grazie Marco. Grazie mille".

Di seguito il video in cui Fabo ringrazia l'esponente dei Radicali:



Nell’ordinamento italiano l'eutanasia e il suicidio assistito sono atti entrambi punibili dagli articoli 575, 579, 580 e 593 del codice penale. L'unica discussione parlamentare è quella sul testo di legge sul testamento biologico, denominato Dichiarazioni anticipate di trattamento. Il testo è da settimane fermo al vaglio della commissione Affari sociali della Camera, per cura della relatrice del Partito Democratico Donata Lenzi.

Fabiano si era rivolto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per chiedere l’eutanasia e poter scegliere liberamente sulla propria vita.

La discussione sulla proposta di legge è stata rinviata più volte in Parlamento, tanto che Fabiano aveva inviato un secondo appello ai parlamentari: “Ho sentito che il Parlamento ha rinviato di tre settimane la legge sul testamento biologico e c'è il rischio che tutto vada perso" - trasmetteva Fabo in un secondo video. "È scandaloso che i parlamentari non abbiano il coraggio di prendere la situazione in mano per tanti cittadini che vivono come me”.

Da allora, 7 febbraio 2017, la proposta di legge non è stata ancora discussa. Marco Cappato ha così accompagnato il giovane ex dj per permettergli di porre fine alle proprie sofferenze.

Aggiornamento (27 febbraio, ore 13:00) – Una precedente versione dell'articolo era intitolata “Dj Fabo è morto in Svizzera ricorrendo all'eutanasia”.

---LEGGI ANCHE: Eutanasia, ovvero poter decidere della propria morte, ma ancora prima della propria vita

---LEGGI ANCHE: I parlamentari italiani “senza coraggio” che non vogliono decidere sul testamento biologico

Fonte: The Post Internazionale

domenica 26 febbraio 2017

Cosa faranno ora i fuoriusciti dal PD

Ieri hanno fondato un nuovo partito che si chiama "Democratici e progressisti", e per prima cosa si impegneranno per il Sì al referendum sui voucher (e in Parlamento?)

Da sinistra, Arturo Scotto, Roberto Speranza, Enrico Rossi e Massimiliano Smeriglio all'assemblea di presentazione di Articolo 1 - Movimento Democratici e Progressisti, il 25 febbraio 2017, a Roma (Fabio Cimaglia / LaPresse)

Il 25 febbraio si è tenuta a Roma la conferenza di presentazione del partito nato dalla fuoriuscita di alcuni membri della minoranza del Partito Democratico (PD): il nome completo della nuova formazione è Articolo 1 – Movimento democratici e progressisti, ma sui giornali già lo si abbrevia con Democratici e Progressisti, o addirittura con MDP o DP (una sigla piuttosto buffa: dopotutto è il contrario di PD). All’assemblea di presentazione hanno parlato Roberto Speranza, deputato che nel PD faceva parte della minoranza cosiddetta “bersaniana”, il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi e il deputato Arturo Scotto. Scotto è stato eletto con Sinistra Ecologia Libertà (SEL) e inizialmente si era candidato alla segreteria del partito che ne ha preso il posto, Sinistra Italiana (SI): poi però qualche giorno fa ha annunciato che avrebbe lasciato il gruppo di SI insieme ad altri parlamentari per entrare nella formazione politica dei fuoriusciti dal PD. Durante e dopo l’assemblea, i giornali hanno cercato di capire qualcosa in più sulle intenzioni e le prossime battaglie del nuovo partito.

All’assemblea non erano presenti né l’ex segretario del PD Pierluigi Bersani, né Massimo D’Alema: il primo era a Piacenza per il finesettimana, il secondo ad Assisi dove ha partecipato a una cena con molti politici umbri, usciti dal PD in passato o in procinto di farlo. Tutti i quotidiani hanno notato le assenze di Bersani e D’Alema: l’ipotesi del Corriere della Sera è che non ci fossero per lasciare che fossero politici più giovani a rappresentare il nuovo partito. All’assemblea c’erano però anche l’ex segretario della CGIL Guglielmo Epifani, il senatore bersaniano Miguel Gotor, il deputato Nico Stumpo, e l’ex responsabile organizzativo del PD Davide Zoggia. Tra gli ex membri di SEL presenti all’assemblea invece c’erano il vicepresidente della Regione Lazio Massimiliano Smeriglio e Alfredo D’Attorre (che fino al novembre 2015 era nel PD). C’era anche Stefano Fassina, uscito dal PD nel giugno del 2015 e da allora deputato di SEL e ora di Sinistra Italiana: rimarrà in SI, ma ha partecipato all’assemblea perché pensa che il suo partito dovrà collaborare con la nuova formazione politica.

Secondo i giornali, le prime battaglie in cui si impegnerà il nuovo partito saranno con tutta probabilità il Sì al referendum contro i voucher in programma per questa primavera e la questione dello ius soli, cioè il diritto alla cittadinanza per nascita a chi è nato in Italia da genitori stranieri. Su quest’ultima materia, c’è un disegno di legge che propone uno ius soli temperato bloccata in Parlamento dopo essere stato approvato dalla Camera nell’ottobre del 2015. Alla prima assemblea di Articolo 1 – Movimento democratici e progressisti Rossi ha anche parlato di proporre una «una patrimoniale sulla grande ricchezza». Durante l’assemblea è anche stato detto – con tono scherzoso – che un’altra delle prime cose che faranno i Democratici e Progressisti sarà votare il ministro Andrea Orlando alle primarie per eleggere il segretario del PD il 30 aprile.

Cosa cambia in Parlamento

Secondo i calcoli dei giornali, i parlamentari Democratici e Progressisti sono 50 in totale: 12 al Senato e 38 alla Camera dei deputati. Tutti i membri di Democratici e Progressisti intervistati dai giornali dopo l’assemblea hanno detto che il nuovo partito sosterrà il governo di Paolo Gentiloni e si considera parte della maggioranza. Ma se anche decidessero di stare all’opposizione, al momento i loro numeri non metterebbero a rischio la maggioranza: al Senato, con 12 senatori in meno, la coalizione di governo conterebbe comunque 166 seggi, cinque in più della soglia di maggioranza. Alla Camera, con 38 deputati in meno, la coalizione di governo potrebbe fare affidamento su 359 deputati, cioè 43 in più della soglia.

Per quanto riguarda i sondaggi sul consenso del nuovo partito, ci sono percentuali molto diverse. Per un sondaggio del Corriere della Sera Democratici e Progressisti avrebbe un bacino potenziale di elettori intorno al 9 per cento, mentre secondo il sondaggio fatto dall’Istituto Piepoli per la Stampa i consensi del nuovo partito arriverebbero solo al 3 per cento e il consenso del PD non sarebbe calato più di tanto, passando dal 32 al 29 per cento.

La questione del nome

“Articolo 1 – Movimento democratici e progressisti” è ispirato alla prima frase dell’Articolo 1 della Costituzione, cioè «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». Durante l’assemblea Roberto Speranza ha spiegato che il nome del partito è dovuto al fatto che il tema più importante per la nuova formazione politica è quello del lavoro, e in particolare del lavoro per i giovani. La scelta dell’aggettivo “progressisti” pare anche individuare una sorte di legame con Campo progressista, il movimento dell’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia, che sarà presentato ufficialmente l’11 marzo. La sigla DP invece è speculare a PD, come ha scritto Pierluigi Battista sul Corriere della Sera, notando anche che il nome del nuovo partito «in comune al PD ha la parola democratico, al plurale, ma aggiunge “progressisti”» e ricordando che «oltretutto DP era anche la sigla di Democrazia proletaria, un cartello elettorale che doveva riunire a metà degli anni Settanta tutti i microgruppi che frastagliavano la sinistra extraparlamentare che voleva diventare parlamentare».

Sembra esserci un altro problema col nome del nuovo partito, ma non ha nulla a che fare con formazioni politiche del passato. Il fatto è che un gruppo chiamato Democratici Progressisti (senza la congiunzione “e”) esiste già: è una lista calabrese del Partito Democratico, peraltro sostenitrice di Matteo Renzi, che ha partecipato alle elezioni regionali del 2014 facendo eleggere tre consiglieri. La sigla e lo stemma della lista sono stati depositati dai deputati del PD Ernesto Carbone e Ferdinando Aiello insieme al consigliere regionale Giuseppe Giudiceandrea. Secondo Repubblica, Carbone ha lasciato intendere che potrebbe reclamare i diritti sulla sigla.


Non c’è ancora un simbolo per il nuovo Articolo 1 – Movimento democratici e progressisti che però ha due pagine di programma. Il manifesto, pubblicato sull’Huffington Post, inizia così:


«Siamo donne e uomini che si impegnano in un movimento democratico e progressista con l’obiettivo di dare all’Italia un governo che corrisponda ai bisogni e gli interessi del nostro Paese. Un progetto di governo che si avvalga dell’esperienza delle donne per realizzare una società più equilibrata, accogliente, meno individualista, che si batta per sviluppare una coscienza dei diritti e delle libertà fondamentali. Pensiamo che l’Italia abbia urgente necessità di questo impegno per contrastare il populismo e l’avanzata delle forze antisistema e della destra isolazionista e reazionaria».

Fonte: Il Post

Una reporter del canale televisivo curdo Rudaw è stata uccisa a Mosul

La giornalista è rimasta uccisa nell'esplosione di una bomba su strada. Il cameraman Younis Mustafa è rimasto ferito nello stesso attacco

La reporter Shifa Gardi del canale televisivo Rudaw. Credit: Twitter

La reporter Shifa Gardi, 30 anni, della televisione curda Rudaw è rimasta uccisa nell'esplosione di una bomba su strada a Mosul nel pomeriggio di sabato 25 febbraio 2017. Il cameraman che la accompagnava, Younis Mustafa, è rimasto ferito nello stesso attacco.

La giornalista stava seguendo gli scontri tra le forze irachene e i miliziani dell'Isis nella città irachena, dove l'esercito ha lanciato a ottobre 2016 un'offensiva per scacciare i jihadisti.

Shifa Zikri Ibrahim, nota come Shifa Gardi, è nata come rifugiata in Iran il primo luglio del 1986. Si è laureata all'università Salahaddin di Erbil. Ha iniziato a lavorare come giornalista nel 2006, e si è unita al canale televisivo curdo Rudaw, dalla quando questi è nato.

Il sito del network Rudaw racconta un aneddoto che fa capire la sensibilità della giornalista. Il 21 febbraio 2017 la reporter aveva infatti salvato un coniglio che cercava rifugio durante la battaglia per il controllo dell'area che rimane sotto il controllo del sedicente Stato islamico a Mosul.

Fonte: The Post Internazionale

sabato 25 febbraio 2017

C’è un accordo sullo stadio della Roma

Alla fine sarà quasi certamente costruito, dopo molte vicissitudini fra Comune e società sportiva: il progetto iniziale però sarà notevolmente ridimensionato

Il presidente e proprietario della Roma James Pallotta (Paolo Bruno/Getty Images)

Ieri sera, al termine dell’incontro svoltosi al Campidoglio di Roma tra la sindaca Virginia Raggi e la società della Roma, è stato raggiunto un accordo per la realizzazione del nuovo stadio del club a Tor di Valle. La vicenda dello stadio va avanti ormai da diversi anni: negli ultimi mesi però il progetto è sembrato più volte sul punto di saltare, per varie ragioni (fra cui la contrarietà dell’ex assessore all’Urbanistica Paolo Berdini e di molti consiglieri della maggioranza).

Il progetto dello stadio e del cosiddetto “business park” (cioè una serie di strutture dedicate a uffici), che entrambi le parti si sono impegnate a portare avanti, sarà comunque diverso da quello approvato dal consiglio comunale durante la giunta di Ignazio Marino: saranno escluse le tre “torri” progettate dal famoso Studio Libeskind e le cubature del “business park” subiranno una riduzione vicina al 60 per cento (500 mila metri cubi, non più un milione e rotti). Le opere pubbliche nella zona circostante non escluse dal progetto verranno inoltre realizzate in un secondo momento.


In serata la Roma ha pubblicato un comunicato del presidente James Pallotta e più tardi uno di Mauro Baldissoni, il dirigente della Roma che ha portato avanti la trattativa.


A nome del presidente Pallotta e di tutta la Roma voglio ringraziare il Sindaco per essere stata qui oggi, sappiamo che ha avuto un piccolo problema di salute, ma è stato un segnale importantissimo vederla qui per concludere un lavoro iniziato in queste settimane. Il progetto era figlio di una delibera e di una negoziazione con la giunta precedente, abbiamo offerto la nostra disponibilità per rivederlo secondo le visioni e le esigenze di questa nuova giunta, siamo molto orgogliosi e molto felici di aver raggiunto un accordo che migliora il progetto e che offre alla città la possibilità di avere un intervento importante che riteniamo possa essere un orgoglio per tutti i cittadini, indipendentemente dal fatto che siano o meno tifosi della Roma.


Il nuovo progetto ha ricevuto il sostegno di ventuno consiglieri comunali del Movimento 5 Stelle, ma non quello di altri otto consiglieri, che si sono detti contrari. Se non si presenteranno ulteriori complicazioni, la delibera della giunta Marino del 2014, che prevedeva alcune condizioni vincolanti, dovrà essere ora modificata. Il progetto dovrebbe essere approvato ufficialmente non più il 3 marzo, ma stando a quanto riportato dal Corriere della Sera dovrebbe essere definitivamente ratificato dal consiglio regionale del Lazio fra un mese. I lavori potrebbero cominciare ufficialmente una volta che il Comune avrà recepito l’approvazione finale, e durare circa due anni e mezzo.

Fonte: Il Post

Le primarie del PD si terranno il 30 aprile

Saranno aperte a tutti: le candidature a segretario vanno presentate entro il 6 marzo 

(ANSA/GIUSEPPE LAMI)

Il Partito Democratico organizzerà le elezioni primarie per la scelta del suo nuovo segretario domenica 30 aprile, ha comunicato il presidente del partito Matteo Orfini alla direzione nazionale. Sarà la domenica di un weekend lungo, perché lunedì primo maggio è festa. Le primarie saranno aperte a tutti, anche a chi non è iscritto al PD. La decisione è stata presa dalla commissione precedentemente incaricata di stabilire le regole; la commissione rappresenta le varie correnti del partito ma non quella dei cosiddetti “bersaniani”, che ha annunciato di voler lasciare il PD dopo la decisione di Renzi di dimettersi da segretario.

Le candidature a segretario del PD andranno presentate entro il 6 marzo. Matteo Renzi intende ricandidarsi, e hanno annunciato l’intenzione di sfidarlo il deputato e ministro Andrea Orlando e il presidente della Puglia, Michele Emiliano, che negli ultimi giorni aveva più volte cambiato idea sulla sua permanenza nel partito. Le primarie saranno precedute da una consultazione dei soli iscritti del PD – il classico congresso di partito – a cui potranno partecipare le persone che hanno fatto la tessera nel corso del 2016. Le liste per le primarie – alle primarie si eleggono anche i membri dell’assemblea nazionale, una specie di parlamento del partito – andranno presentate entro il 10 aprile. Per il resto le regole del congresso e delle primarie del PD rimangono quelle già adottate nel 2013.

Fonte: Il Post

I tre carabinieri coinvolti nella morte di Stefano Cucchi sono stati sospesi dal servizio

La sospensione dei tre militari, ai quali sarà dimezzato lo stipendio, è stata disposta dal comando generale dell'Arma e dal ministero della Difesa

Stefano Cucchi morì il 22 ottobre 2009 all'ospedale romano Sandro Pertini

Nel gennaio 2017 la procura di Roma ha chiesto il processo con nuovi capi d'accusa a carico dei tre carabinieri, Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, coinvolti nella morte di Stefano Cucchi.

I tre carabinieri accusati di omicidio preterintenzionale pluriaggravato dai futili motivi e dalla minorata difesa della vittima, abuso di autorità contro arrestati, falso ideologico in atto pubblico e calunnia, sono stati sospesi dal servizio il 24 febbraio 2017.

La sospensione dei tre militari, ai quali sarà dimezzato lo stipendio, è stata disposta a titolo precauzionale dal comando generale dell'Arma e dal ministero della Difesa su richiesta del comando generale.

Secondo l'accusa sarebbero i responsabili del pestaggio che il giovane avrebbe subito e che ne determinò la morte.

Stefano fu trovato morto il 22 ottobre 2009 in una stanza all’interno del reparto protetto dell’ospedale Sandro Pertini di Roma, dove era ricoverato da quattro giorni, dopo essere stato arrestato dai carabinieri.

Per Roberto Mandolini e Vincenzo Nicolardi, gli altri due militari coinvolti è stato chiesto il rinvio a giudizio per calunnia (il primo anche per falso). In questo caso il comando generale dell'Arma non ha ancora adottato alcun provvedimento.

Fonte: The Post Internazionale

Attacchi kamikaze a Homs, in Siria: 42 morti

Due uffici delle forze militari siriane nella città occidentale sono stati attaccati, ucciso anche il capo della sicurezza

Un ribelle vicino a membri dell'esercito siriano a Homs, in Siria. Credit: Omar Sanadiki

Due uffici delle forze di sicurezza siriane nella città occidentale di Homs sono stati attaccati sabato 25 febbraio 2017. Quarantadue persone sono rimaste uccise.

Gli attacchi sono stati condotti con attentatori suicidi e con armi da fuoco. I luoghi colpiti sono il quartier generale delle forze militari della città, dove è stato ucciso anche il capo della sicurezza insieme ad altre 29 persone, e un distaccamento della sicurezza di stato, dove a perdere la vita sono state altre 12 persone, secondo quanto riporta l'Osservatorio siriano per i diritti umani.

In totale sei attentatori suicidi si sarebbero fatti saltare in aria secondo la televisione di stato siriana. La quale ha riportato che in precedenza si erano svolti alcuni scontri nei distretti siriani di al-Ghouta e al-Mohata.

I ribelli appartenenti al gruppo Tahrir al-Sham hanno scritto in un post sui social network che si è trattato di cinque attentatori, ma non hanno rivendicato l'attacco. Il fronte di Tahrir al-Sham è composto da vari gruppi tra cui anche Jabhat Fateh al-Sham, ex fronte al-Nusra legato ad al-Qaeda.

Fonte: The Post Internazionale

La Cnn e il New York Times esclusi da un incontro alla Casa Bianca

Cresce la tensione tra Donald Trump e i media definiti "disonesti" dal presidente Usa 

Giornalisti alla Casa Bianca. Credit: Reuters

Alcuni media sono stati esclusi dalla partecipazione a un briefing informale alla Casa Bianca con il segretario per la stampa Sean Spicer. Tra gli esclusi anche testate e network importanti come New York Times, Cnn, Los Angeles Times, Bbc e Politico.

In segno di solidarietà i corrispondenti di altre testate - come l'Ap e Time Magazine - hanno deciso di boicottare l'incontro. Presenti invece i media conservatori come Breitbart News, Washington Times, One America News Network, come pure Abc, Cbs, Wsj, Bloomberg e Fox News.

I gruppi editoriali hanno reagito in modo molto duro. Il presidente dell'associazione dei corrispondenti della Casa Bianca, Jeff Mason, ha annunciato una "dura protesta" per una mossa definita inusuale e senza precedenti.

Dean Baquet, direttore esecutivo del Nyt ha detto che "nulla del genere è mai successo alla Casa Bianca nella nostra lunga storia della copertura di più amministrazioni di partiti diversi". Dura anche la Cnn: "uno sviluppo inaccettabile da parte della Casa Bianca di Trump. Apparentemente è un modo di vendicarsi quando le tue notizie non piacciono. Continueremo a riportare notizie in ogni caso". Il New York Times ha definito la decisione come un “indubbio insulto agli ideali democratici”.

Lo strappo si è consumato poche ore dopo che Trump aveva lanciato una requisitoria contro i media "disonesti", che usando fonti anonime alimentano le fake news, vere "nemiche del popolo". Per l'ennesima offensiva il tycoon ha scelto la Conservative Political Action Conference (Cpac), il più grande raduno annuale degli attivisti conservatori, dove vi ha preso parte anche l'inglese Nigel Farage.

Fonte: The Post Internazionale

venerdì 24 febbraio 2017

L’inchiesta per assenteismo all’ospedale Loreto Mare di Napoli

55 persone sono state arrestate – fra medici, infermieri e impiegati – con l'accusa di non presentarsi al lavoro e farsi timbrare da altri il cartellino

L'ospedale Loreto Mare di Napoli (ANSA / CIRO FUSCO)

Stamattina i carabinieri di Napoli hanno arrestato 55 dipendenti dell’ospedale Loreto Mare, situato vicino al centro della città, nell’ambito di un’estesa indagine sull’assenteismo dal lavoro. Tra gli arrestati, scrive Repubblica, ci sono «un neurologo, un ginecologo, nove tecnici di radiologia, 18 infermieri professionali, sei impiegati amministrativi, nove tecnici manutentori e 11 operatori sociosanitari».

L’indagine è iniziata due anni fa e secondo le informazioni fornite dai carabinieri ha previsto diverse ore di filmati e intercettazioni e 500 fra appostamenti e pedinamenti. In tutto gli indagati sono 94, che sono accusati di migliaia di episodi di assenteismo: materialmente, secondo i carabinieri, si dedicavano ad attività private in orario di lavoro facendo timbrare il proprio cartellino – un “badge” elettronico – ad altre persone. Sono coinvolti nell’indagine anche alcuni dipendenti dell’ufficio rilevazioni presenze e assenze. Nei mesi scorsi il Loreto Mare era già finito sui giornali per diversi casi di inefficienze, come la scarsità di posti letto o i problemi ad alcuni macchinari.


Oltre alla cosiddetta “strisciata plurima” dei badge, per far risultare presenti dipendenti che, invece, erano assenti, le telecamere dei carabinieri hanno documentato l’assenza dei dipendenti dell’ufficio rilevazioni presenze e assenze, ovvero coloro incaricati di eseguire i controlli finalizzati al rispetto delle clausole contrattuali; uno dei dipendenti, è emerso, durante l’orario di servizio andava a fare lo chef in una struttura alberghiera del Nolano.

Documentato anche il caso di un medico, indagato, il quale mentre era in servizio prendeva il taxi e andava a giocare a tennis oppure a sbrigare faccende personali, come fare compere in gioielleria. In due anni sono state registrate ore e ore di filmati e di intercettazioni, eseguiti oltre 500 servizi di osservazione e pedinamento: accertati migliaia di episodi di assenteismo. Tra gli indagati anche due operatori socio sanitari che, quotidianamente, dopo essere stati avvertiti telefonicamente o via sms, “strisciavano” 20 badge, a seconda dei turni di servizio dei colleghi da “coprire”.



Fonte: Il Post

A sinistra del PD

Da Sinistra Italiana a Possibile, passando per il movimento di Pisapia e quello che sarà creato – sarà creato? – da chi esce dal PD: chi sono e dove vanno

(ANSA/MASSIMO PERCOSSI/ALESSANDRO DI MEO/ANGELO CARCONI)

Negli ultimi mesi c’è stato molto fermento tra i partiti e movimenti politici che si collocano generalmente a sinistra del Partito Democratico. È un’area che nell’ultimo quindicennio non ha avuto grandi fortune elettorali, ma che negli ultimi mesi sta vivendo un momento di apparente rinascita in vari paesi europei. Secondo diversi leader e dirigenti politici italiani, anche nel nostro paese è arrivato un buon momento per linee politiche e idee più di sinistra, come quelle che stanno cercando di attuare Jeremy Corbyn nel Regno Unito, Benoît Hamon in Francia e Martin Schulz in Germania.

In Italia oggi ci sono soprattutto quattro forze politiche che stanno cercando di occupare quest’area: Sinistra Italiana, che attraverso una serie di complessi passaggi si può considerare l’erede delle principali coalizioni e partiti della cosiddetta “sinistra radicale” del recente passato; Possibile, il partito creato da Pippo Civati, ex candidato alle primarie del PD nel 2013; la nuova formazione dei fuoriusciti dal PD e di cui ancora si conosce molto poco; e infine Campo progressista, il movimento dell’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia che vorrebbe riunirli tutti.

Sinistra Italiana (SI)
Il partito oggi più solido a sinistra del PD al momento è Sinistra Italiana, fondato alla fine del 2015 da alcuni parlamentari usciti dal PD insieme agli esponenti di Sinistra Ecologia Libertà, un partito che era nato nel 2009 su iniziativa di Nichi Vendola da una scissione da Rifondazione Comunista, partito nato a sua volta da una scissione dal PCI. Sinistra Italiana conta oggi su 31 deputati e 8 senatori e ha già partecipato a un’importante elezione, le amministrative del giugno 2016. A Roma, dove era candidato Stefano Fassina, è andata piuttosto male, così come a Torino, dove era candidato l’ex sindacalista Giorgio Airaudo: le liste di SI hanno preso intorno al 3 per cento dei voti. È andata meglio a Bologna, dove la lista appoggiata da SI ha ottenuto il 7 per cento dei voti, e soprattutto a Sesto Fiorentino, storico comune da sempre guidato dal principale partito del centrosinistra, dove la lista di Sinistra Italiana è riuscita a far eleggere il suo candidato sindaco, Lorenzo Falchi.

Sinistra Italiana è nata ufficialmente come gruppo parlamentare nell’autunno del 2015, in seguito all’uscita dal PD dell’ex viceministro dell’Economia Stefano Fassina e di altri parlamentari. Domenica scorsa il partito ha concluso il suo congresso fondativo e ha eletto segretario Nicola Fratoianni, ex dirigente dei Giovani Comunisti, la sezione giovanile di Rifondazione Comunista, poi assessore in Puglia durante la presidenza di Nichi Vendola. Il congresso ha anche sancito ufficialmente lo scioglimento della vecchia Sinistra Ecologia Libertà all’interno di Sinistra Italiana. Dopo il congresso, SI ha confermato la sua opposizione al governo Gentiloni e la sua intenzione di votare la sfiducia in Parlamento. Lo scorso dicembre Sinistra Italiana era schierata per il No al referendum costituzionale (e per questo cambiò per un po’ il suo logo sui social network, perché l’acronimo SI non funzionava benissimo).

Il partito è molto vicino ai sindacati, in particolare alla FIOM, la federazione dei metalmeccanici della CGIL, tradizionalmente schierata molto a sinistra. Al congresso fondativo però non ha partecipato una parte del partito, quella guidata dal deputato Arturo Scotto, che di fatto si è scissa prima ancora di cominciare. Scotto e una quindicina circa di parlamentari attualmente iscritti al gruppo di Sinistra Italiana hanno annunciato che lasceranno il gruppo di SI per formarne uno nuovo insieme ai parlamentari usciti dal PD dopo la scelta di Matteo Renzi di dimettersi da segretario e innescare un congresso anticipato.

Possibile
È il movimento fondato da Pippo Civati, deputato ed ex candidato alle primarie del Partito Democratico. Possibile è nato nel giugno del 2015, un mese dopo l’uscita di Civati dal PD, per protesta e lontananza politica da una serie di provvedimenti approvati dal governo Renzi come l’Italicum e il Jobs Act. Possibile oggi è piuttosto debole in Parlamento: può contare su cinque deputati, quasi tutti usciti dal PD, che insieme ad altri cinque, tra cui diversi usciti dal Movimento 5 Stelle, hanno formato il gruppo Alternativa Libera – Possibile. Civati è stato ospite al congresso di Sinistra Italiana e in questi giorni viene data in discussione l’ipotesi di formare un unico gruppo parlamentare. Un anno fa Possibile ha celebrato il suo congresso fondativo, nel quale è risultato eletto leader Pippo Civati. Alle elezioni amministrative del giugno 2016, il partito si è presentato in diversi comuni all’interno di una coalizione di sinistra più ampia, mai però alleato con il PD. Possibile si è schierato per il No al referendum costituzionale. Oggi Civati e Possibile stanno facendo campagna elettorale a favore dei due referendum della CGIL.

Gli usciti dal PD
Un terzo gruppo sarà formato in questi giorni dai dirigenti che sono usciti dal PD negli ultimi giorni o hanno detto di volerlo fare: ci sono alcuni leader importanti e noti, come gli ex segretari del partito Pier Luigi Bersani e Guglielmo Epifani, il presidente della Toscana Enrico Rossi e l’ex capogruppo del PD alla Camera Roberto Speranza. Gli usciti dal PD dovrebbero riuscire a creare due gruppi parlamentari sia alla Camera che al Senato. Nel primo dovrebbero confluire in tutto poco meno di 40 deputati, la metà circa usciti dal PD; l’altra metà sarà composta dai deputati usciti da Sinistra Italiana e guidati da Arturo Scotto.

Secondo i giornali, questo movimento potrebbe contare su una decina di senatori, un numero sufficiente a formare un gruppo parlamentare e, se fosse necessario, a minacciare la stabilità del governo, che ha una maggioranza molto sottile. Bersani e Speranza, i principali leader del gruppo, hanno detto in questi giorni che appoggeranno il governo, ma che chiederanno in cambio una serie di interventi di “sinistra”: per esempio una modifica delle norme sui voucher che aiuti a prevenire il referendum previsto per il prossimo giugno con cui la CGIL chiede di abolirli. L’atteggiamento nei confronti del governo Gentiloni è quello che al momento divide di più questo gruppo da Possibile e Sinistra Italiana, che invece sono nettamente schierati per la sfiducia. Non è chiaro quale nome avrà il nuovo gruppo né se la sua formazione sarà seguita dalla creazione di un partito vero e proprio, con un congresso, organi dirigenti e una struttura territoriale.

Campo progressista
Accanto a questi tre gruppi, che contano tutti su un certo numero di parlamentari, c’è una terza forza i cui contorni e obiettivi non sono ancora del tutto chiari: è il “Campo progressista” promosso dall’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Per il momento il gruppo non ha parlamentari e non ha partecipato ad alcuna elezione, oltre a non essersi espresso sui principali temi che hanno diviso la sinistra negli ultimi mesi (Pisapia ha comunque detto che al referendum avrebbe votato per il Sì). Lo scopo di quello che al momento è soltanto un movimento dai contorni piuttosto vaghi, ha spiegato Pisapia, è costruire «un campo progressista che unisca una sinistra, fuori dal PD, che sappia assumersi la responsabilità di dare il proprio contributo per far uscire il paese dalla situazione terribile in cui si trova». Tradotto: un partito di sinistra pronto ad allearsi con il PD in una coalizione.

Anche per questo il movimento di Pisapia non è ben visto da Sinistra Italiana e dal suo segretario, Fratoianni. Pisapia – che ha fatto parte a lungo di Rifondazione Comunista – è accusato di essere troppo moderato e clemente con Renzi. Lo scopo del suo progetto, dicono i suoi critici, è raccogliere voti a sinistra per poi usarli per appoggiare il PD di Renzi. Il suo progetto, invece, è apprezzato dai fuoriusciti di Sinistra Italiana, quelli guidati da Scotto, e del PD. Non è ancora chiaro però se e come queste formazioni potrebbero allearsi e che cosa ne uscirebbe fuori.

Fonte: Il Post

giovedì 23 febbraio 2017

L’Iraq si è ripreso l’aeroporto di Mosul

È un passo importante nella battaglia contro lo Stato Islamico, che controlla ancora la zona ovest della città

T(AHMAD AL-RUBAYE/AFP/Getty Images)

Giovedì 23 febbraio l’esercito iracheno ha attaccato la base militare al Ghazlani e l’aeroporto di Mosul, in Iraq, riprendendone in parte il controllo: è una vittoria importante nell’offensiva ricominciata il 19 febbraio per liberare la città dal controllo dello Stato Islamico. L’avanzata verso l’aeroporto e la base di al Ghazlani, che si trovano nella periferia sud-ovest di Mosul, permetterà di usare queste aree per organizzare e lanciare delle operazioni verso ovest dove si trovano diverse migliaia di combattenti dell’ISIS.

L’attacco è cominciato intorno alle cinque del mattino con il supporto di jet, droni e elicotteri della coalizione internazionale, e grazie all’avanzata dai quartieri liberati nei giorni scorsi. Gli uomini della polizia federale e i militari di un’unità speciale del ministero degli Interni sono riusciti a entrare nella base aerea al Ghazlani – dove, secondo quanto riferito dal generale Yahya Rasool all’agenzia di stampa Associated Press, gli scontri sono ancora in corso – e poi nella pista dell’aeroporto, respingendo gli attacchi dei miliziani dello Stato islamico rintanati negli edifici aeroportuali. Il numero esatto di jihadisti presenti all’aeroporto non è conosciuto.

L’aeroporto si trova nei pressi di una collina chiamata Abu Salif, che le forze irachene intendono conquistare per evitare che lo Stato Islamico la usi come base per i propri cecchini, già molto impiegati nella campagna per difendere Mosul. Parallelamente ai primi due attacchi le truppe sono entrare anche in due quartieri della parte occidentale della città, ancora controllata dallo Stato Islamico. Su quest’ultima operazione non ci sono molti dettagli.


L’offensiva militare per liberare Mosul – che è di fatto la capitale dello Stato Islamico in Iraq – è iniziata a ottobre, e per il momento ha portato alla liberazione dei quartieri che si trovano sulla sponda est del fiume Tigri, che divide in due la città. La campagna era in stallo da diverse settimane, cioè da quando i miliziani dello Stato Islamico erano riusciti a colpire gravemente le forze irachene con autobombe, attentati suicidi e attacchi tipici della guerriglia urbana. Domenica 19 febbraio l’offensiva è ricominciata. Le diverse forze presenti sul campo stanno avanzando sia da sud-ovest che da sud. Qualche giorno fa, durante i primi attacchi della nuova campagna, le forze militari irachene avevano liberato alcuni quartieri nella periferia sud-ovest e erano arrivati a pochi chilometri dall’aeroporto principale di Mosul.

L’obiettivo è ora riconquistare i quartieri occidentali del centro storico di Mosul. Al momento si stima che in città rimangano circa 650mila civili, spesso in condizioni di vita molto precarie, insieme ad alcune migliaia di miliziani dello Stato Islamico (all’inizio della campagna erano seimila, e le forze irachene stimano di averne uccisi un migliaio). Le forze alleate contro lo Stato Islamico possono comunque contare su circa 100mila uomini.

Fonte: Il Post

Trump ha abolito le regole sull'uso dei bagni delle scuole in base all'identità di genere

Le linee guida erano state introdotte durante l'amministrazione di Obama

Un adesivo attaccato per protesta su un bagno in North Carolina

L'amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha revocato il provvedimento per cui i transgender possono usare i bagni delle scuole pubbliche in base all'identità di genere anziché al sesso biologico. Tali linee guida erano state introdotte durante l'amministrazione del precedente presidente, Barack Obama, e salutate come un'importante vittoria per la comunità LGBT.

Tuttavia, questi provvedimenti erano anche stati criticati e accusati di mettere a rischio la sicurezza e la privacy degli studenti. Un'altra critica è stata quella per cui un provvedimento di questo tipo sarebbe dovuto essere stabilito dai singoli stati, e non a livello nazionale.

La direttiva di Barack Obama è stata inoltre portata in tribunale in 13 diversi stati ed è stata bloccata in Texas da un giudice locale.

Mercoledì 22 febbraio l'amministrazione di Trump ha inviato una lettera a tutte le scuole pubbliche degli Stati Uniti in cui ha illustrato le nuove linee guida, aggiungendo che quelle precedenti creavano confusione.

Durante la campagna elettorale per le presidenziali, Donald Trump aveva dichiarato che i transgender avrebbero dovuto usare secondo lui i bagni che avessero loro stessi ritenuto più appropriati. Non è chiaro se la decisione di modificare le linee guida di Obama sia arrivata quindi per mettere ordine nel regolamento o per venire incontro alle critiche che si erano sollevate da parte di molti repubblicani dopo la sua precedente dichiarazione.

Fonte: The Post Internazionale

Scoperto un sistema solare con sette pianeti simili alla Terra

Si tratta del più grande sistema planetario mai scoperto con tanti possibili 'sosia' della Terra

Il nuovo sistema solare di sette pianeti simili alla terra scoperto dalla Nasa. Credit: nasa

Scoperto un sistema solare con 7 pianeti simili alla Terra, sei dei quali si trovano in una zona temperata in cui la temperatura è compresa fra zero e 100 gradi.

La ricerca, pubblicata su Nature, è stata coordinata dall'università belga di Liegi. Lo studio descrive il più grande sistema planetario mai scoperto con tanti possibili 'sosia' della Terra ed è stata confermata dalla Nasa.

Da pochi minuti si è conclusa la conferenza stampa straordinaria indetta dalla Nasa per il 22 febbraio 2017: sono stati scoperti sette pianeti “gemelli” della terra in un nuovo sistema solare che orbitano intorno alla stella dal nome Trappist-1, distante 39 anni luce dalla Terra. Come illustrato in conferenza dagli esperti, “Nel 2016 è stato lanciato un telescopio nello spazio. Questa scoperta ci dà un’idea del fatto che trovare un altro pianeta simile alla terra non sarà una questione di se ma solo di quando”.

Nell'orbita di Trappist-1, una nana rossa ultrafredda a una distanza stimata di circa 40 anni luce da noi sono stati scoperti in totale 7 piccoli pianeti rocciosi, con caratteristiche simili a quelle della Terra.

“Utilizzando oltre 20 giorni di osservazione abbiamo confermato che c’erano 7 pianeti in orbita attorno a questa stella”, ha spiegato l’esperto, “è una stella molto più luminosa il che dà un’idea di come siamo giunti a fare questa scoperta”.


“Il telescopio doveva essere un aiuto, è stato un miracolo dell’ingegneria che ha restituito misure molto più precise di quello che credevamo. Vediamo i pianeti che passano davanti a questa stella e sono in orbita attorno a questa stella. La dimensione dei pianeti viene data dalle misurazioni del telescopio. Ogni volta che i pianeti transitano dinanzi alla stella possiamo misurare l’orbita del pianeta”.

La configurazione è molto interessante, sono molto vicini tra loro, è come se si attirassero l’uno con l’altro. L’atmosfera ci dice molto sulla formazione, su cosa potrebbe renderli abitabili, con i telescopi spaziali e la spettroscopia che fa uuna sorta di misurazione delle impronte digitali del pianeta possiamo capire se si tratta di atmosfera dominata dall’elio o da altri elementi. Nei prossimi cinque anni potremmo avere molti dati nuovi, grazie ai nuovi telescopi”.

“Certo sarebbe importante”, conclude lo scienziato “capire se c’è presenza di acqua e quindi se possono essere abitabili. La scoperta è grande perché significa che ci sono sette pianeti potenzialmente abitabili, se non troviamo le condizioni in un pianeta, ne esistono altri sei dove cercare. Penso che questo sistema solare ha soddisfatto tutta la nostra immaginazione, sappiamo finalmente che potenzialmente ci sono altri pianeti abitabili".

Fonte: The Post Internazionale

mercoledì 22 febbraio 2017

Yemen, ucciso il capo di Stato maggiore delle forze governative

Le forze ribelli houthi hanno colpito la città di al-Mokha in Yemen uccidendo anche il generale Ahmed Saif al-Yafei

I ribelli armati houthi in Yemen sono appoggiati dall'Iran e si contrappongono alle forze governative sostenute da una coalizione dell'Arabia Saudita. Credit: Fawaz Salman

Il generale Ahmed Saif al-Yafei, capo di Stato maggiore delle forze governative yemenite, è stato ucciso nella mattinata di mercoledì 22 febbraio da un missile balistico che ha colpito la città costiera di al-Mokha, in Yemen, sul mar Rosso.

L’attacco è stato compiuto nelle prime ore della mattina dai ribelli armati houthi, rivali delle forze yemenite fedeli al presidente deposto Abd-Rabbu Mansour Hadi.

A riferirlo all'agenzia di stampa britannica Reuters è stata una fonte militare.

Anche l’emittente televisiva di proprietà saudita Arabiya tv ha confermato la morte del generale.

La città di al-Mokha si trova vicino allo stretto di Bab al-Mandab, attraverso il quale passa gran parte del petrolio mondiale, e dal gennaio scorso è sotto il controllo della fazione degli houti, sostenuti fra gli altri anche dall’Iran.

Nel contesto della guerra civile in Yemen, il presidente Abd-Rabbu Mansour Hadi è stato appoggiato dall’Arabia Saudita dopo la sua estromissione dalla capitale Sanaa da parte delle forze houthi nel 2014.

Fonte: The Post Internazionale

L'inflazione in Italia è salita dell'1 per cento rispetto al 2016

L’Istat ha rialzato le stime sull’inflazione, a gennaio è salita dello 0,3 per cento. Pesano verdura, frutta e carburanti. I prezzi sono in aumento in tutta Europa

L'inflazione nell’eurozona è salita a 1,8 per cento su base annuale, rispetto all’1,1 per cento di dicembre 2016. Credit: Eric Gaillard

L’inflazione in Italia a gennaio ha raggiunto dell’1 per cento. Il dato è il più alto dall’agosto 2013, quando si attestava all’1,2 per cento.

Lo ha comunicato l’Istituto nazionale di statistica (Istat), che ha rivisto al rialzo le stime provvisorie diffuse a inizio febbraio, che erano dello 0,9 per cento.

L'indice nazionale dei prezzi al consumo (Nic), al lordo dei tabacchi, ha registrato un aumento dello 0,3 per cento rispetto a gennaio 2017 e dell’1 per cento nei confronti di gennaio 2016.

Secondo l’Istat, a contribuire al rialzo sono stati in particolare l’accelerazione dei prezzi dei beni energetici non regolamentati (benzina e gasolio), passati da +2,4 per cento di dicembre a +9,0 per cento, e degli alimentari non lavorati (+5,3 per cento, era +1,8 per cento a dicembre).

I prezzi degli energetici regolamentati – energia elettrica e gas naturale – hanno invece vissuto una flessione, da -2,8 per cento a -5,8 per cento.

Al netto di queste componenti (beni energetici e alimentari freschi), la cosiddetta inflazione di fondo ha rallentato, seppur di poco, portandosi a +0,5 per cento, da +0,6 per cento del mese precedente.

Su base annua la crescita dei prezzi dei beni è accelerata in misura significativa (+1,2 per cento, da +0,1 per cento di dicembre) mentre quella dei servizi è rallentata (+0,7 per cento, da +0,9 per cento del mese precedente). Di conseguenza, rispetto a dicembre, il differenziale inflazionistico tra servizi e beni è tornato negativo dopo oltre tre anni, portandosi a meno 0,5 punti percentuali.

L'inflazione acquisita per il 2017 risulta pari a +0,7 per cento.

Trieste e Bolzano sono le città dove il rimbalzo dei prezzi è stato più evidente (rispettivamente +2,2 per cento e +2,1 per cento) mentre in coda sono Roma (+0,7%) e Bologna (+0,6 per cento).

I prezzi sono in aumento in tutta Europa. A gennaio 2017, secondo quanto indicato dall’ufficio statistico dell’Unione europea, l'inflazione nell’eurozona è salita a 1,8 per cento su base annuale, rispetto all’1,1 per cento di dicembre 2016.

Fonte: The Post Internazionale

"Perché la protesta dei tassisti oggi a Roma è fuori da ogni logica"

Il commento di Roberto Cociancich, firmatario dell'emendamento al decreto Milleproroghe contro il quale da giorni i tassisti stanno manifestando a Roma

Un uomo usa un tirapugni durante le proteste dei tassisti a Roma. Credit: Ansa

Protestano da sette giorni a Roma e scioperano in tutta Italia i tassisti e gli ambulanti italiani. Non sono mancati gli scontri con la polizia, le esplosioni di tre bombe carta, intimidazioni contro i conducenti Ncc, tirapugni e altre violenze.

Tra i manifestanti anche esponenti dell’estrema destra, tra saluti romani e bandiere nere con il simbolo dei pirati.

Quattro persone sono state fermate per le violenze, tra cui due esponenti di Forza nuova. Una terza persona è stata fermata per l'utilizzo di un tirapugni, mentre una quarta è stata fermata in quanto responsabile del lancio delle bombe carta.

Teatro degli scontri sono stati la piazza di Montecitorio, la sede del Pd a largo del Nazareno e il ministero dei Trasporti, dove si è tenuto l’incontro tra le sigle sindacali di categoria e il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio.

“Uber Uber vaffanculo” è lo slogan più intonato da tassisti, intervallato dall'inno di Mameli. E proprio il servizio di auto nere è uno dei bersagli della rabbia dei tassisti, considerato concorrenza sleale.

Nel 2015 il Tribunale di Milano aveva disposto il blocco di “Uber-pop”, il principale servizio della app Uber, quello grazie al quale tutti possono mettere a disposizione la propria automobile e improvvisarsi "tassisti". In Italia quindi, a differenza di molti altri paesi, non è possibile usufruire del servizio. I giudici avevano accolto il ricorso presentato dalle associazioni di categoria dei tassisti per concorrenza sleale.

Oggi in Italia è presente solo il servizio Uber di auto nere con conducente.

I tassisti stanno protestando contro un emendamento al decreto Milleproroghe che favorirebbe i servizi di noleggio con conducente e i servizi di mobilità basati su piattaforme online proprio come Uber, a firma Lanzillotta-Cociancich.

L'emendamento prevede che venga rimandato al 31 dicembre 2017 il termine entro cui il ministero dei Trasporti deve emanare il provvedimento contro l’esercizio abusivo del servizio taxi e Ncc. Questa ulteriore proroga è dettata dai “timori per la limitazione della libertà di concorrenza nel settore che la sua applicazione avrebbe comportato”.

Nel 2015 l’Autorità di regolazione dei trasporti aveva chiesto al parlamento di intervenire sulla materia, consentendo anche i servizi come Uber e favorendo la circolazione degli Ncc.

Gli ambulanti invece protestano per una norma contenuta nel Milleproroghe che rinvia al 2018 i nuovi bandi per la licenza degli ambulanti, nell'ambito della cosiddetta direttiva europea Bolkenstein sulla libera concorrenza.

"L'emendamento in sé dice semplicemente che ci diamo il tempo per trattare. La materia è estremamente complessa, c'è stata una stratificazione di norme che si sono succedute nel tempo", spiega a TPI il senatore Roberto Cociancich, firmatario insieme a Linda Lanzillotta, dell'emendamento in questione.

"Innanzitutto c'è un problema di coordinamento legislativo, di messa in mora da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato che ha detto che c'è un'eccessiva restrizione della concorrenza del mercato e c'è un problema di inadeguatezza del sistema, rispetto alle nuove tecnologie che oggi sono disponibili, alla cultura della sharing economy, la condivisione dei mezzi, alla possibilità di incentivare l'utilizzo di mezzi non privati per decongestionare il traffico nei centri urbani e ridurre l'inquinamento atmosferico, e consentire ai cittadini che non hanno i soldi per pagarsi il taxi o avere un'automobile, di poter avere dei mezzi alternativi di movimento", continua.

"L'emendamento diceva: prediamoci dieci mesi di tempo per sederci intorno a un tavolo. Chi fa queste manifestazioni esercita un proprio diritto, chi all'interno delle manifestazioni fa atti di intimidazioni, di violenza - e ho visto delle foto terrificanti - si pone fuori dalla legalità", sostiene Cociancich.

"Chi paralizza le città al di fuori del diritto di sciopero deve mettersi in regola, perché non è possibile che i cittadini sopportino per 6-7 giorni uno sciopero che è stato condannato anche dall'Autorità garante degli scioperi. Chi è contro è perché non vuole sedersi intorno a un tavolo con gli altri portatori di interessi, come ad esempio i cittadini, i consumatori. Non è accettabile la regola che chi è più forte e prepotente ce l'ha vinta", conclude.

Solidarietà ai tassisti dalla Lega e dal Movimento 5 stelle. La sindaca di Roma Virginia Raggi ha raggiunto la manifestazione, dichiarando il suo sostegno ai tassisti.

Anche il leader del Movimento 5 stelle “Blocchiamo la porcata del Pd contro i tassisti”. “I tassisti hanno assolutamente ragione, noi siamo assolutamente al loro fianco, i nostri parlamentari hanno presentato una mozione per abolire una proposta che li penalizza”, ha aggiunto poi il leader M5s.

Fonte: The Post Internazionale

martedì 21 febbraio 2017

Perché si parla dell’Unar

L'ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali – che dipende dal governo – è stato criticato da un servizio delle Iene per aver finanziato un'associazione che praticherebbe la prostituzione maschile


Francesco Spano, direttore generale dell’Unar – l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali che dipende dalla presidenza del Consiglio dei ministri e, in particolare, dal dipartimento delle Pari Opportunità – si è dimesso dal suo ruolo dopo un servizio delle Iene in cui si denuncia un uso improprio dei finanziamenti pubblici all’ente: si dice cioè che è stato assegnato un finanziamento attraverso un bando pubblico a un’associazione a cui sono legati del circoli nei quali non si farebbe nessuna attività di promozione sociale e culturale ma si praticherebbe la prostituzione maschile.

Il servizio delle Iene
L’Unar dipende dal dipartimento per le Pari Opportunità, la cui delega è stata confermata anche nel governo guidato da Paolo Gentiloni a Maria Elena Boschi: è stato istituito nel 2003 con l’obiettivo di promuovere la parità di trattamento tra le persone e di combattere contro le discriminazioni anche attraverso la concessione di fondi a enti o associazioni che lavorano per questo scopo.

Il servizio delle Iene è stato trasmesso il 19 gennaio. Mostra l’elenco delle associazioni accreditate all’Unar in base a una serie di requisiti: ci sono, tra le altre, Amnesty International Italia, la Croce Rossa, l’Unicef, la Comunità di Sant’Egidio e poi altre associazioni meno conosciute. Tra queste c’è un’associazione a cui a fine dicembre è stato assegnato un finanziamento per “la promozione di azioni positive finalizzate al contrasto delle discriminazioni”. Il bando prevedeva un finanziamento totale di quasi 1 milione di euro che è stato suddiviso e assegnato a diversi enti. Poco più di 55 mila euro sono stati dati a un’associazione di cui le Iene non fanno il nome ma che è visibile nella graduatoria del bando: si tratterebbe di Anddos, associazione nazionale contro le discriminazioni da orientamento sessuale.

Le Iene hanno intervistato in forma anonima la persona che ha segnalato loro quel preciso finanziamento: dice che all’associazione in questione sono legati dei circoli in cui ci sono saune e centri massaggi dedicati agli uomini omosessuali in cui le donne non possono entrare, in cui si fa sesso a pagamento e nei quali, sfruttando il fatto di essere un’associazione di promozione sociale e di avere agevolazioni fiscali, si svolgono attività a scopo di lucro spesso a sfondo sessuale. L’attività principale di questa associazione non sarebbe dunque quella culturale o sociale contro le discriminazioni: alcuni filmati girati dalle Iene mostrano che al termine di un massaggio vengono effettivamente proposte delle prestazioni sessuali a pagamento, e alcuni frequentatori dei circoli parlano confermando la storia. Sui siti di alcuni di questi circoli sono effettivamente segnalate tra le attività e i servizi “dark room” o “glory hole“, un buco praticato in una parete attraverso il quale è possibile svolgere determinate attività sessuali.

Nel servizio delle Iene si dice infine che il direttore del’Unar sarebbe socio di questa associazione e si dice che è stata mostrata loro anche la tessera con il numero di iscrizione. Francesco Spano ha smentito, ha ringraziato le Iene per la segnalazione e ha detto che avrebbe fatto delle verifiche. Nel servizio delle Iene ci si chiede se sia corretto finanziare associazioni di questo tipo e se non ci sia un conflitto di interessi tra il direttore che concede finanziamenti a un’associazione di cui lui stesso è socio.

Dopo il servizio
Il 20 febbraio Francesco Spano si è dimesso dal suo incarico di direttore generale dell’Unar dopo essere stato convocato a Palazzo Chigi dalla sottosegretaria alla presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi. Nella nota si legge:


«Le dimissioni vogliono essere un segno di rispetto al ruolo e al lavoro che ha svolto e continua a svolgere l’Unar, istituito con il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, in recepimento alla direttiva comunitaria n. 2000/43 CE contro ogni forma di discriminazione. La Presidenza del Consiglio, per quanto non si ravvisino violazioni della procedura prevista e d’accordo con il dott. Spano, disporrà la sospensione in autotutela del Bando di assegnazione oggetto dell’inchiesta giornalistica, per effettuare le ulteriori opportune verifiche. I relativi fondi, comunque, non sono stati ancora erogati» 


Dopo il servizio delle Iene ci sono state molte reazioni: Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, ha chiesto che l’Unar venga chiuso; il capogruppo della Lega in Senato e il senatore di Forza Italia Lucio Malan hanno annunciato delle interrogazioni parlamentari dicendo che l’Unar «agisce al di fuori della legge»; il Movimento 5 Stelle ha chiamato in causa Maria Elena Boschi dicendo che «deve dare immediate spiegazioni, anche al fine di chiarire se siano state compiute le opportune verifiche». Nel frattempo il Codacons ha presentato un esposto alla Corte dei Conti e alla procura di Roma in cui chiede di aprire un’indagine sull’utilizzo dei fondi pubblici da parte dell’Unar.

Il responsabile comunicazione dell’Unar Fernando Fracassi ha invece pubblicato un post su Facebook scrivendo: «Vorrei solo dire a chi con tanta enfasi sta riempiendo la mia bacheca di insulti gratuiti e mi telefona in anonimato per aggredirmi in modo violento solo perché lavoro all’Unar che purtroppo non sapete con quale dedizione noi svolgiamo il nostro lavoro, dal direttore fino all’ultimo operatore che risponde al numero verde. Non conoscete l’ufficio e vi basate solo su un servizio che distorce la realtà». E ancora: «Sono dispiaciuto per come è stato montato il servizio, noi non finanziamo associazioni ma solo progetti che abbiano esclusivamente una valenza sociale e che possano contribuire al contrasto contro le discriminazioni».

Gabriele Piazzoni, segretario nazionale di Arcigay, ha scritto in un comunicato che il servizio delle Iene, «che in malafede dosava anonimati, vaghezza e repentini precisi dettagli, perfino lesivi del diritto alla privacy, ha innescato una macchina del fango ignobile, subito cavalcata dagli omofobi di professione, dentro e fuori il Parlamento». Ha anche detto che la sospensione del direttore «serve a ristabilire la serenità necessaria a far proseguire il lavoro importante di Unar». E ha precisato che «l’elenco dei progetti finanziati dal dipartimento della Presidenza del Consiglio contiene iniziative importanti che si occupano di marginalità e di contrasto alle discriminazioni e all’esclusione sociale (…). C’è tutto un mondo del volontariato che lavora, fa tanto, nella stragrande maggioranza dei casi senza l’ombra di un euro di finanziamento pubblico. E c’è tutto un mondo di persone lgbti che hanno bisogno di interventi sociali e di sostegno, persone che non possono essere lasciate sole. Strumentalizzare delazioni carpite, confezionarle in una narrazione piena di pruderie e illazioni solo per affossare l’Unar è un’operazione politica miope. Non si getti fango, piuttosto si chieda chiarezza. L’Unar è e deve continuare ad essere un organo di garanzia di tutti e tutte sulle politiche contro le discriminazioni».

Fonte: Il Post

Donald Trump nomina un nuovo responsabile per la sicurezza nazionale

Herbert McMaster sostituirà Michael Flynn, dimessosi dopo appena tre settimane

Donald Trump e Herbert McMaster

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha nominato il generale Herbert McMaster come direttore del consiglio per la sicurezza nazionale. Il suo predecessore, Michael Flynn, si era dimesso dal proprio incarico dopo poco più di tre settimane dalla nomina per aver discusso con l'ambasciatore russo negli Stati Uniti riguardo la possibilità di rivedere le sanzioni verso Mosca senza ancora essere entrato in carica.

Per gli Stati Uniti, infatti, i privati cittadini - come lo era Flynn quando ancora non era entrato in carica - non possono portare avanti trattative diplomatiche.

Inizialmente Trump aveva pensato al vice ammiraglio Robert Harward per ricoprire l'incarico, ma quest'ultimo aveva preferito declinare l'offerta, facendo ricadere la scelta su Herbert McMaster, definito da Trump come una persona particolarmente esperta e di talento, che ha combattuto in Afghanistan e Iraq.

Fonte: The Post Internazionale

Attacco vicino a un tribunale in Pakistan, 5 morti

L'episodio è avvenuto nella città di Tangi, nel nord ovest del Pakistan

Sono almeno 11 i feriti nell'attacco suicida in un tribunale del Pakistan.

Un attacco presso una corte distrettuale del Pakistan ha causato la morte di almeno cinque persone martedì 21 febbraio 2017. Sono almeno 15 i feriti rimasti coinvolti nella serie di sparatorie avvenute a Tangi, nel distretto di Charsadda, nel nord ovest del paese, a 30 chilometri dalla città di Peshawar.

Il portavoce della fazione dei talebani pakistani Jamaat-ur-Ahrar, Asad Mansoor, ha rivendicato la responsabilità dell'attacco in un messaggio inviato ai giornalisti.



Un primo testimone ha riferito all'agenzia di stampa britannica Reuters di aver visto i corpi di "molte" vittime morte sulla scena.

Un altro testimone, Mohammad Shah Baz, che risiede nella zona, al momento dell'attacco si trovava all'interno dell'edificio e ha riferito di essere fuggito attraverso la mensa, per poi arrampicarsi su un muro e mettersi in salvo. "C'erano però molte persone morte e ferite", ha detto.

Il capo della polizia distrettuale, Sohail Khalid, ha riferito che almeno uno degli attentatori si è fatto esplodere, mentre un altro ha aperto il fuoco all'ingresso principale del tribunale prima di essere colpito e ucciso.

Fonte: The Post Internazionale

lunedì 20 febbraio 2017

Cosa è successo domenica nel PD

Un punto della situazione per chi era distratto: cosa è stato detto alla riunione dell'assemblea del partito e cosa succede adesso

Matteo Renzi, Michele Emiliano e Matteo Orfini. (ANSA/GIUSEPPE LAMI)

Domenica si è riunita l’assemblea nazionale del Partito Democratico – cioè una specie di parlamento interno al PD, e la riunione del partito a cui partecipano più persone, elette in larga parte con le ultime primarie – all’hotel Parco dei Principi di Roma. Le dimissioni di Matteo Renzi da segretario del partito sono state ufficializzate e si è aperto formalmente il congresso del PD, che terminerà entro quattro mesi con le primarie per la scelta del nuovo segretario.



Da giorni si parlava, con concretezze maggiori del solito, della possibilità che la minoranza del partito o almeno una sua parte lasciasse il PD. In particolare si aspettava di sapere cosa avrebbero deciso Enrico Rossi, presidente della Toscana, Michele Emiliano, presidente della Puglia, e Roberto Speranza, deputato della parte cosiddetta “bersaniana” della minoranza del partito, che tutti e tre avevano annunciato nei mesi scorsi la volontà di candidarsi alla segreteria del partito, e con loro Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema, due storici dirigenti della sinistra italiana tra i più critici nei confronti di Renzi. Nonostante sia Rossi che Emiliano che Speranza fino a poco tempo fa chiedevano a Renzi di indire il congresso il prima possibile – soprattutto quando sembrava che Renzi volesse portare il paese alle elezioni politiche prima della scadenza naturale del suo mandato di segretario – tutti e tre negli ultimi giorni hanno chiesto di non anticipare il congresso rispetto all’autunno, quando si sarebbe dovuto tenere se Renzi non si fosse dimesso da segretario, ufficialmente per il timore che si finisca per indebolire il governo Gentiloni.

Durante l’assemblea, per la minoranza ha parlato l’ex segretario Guglielmo Epifani, criticando le modalità con cui Renzi ha gestito la sua leadership e il rapporto con le componenti del partito in disaccordo con lui. Epifani non è stato molto attivo nella politica di queste ultime settimane e nel suo discorso non ha fatto esplicite richieste a Renzi e non ha annunciato l’uscita del partito in maniera chiara.



Bersani non intervenuto, ma nel corso dell’assemblea ha concesso un’intervista al programma In Mezz’ora, su Rai Tre. Emiliano è stato l’unico altro esponente della minoranza a intervenire. Il suo è stato un intervento a sorpresa, non concordato con gli altri leader della minoranza. Emiliano si è iscritto a parlare poco prima del suo intervento e ha fatto un discorso molto conciliante, in cui chiedeva a Renzi di fare un ultimo tentativo di evitare la scissione. È sembrato emozionato e ha detto di avere fiducia in Renzi e nella sua capacità di evitare lo scontro. Il giorno prima, Emiliano aveva usato toni molto più combattivi in un’assemblea con Rossi e Speranza (il deputato Giacomelli, che ha parlato subito dopo, si è detto contento di parlare «dopo il sosia di Emiliano»). Emiliano probabilmente si aspettava una replica di Renzi al termine dell’assemblea, che però non è arrivata.



L’intervento imprevisto di Emiliano ha gettato nella confusione molti tra giornalisti e delegati del PD e alcuni hanno iniziato a chiedersi se la scissione non stesse rientrando, complice anche la scarsa chiarezza delle dichiarazioni dei leader della minoranza che si erano succedute nel corso della giornata. Poche ore dopo l’assemblea, però, Rossi, Emiliano e Speranza hanno pubblicato un comunicato congiunto in cui accusano Renzi di aver provocato la scissione nel partito, dandola per già avvenuta. Sembrerebbe quindi che tutti e tre abbiano deciso di abbandonare il PD, ma agonie e tentennamenti durano da giorni quindi è ancora tutto incerto. Questa mattina i giornali parlano giù del possibile nome che avrà la nuova formazione e il numero di parlamentari sui quali può contare. Restano però ancora molte incognite, la prima è cosa deciderà di fare il presidente della Puglia Emiliano.


«Anche oggi nei nostri interventi in assemblea c’è stato un ennesimo generoso tentativo unitario. È purtroppo caduto nel nulla. Abbiamo atteso invano un’assunzione delle questioni politiche che erano state poste, non solo da noi, ma anche in altri interventi di esponenti della maggioranza del partito. La replica finale non è neanche stata fatta. È ormai chiaro che è Renzi ad aver scelto la strada della scissione assumendosi così una responsabilità gravissima»


Lorenzo Guerini, vicesegretario del PD, ha detto che di essere «esterrefatto ed amareggiato per la presa di posizione di Emiliano, Rossi e Speranza. Chiunque abbia seguito il dibattito della assemblea nazionale si è potuto rendere conto che esso andava in tutt’altra direzione, intervento dopo intervento. Segno che questa presa di posizione, del tutto ingiustificata alla luce del confronto odierno nel Pd, era evidentemente una decisione già presa».

Durante l’assemblea non hanno parlato altri dirigenti del partito a nome di chi minaccia di andarsene, né quelli che minacciano di andarsene; tra gli altri interventi, sono stati particolarmente applauditi quelli di Teresa Bellanova e Walter Veltroni, primo segretario del Partito Democratico.



Probabilmente si saprà qualcosa martedì, quando è stata convocata una riunione della direzione nazionale che, a sua volta, convocherà una commissione incaricata di stabilire le regole del congresso. Non si sa ancora quando si svolgeranno le primarie, ma si parla del 7 maggio. Renzi vuole che siano prima delle elezioni amministrative e dei referendum del prossimo giugno, mentre la minoranza in questi giorni ha chiesto più tempo: ma a questo punto non è chiaro nemmeno cosa si intende per “minoranza”, visto che alcuni suoi dirigenti minacciano di andarsene e non è ancora chiaro quanti e chi li seguiranno.

Fonte: Il Post