mercoledì 16 dicembre 2015

L’Italia manda 450 militari a difendere la diga di Mosul in Iraq

I peshmerga curdi di guardia alla diga di Mosul, nell’Iraq nordorientale, il 21 agosto 2014. (Youssef Boudlal, Reuters/Contrasto)

L’Italia manderà presto 450 militari a proteggere la diga di Mosul, sul fiume Tigri, una cinquantina di chilometri a nord della città settentrionale irachena occupata nel giugno del 2014 dal gruppo Stato islamico (Is). La decisione è stata presa il 15 dicembre al termine di un vertice sulla sicurezza dal presidente del consiglio Matteo Renzi, che ne ha parlato durante una puntata della trasmissione Porta a porta. La diga si trova in una zona molto pericolosa, al confine con il territorio controllato dai jihadisti dello Stato islamico. “È seriamente danneggiata e, se crollasse, Baghdad (350 chilometri a sud) sarebbe distrutta”, ha spiegato il premier.

Il più grande serbatoio del paese. L’appalto per la riparazione, una commessa di oltre due miliardi di dollari, l’ha vinto il gruppo Trevi di Cesena. Per garantire la protezione di tecnici e operai, il governo iracheno si è rivolto a quello italiano. I peshmerga curdi, con l’aiuto dei bombardamenti aerei statunitensi, avevano riconquistato l’infrastruttura strategica nell’agosto del 2014. Alta 131 metri e lunga 3,2 chilometri, è il più grande serbatoio idrico artificiale dell’Iraq: ha una capacità di otto milioni di metri cubi di acqua ed è fonte di elettricità per 1,7 milioni di persone.

Una potenziale bomba d’acqua. I jihadisti dell’Is l’hanno sempre considerata una possibile arma letale da utilizzare, facendola esplodere come un’enorme bomba d’acqua, per piegare la resistenza delle province di Ninive e Kirkuk. La diga, inaugurata nel 1983 dall’ex presidente iracheno Saddam Hussein, ha un problema strutturale che ha portato gli ispettori dell’esercito statunitense a definirla “la più pericolosa diga del mondo” in un rapporto del 2007.

L’operazione Prima Parthica. L’Italia partecipa alla campagna militare internazionale guidata dagli Stati Uniti contro il gruppo Stato islamico fin dall’inizio, circa un anno fa. La maggior parte dei 750 militari impegnati nell’operazione Prima Parthica – inserita nella missione internazionale Inherent resolve con sedi di comando in Kuwait e in Iraq – svolge funzioni di addestramento per le forze armate e di polizia irachene, tra Baghdad ed Erbil. A questi si uniranno i 450 soldati in partenza per Mosul.

I mezzi. Sono già destinati alle operazioni contro l’Is in Iraq quattro Tornado italiani del sesto stormo di Ghedi, un aereo cisterna KC767, alcuni droni Predator disarmati e due ricognitori a pilotaggio remoto Reaper, che fanno tutti base in Kuwait. Gli aerei da combattimento Tornado e i velivoli a pilotaggio remoto Predator compiono missioni quotidiane di intelligence, sorveglianza, acquisizione degli obiettivi e perlustrazione (intelligence, surveillance, target acquisition and reconnaissance o Istar). L’acquisizione dell’obiettivo consiste nell’identificazione e localizzazione del bersaglio attraverso dei sensori in dotazione agli aerei, con l’obiettivo di colpirlo e distruggerlo. I tornado si fermano prima di compiere l’ultima azione, che è invece portata a termine degli alleati, a cui gli italiani passano, spesso in tempo reale, il compito. L’aereo cisterna KC767 rifornisce in volo tutti i velivoli della coalizione.

Fonte: Internazionale

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