lunedì 30 novembre 2015

Il guaio dei rifiuti a Livorno

Da giorni i dipendenti dell'azienda comunale non raccolgono la spazzatura, per protestare contro una decisione del sindaco del Movimento 5 Stelle

(ANSA/FRANCO SILVI)

Da sabato mattina i dipendenti della Aamps, l’azienda comunale che gestisce la raccolta dei rifiuti a Livorno, in Toscana, sono in «assemblea permanente» – in pratica: non raccolgono la spazzatura – in seguito alla decisione del comune di Livorno di non ricapitalizzare la società, da mesi in difficoltà finanziarie. Secondo lo stesso sindaco Filippo Nogarin – eletto nel 2014 col Movimento 5 Stelle – per farlo servirebbero 10 milioni e 700mila euro che il comune non vuole spendere. È in corso una seduta del consiglio comunale di Livorno alla fine della quale è previsto un voto sulla situazione di Aamps, per la quale il comune vuole avviare il “concordato preventivo”: una specie di procedura fallimentare.

Nel weekend i giornali e telegiornali italiani hanno diffuso foto delle strade di Livorno piene di rifiuti. Dalla protesta dei dipendenti di Aamps sono comunque rimasti esclusi scuole, ospedali e caserme, mentre domenica mattina alcuni di loro hanno anche raccolto i rifiuti presenti a piazza Cavallotti, dove si tiene il mercato principale della città.




I problemi sono iniziati quando il comune ha deciso di fare richiesta per fare entrare la società in concordato preventivo, un istituto previsto dalle leggi italiane per le aziende in difficoltà. Durante il concordato preventivo la dirigenza dell’azienda viene affiancata da un commissario giudiziale, una figura simile al curatore fallimentare. Il comune di Livorno ha fatto sapere di voler richiedere il concordato preventivo per Aamps giovedì 26 novembre. Venerdì 27 circa 300 dipendenti dalla società hanno contestato la giunta nella sala dove la commissione bilancio del comune stava discutendo della richiesta del concordato. Stamattina il consiglio comunale di Livorno si è riunito per il voto definitivo sulla richiesta di concordato: in aula sono di nuovo presenti circa 300 dipendenti di Aamps, il voto è atteso in giornata.

Il timore dei dipendenti di Aamps è che passando per il concordato l’azienda sarà costretta a licenziare parte del personale, cosa che probabilmente non succederebbe invece in caso di ricapitalizzazione. Nogarin ha invece detto che nessuno dei dipendenti di Aamps perderà il lavoro e ha fatto notare che Aamps «ha 42 milioni di debito, e se fosse privata sarebbe destinata al fallimento». In un’intervista al Tirreno, Nogarin ha spiegato che un’eventuale ricapitalizzazione avrebbe messo «in ginocchio la città, riducendo i servizi essenziali per i cittadini e di conseguenza cancellando molti posti di lavoro». Beppe Grillo, attraverso il suo blog, ha avviato una campagna per sostenere Nogarin spiegando che la colpa dei debiti di Aamps è del centrosinistra e soprattutto del Partito Democratico, che nelle sue varie forme ha governato la città dal dopoguerra fino al 2014. Grillo sostiene che quando Nogarin si è insediato il comune di Livorno aveva 42 milioni di debiti.

Tre consiglieri del Movimento 5 Stelle hanno annunciato però che voteranno contro la proposta di concordato, così come tutti gli altri consiglieri di opposizione. Secondo i calcoli del Tirreno la proposta del comune dovrebbe comunque essere approvata con 17 voti a favore e 16 contrari.

Fonte: Il Post

Rita Fossaceca, la dottoressa italiana uccisa in Kenya durante una rapina

Lavorava per i bambini in una Onlus la dottoressa Rita Fossaceca, 51 anni, originaria del Molise ma residente a Novara. Il fondatore della ForLife: "Sono sconvolto, faceva del bene"


Era in Kenya con la ForLife Onlus in Kenya la dottoressa Rita Fossaceca, originaria del Molise ma trasferitasi ormai da tanti anni a Novara dove era radiologa all’ospedale Maggiore: è stata uccisa durante una rapina in casa a Mijomboni, non distante da Malindi. I responsabili sarebbero banditi comuni, nessun collegamento con ipotesi di terrorismo: solo una vicenda tragica che ha per protagonista una nostra connazionale, e in cui sono rimasti ferite altre tre persone del cui stato si sa ancora poco.

RITA FOSSACECA, LA DOTTORESSA ITALIANA UCCISA IN KENYA DURANTE UNA RAPINA
La dottoressa era nata a Trivento, paese nell’entroterra molisano. Così Repubblica.

Secondo le prime informazioni, i banditi hanno fatto irruzione armi in pugno nell’abitazione che la donna condivideva con gli altri italiani. Non è chiara la dinamica esatta della morte della donna, ma i rapinatori avrebbero sparato e l’avrebbero colpita alla testa.

Per lei non c’è stato nulla da fare.



Era in Kenya da un paio di settimane con la Onlus fondata da un medico suo collega a Novara: “Non sappiamo cosa sia accaduto di preciso, sono sconvolto. Era il mio braccio destro non so come farò ad andare avanti”, dice all’Ansa Alessandro Carriero, il medico fondatore della ForLife.

A volte succedono cose inspiegabili. La dottoressa Rita Fossaceca non c’é più, ha dato tutta se stessa per l’orfanotrofio e l’infermieria di Mijomboni. Vittima, ha pagato con la vita il suo grande amore per i bambini. Rita siamo tutti con te, il nostro pensiero va anche agli altri 5 volontari che sono ancora in Kenya e speriamo tornino presto. Grazie a tutte le persone che ci sono vicine in questo momento.

Così sul sito della ForLife Onlus. Dal ministro Paolo Gentiloni le condoglianze.

Le mie più sincere condoglianze e il mio pensiero alla famiglia della signora Fossaceca, una persona che so essere molto amata e rispettata per la sua profonda dedizione e il suo impegno a difesa dei più deboli, malati e donne in Africa. Tutti gli italiani rimasti coinvolti nel feroce atto di violenza di ieri, si trovano in Kenya per fare del volontariato con una Onlus, una scelta coraggiosa ed ammirevole di cui essere orgogliosi

Fonte: Giornalettismo

Papa Francesco nella moschea: «Restiamo uniti. Cessi ogni azione che sfiguri il volto di Dio»

Il Pontefice nel luogo di preghiera degli islamici a Bangui (Repubblica Centrafricana): «Insieme diciamo no a odio, violenza, vendetta, in particolare quella in nome di Dio»


Questa mattina, dopo essersi congedato dalla nunziatura apostolica di Bangui, Papa Francesco si è recato alla moschea centrale della capitale della Repubblica Centrafricana per incontrare la locale comunità musulmana. È stato accolto da 5 imam.

IL PAPA NELLA MOSCHEA. «DICIAMO INSIEME NO ALL’ODIO» - «Restiamo uniti – ha detto il Pontefice nella moschea (a Koudoukou, a 4 km da Bangui) – perché cessi ogni azione che da una parte o dall’altra sfigura il volto di Dio e ha in fondo lo scopo di difendere con ogni mezzo interessi particolari, a scapito del bene comune». «Insieme diciamo no a odio, violenza, vendetta, in particolare quella in nome di una fede o di un Dio»

Nella Repubblica Centrafricana, «in questi tempi drammatici, i capi religiosi cristiani e musulmani hanno voluto alzarsi all’altezza delle sfide del momento, hanno giocato un ruolo importante per ristabilire l’armonia e la fraternità», ha detto ancora il Papa. Francesco ha espresso loro «gratitudine e stima» e cita i «tanti gesti di solidarietà» dai musulmani espressi verso rappresentanti di altre fedi.

La Repubblica Centrafricana – ha detto ancora il Pontefice – «grazie alla collaborazione di tutti i suoi figli potrà dare impulso» a tutto il continente se «le prossime consultazioni» daranno leader capaci di unire la nazione e non rappresentare una fazione. La Repubblica Centrafricana potrà «influenzare positivamente l’Africa e aiutare a spegnere i focolai di tensione che vi sono presenti e impediscono agli africani di beneficiare di quello sviluppo che meritano e al quale hanno diritto».

L’IMAM AL PAPA: «CRISTIANI E MUSULMANI CONDANNATI AD AMARSI» - Le parole di Papa Francesco sul ruolo di pacificazione svolto insieme dalle diverse fedi nella Repubblica Centrafricana sono apparse in sintonia con quanto ha affermato dall’imam della moschea centrale di Koudoukou, Tidiani Moussa Naibi, nel suo saluto a Papa Francesco. «La sua visita – ha detto l’esponente musulmano rivolgendosi al Pontefice – è un simbolo che noi comprendiamo perfettamente. Ma la vorrei subito rassicuare: no, le relazioni tra fratelli e sorelle cristiani e noi stessi sono talmente profonde, che nessuna manovra tendente a spezzarle potrebbe andare avere successo. I fautori dei disordini potrebbero ritardare la realizzazione di questo o quel progetto di comune interesse o compromettere per un tempo l’una o l’altra attività, ma mai, ‘in sha Allah’, essi potrebbero distruggere i legami di fraternità che uniscono solidamente le nostre comunità». «I cristiani e i musulmani di questo Paese sono condannati a vivere insieme e ad amarsi».

(Foto di copertina: Papa Francesco a bangui. Credit: ANSA / DANIEL DAL ZENNARO)

Fonte: Giornalettismo

Parigi in piazza per la Terra


Più di mezzo milione di persone hanno manifestato in tutto il mondo – dall’Australia al Paraguay – per ricordare ai leader politici riuniti a Parigi l’urgenza di decisioni politiche ed energetiche per affrontare i cambiamenti climatici.

Nella capitale francese le manifestazioni erano state vietate in seguito agli attacchi terroristici del 13 novembre, ma i cortei ci sono stati lo stesso. Diecimila persone hanno formato una catena umana lungo il percorso della marcia che era stata vietata e a place de la République sono state deposte ventimila paia di scarpe, tra cui anche quelle inviate da papa Francesco e da Ban Ki-moon, in ricordo dei manifestanti a cui è stato impedito di marciare. La polizia ha fermato circa duecento persone i seguito ad alcuni scontri con le forze di sicurezza.

Fonte: Internazionale

Le speranze della conferenza sul clima

Una manifestazione in vista della conferenza sul clima a Kiev, in Ucraina, il 29 novembre 2015. (Valentyn Ogirenko, Reuters/Contrasto)

Bernard Guetta, giornalista

Chi sogna il grande accordo, vincolante come un trattato internazionale e capace di imporre a tutti i paesi del mondo il limite di due gradi ulteriori per l’aumento della temperatura, resterà deluso. Un successo di questo genere è altamente improbabile, e in fondo non è nemmeno l’obiettivo reale della Cop-21.

Più realisticamente, la conferenza sul cambiamento climatico potrebbe chiudersi con alcuni impegni largamente condivisi e soprattutto con la decisione di esaminare, almeno ogni cinque anni, i provvedimenti applicati dalle diverse capitali. In questo senso nei prossimi quindici giorni potremmo assistere a un passo avanti non trascurabile.

Il primo motivo per essere ottimisti è che la Cina e gli Stati Uniti vogliono un accordo. In realtà a Washington non tutti sono favorevoli, perché gran parte dei repubblicani e le lobby industriali continuano a opporsi a un’intesa sul clima. Ma Barack Obama spinge sull’acceleratore, sostenuto anche dall’opinione pubblica statunitense.

"Il costo delle energie alternative è calato dal 2013 rendendole davvero competitive rispetto ai combustibili fossili

Per quanto riguarda la Cina, Pechino ha ormai capito che rischia di avvelenare le sue grandi città e che la lotta all’inquinamento può essere l’unico fattore di contestazione politica potenzialmente rischioso.

Il secondo motivo per cui la conferenza potrebbe essere un successo è che la Francia, paese organizzatore, siede in tutte le grandi istituzioni internazionali e ha saputo avviare i dibattiti e influenzare positivamente diversi paesi e gruppi di paesi.

Il terzo motivo per credere a un esito positivo della Cop21 è che il costo delle energie alternative è calato sensibilmente dal 2013, l’anno della svolta, rendendole davvero competitive rispetto ai combustibili fossili dal punto di vista economico.

Le alternative dell’India

Per il momento è ancora troppo presto per cantare vittoria, ma il rapporto di forze appare incoraggiante. L’Europa, la Cina e gli Stati Uniti spingeranno nella stessa direzione, e non è poco. Il Brasile e il Giappone cercheranno di frenare la trattativa, ma l’Australia e il Canada sono ormai favorevoli all’accordo. L’Arabia Saudita non è evidentemente una grande sostenitrice delle energie alternative, ma in questo momento non ha interesse a contrariare gli occidentali, di cui ha profondamente bisogno in Medio Oriente. Anche la Russia, altra grande produttrice di petrolio, probabilmente non ha alcuna voglia di opporsi al blocco sino-occidentale.

Restano due punti interrogativi, l’India e l’Africa. L’India ha la possibilità di fare di testa propria, ma deve scegliere se essere l’ultimo paese a industrializzarsi come nel diciannovesimo secolo o il primo a fondare il suo sviluppo sulle energie verdi. La scelta dipenderà dai trasferimenti tecnologici che le saranno consentiti. Quanto all’Africa, è tutta una questione di soldi e aiuti internazionali, perché il continente non ha i mezzi per scegliere autonomamente un strada virtuosa. La conferenza sarà un successo? Lo scopriremo tra due settimane.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Fonte: Internazionale

30 persone uccise in dei combattimenti nella Repubblica Democratica del Congo

Tra le vittime degli scontri con i ribelli islamisti ugandesi c'è anche un casco blu dell'Onu

Caschi blu delle Nazioni unite in azione nella Repubblica democratica del Congo. Credit: Kenny Katombe 

Almeno 30 persone, tra cui anche un casco blu delle Nazioni Unite, sono stati uccise in degli scontri che hanno visto contrapporsi la truppe dell'esercito congolese insieme a quelle delle Nazioni Unite contro i ribelli islamici ugandesi.

I combattimenti sono avvenuti nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo. L'agenzia Reuters riporta che gli scontri sarebbero avvenuti nella giornata di domenica 29 novembre.

La zona è oggetto da tempo di ripetute violenze, fonti locali dicono che almeno 500 persone sono state uccise dall'ottobre del 2014. La maggior parte degli omicidi sono avvenuti durante spedizioni notturne condotte dai ribelli ugandesi con machete e accette.

Fonte: The Post Internazionale

Decine di civili uccisi da un probabile raid aereo russo in Siria

Almeno 18 civili sono morti in seguito a un probabile raid aereo da parte delle forze russe che ha colpito la città di Ariha, nel nordovest della Siria

Un probabile raid aereo russo ha colpito la città di Ariha, nel nordovest della Siria, domenica 29 novembre 2015. Credit: Reuters

Almeno 18 civili sono stati uccisi e 40 sono rimasti feriti in seguito a un probabile raid aereo russo che ha colpito la città di Ariha, nel nordovest della Siria, domenica 29 novembre 2015.

La città siriana di Ariha si trova nella provincia di Idlib ed è sotto il controllo di un'alleanza di ribelli siriani di cui fa anche parte il fronte Al-Nusra, alleato di al-Qaeda, secondo quanto riportato dall'Osservatorio siriano per i diritti umani.

Il 30 settembre del 2015 il governo russo ha effettuato i primi raid aerei in territorio siriano, colpendo diversi depositi di armi e munizioni dell'Isis.

A due mesi dall'inizio degli attacchi dell'aviazione russa in Siria, il ministro della Difesa ha reso noti i primi risultati ufficiali: la Russia ha colpito oltre 1.600 bersagli.

--- A che gioco gioca la Russia in Siria. Perché il governo russo ha deciso di intervenire in Siria? L'analisi di Davide Tramballi

--- Qui un punto su tutto quello che c'è da sapere sullo scontro che coinvolge Ankara e Mosca dopo l'abbattimento di un caccia russo da parte dei jet turchi vicino al confine con la Siria

(Qui sotto: una mappa mostra la provincia di Idlib, nel nordovest della Siria, presa di mira dai raid aerei che hanno causato la morte di decine di civili domenica 29 novembre 2015. Credit: Bbc)


Fonte: The Post Internazionale

domenica 29 novembre 2015

Le tensioni tra Russia e Turchia spaventano gli iracheni

Forze di sicurezza irachene combattono contro i jihadisti del gruppo Stato islamico a Ramadi, il 14 maggio 2015. (Reuters/Contrasto)

Zuhair al Jezairy, giornalista

Recentemente un analista ha terrorizzato gli iracheni prevedendo che presto scoppierà la terza guerra mondiale. “E noi ci troveremo nel bel mezzo dell’inferno. Che dio ce ne scampi!”, ha risposto un anziano venditore ambulante a un giornalista della tv.

Gli iracheni si trovano presi tra la Turchia e i suoi alleati della Nato da una parte e l’Iran sostenuto dalla Russia dall’altra, e temono un aumento delle ostilità dopo l’abbattimento di un aereo militare russo da parte della Turchia e le minacce della Russia ad Ankara. Da Teheran l’ex premier iracheno Nuri al Maliki ha dichiarato che il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan “rischia di scatenare un’altra guerra mondiale”. 

Ufficialmente le autorità del Kurdistan iracheno non approvano l’intervento russo in Siria. Il presidente del governo regionale curdo Massud Barzani ha annunciato che non permetterà alla Russia di usare il suo spazio aereo, ma allo stesso tempo teme che Erdoğan aiuti lo Stato islamico per contrastare il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). L’analista Hiwa Osman ha scritto sulla sua pagina Facebook: “Se fossi Putin fornirei al Pkk dei missili antiaerei”.

Intanto nell’ovest dell’Iraq l’esercito iracheno sta circondando la città di Ramadi, occupata dallo Stato islamico. I due schieramenti sono ormai distanti appena 700 metri. I generali iracheni sperano in un aumento dei bombardamenti aerei, anche con la partecipazione della Russia, per poter riconquistare la città entro la fine dell’anno.

(Traduzione di Gabriele Crescente)

Fonte: Internazionale

Ucciso un noto avvocato e attivista curdo in Turchia

Tahir Elci, un curdo di 49 anni, è stato ucciso durante una sparatoria nella città Diyarbakir. Poche ore dopo, 2mila persone in protesta a piazza Taksim a Istanbul

Manifestanti a piazza Taksim il 28 novembre. Credit: Alberto Tetta

Un importante avvocato e attivista curdo è stato ucciso da un colpo di arma da fuoco alla testa nel corso di una sparatoria avvenuta sabato 28 novembre nella città a maggioranza curda di Diyarbakir, nel sudest della Turchia.

Il fatto ha riacceso le tensioni nel Paese fra la minoranza curda e il governo turco, e rischia di accentuarle ancora di più per i giorni a venire.

L'uomo rimasto coinvolto nell'incidente si chiamava Tahir Elci, 49 anni, e aveva da poco rilasciato un'intervista a media locali.

Secondo alcuni testimoni, Elci sarebbe stato stato ucciso da un unico colpo di pistola. Un video mostra alcuni agenti della polizia in borghese che sparano ripetutamente contro l'uomo che si stava dirigendo verso di loro.



L'uomo è poi caduto a terra. Insieme a lui almeno due poliziotti sono rimasti uccisi nella sparatoria. Non ci sono ancora conferme ufficiali sulla dinamica precisa dell'incidente.

Qualche ora dopo la sparatoria, circa due mila persone sono scese in piazza Taksim a Istanbul per protestare contro l'uccisione dell'avvocato. La folla camminava urlando “Spalla a spalla contro il fascismo” e anche “Tahir Elci è immortale”.

La polizia ha tentato di disperdere la folla con cannoni ad acqua e gas lacrimogeni.

Il Partito democratico del popolo (Hdp) filo-curdo ha dichiarato che l’avvenimento è stato un "omicidio pianificato" e ha invitato il popolo a scendere in piazza per protestare.

Elci era un personaggio noto alla comunità curda e alle autorità. In passato aveva dichiarato che il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) non era un'organizzazione terroristica, contrariamente a quanto afferma il governo turco che lo ha definito un'organizzazione terroristica, riconosciuta tale anche da Stati Uniti e Unione europea.

Ciononostante, Elci stesso aveva denunciato la violenza del Pkk per cui sono morte centinaia di persone da quando nel luglio del 2015 sono ripresi i combattimenti fra le forze di sicurezza turche e i curdi, in un conflitto che dal 1984 ha causato la morte di circa 40mila persone. Il Pkk si batte da diversi anni per una maggiore autonomia dei curdi all'interno della Turchia.

In una conferenza stampa, il ministro degli Interni Efkan Ala ha dichiarato che la sparatoria in cui è rimasto coinvolto Elci è iniziata dopo che una persona a bordo di una macchina non identificata ha aperto il fuoco contro la polizia.

Il primo ministro turco Ahmet Davutoglu ha detto che non è chiaro se Elci sia stato vittima di omicidio o sia stato involontariamente coinvolto durante una sparatoria.

In seguito all'incidente, le autorità locali della città di Diyarbakir hanno dichiarato che è stato imposto il coprifuoco e che quattro investigatori sono già stati assegnati al caso.

Qui sotto: il video della manifestazione avvenuta a Istanbul con cui la polizia disperde i manifestanti



Fonte: The Post Internazionale

Attentato nel nord del Camerun, sette morti

L'attacco è avvenuto in un villaggio nel nord del Camerun. Le autorità sospettano che sia stato condotto dal gruppo estremista islamico Boko Haram

Un soldato delle forze speciali del Camerun. Credit: Bate Felix Tabi Tabe

Sabato 28 novembre due attentatori suicida si sono fatti esplodere in un villaggio nel nord del Camerun. L’esplosione ha ucciso sette persone, tra cui i due attentatori. Due soldati sarebbero rimasti feriti.

Le autorità sospettano che l’attentato sia stato condotto dal gruppo estremista islamico Boko Haram, che opera prevalentemente nel nordest della Nigeria, lungo il confine con il Camerun.

Tuttavia l'attacco non è ancora stato rivendicato dal gruppo fondamentalista.

Lo scorso ottobre il presidente americano Barack Obama aveva annunciato al Congresso degli Stati Uniti la sua intenzione di dispiegare 300 soldati statunitensi in Camerun per assistere il Paese africano nella lotta contro Boko Haram.

Venerdì 27 novembre un attacco suicida aveva provocato la morte di almeno 21 persone durante una processione sciita nello stato federale di Kano, nel nord della Nigeria. Anche questo attentato, secondo la polizia locale, sarebbe riconducibile a Boko Haram.


Fonte: The Post Internazionale

sabato 28 novembre 2015

"Prendere 110 e lode a 28 anni non serve ad un fico, è meglio prendere 97 a 21 anni". Alcune precisazioni per il Ministro Poletti


“Prendere 110 e lode a 28 anni non serve ad un fico, è meglio prendere 97 a 21 anni”. Caro Ministro Poletti, non so se lei abbia ragione o torto, ma vorrei dire delle cose che ha tralasciato (e chissà perchè).
La sua dichiarazione potrebbe tranquillamente tradursi col fatto che dall’università deve uscire gente impreparata, cosa che già avviene.
Inoltre, caro Ministro Poletti, forse, sarebbe anche il caso di dire che chi si laurea a 28 anni (o anche più) non è pure per la burocrazia lenta, per gli ordinamenti che ogni anno vengono stravolti, per i 40 esami da sostenere, molti dei quali abbastanza inutili, per le tasse universitarie alle stelle?
Ha dimenticato questi piccoli dettagli, se proprio vogliamo definirli tali.
Certo, c’è anche gente che si laurea in corso con o senza il massimo dei voti, per carità. Ma non tutti sono Einstein e/o sono ricchi. E, poi, prendere 97 a 21 anni, molto spesso, non è sinonimo di preparazione. Anzi…
Caro Ministro Poletti, non in ultimo, parla lei che la laurea non ce l’ha ed è solo diplomato? Lei che già da ragazzo era presente nelle sedi di partito? Facile parlare così, non crede?
Caro Ministro Poletti, se molti si laureano a 28 anni e se l’università italiana fa schifo, forse, è anche per colpa del governo di cui lei fa parte.

I sospettati di terrorismo in Italia

Negli ultimi giorni ci sono stati una decina di arresti ed espulsioni: un cittadino siriano è stato incriminato di terrorismo internazionale

(ANSA)

Alali Faowaw, un siriano di 30 anni arrestato il 19 novembre all’aeroporto di Bergamo, è stato formalmente accusato di terrorismo internazionale. Faowaw è una delle persone che negli ultimi giorni sono state arrestate o espulse dall’Italia per essere sospettate di avere legami con gruppi terroristici. Faowaw era stato trovato in possesso di un passaporto falso: al momento dell’arresto era insieme a Al Hassan Hazem, 19 anni, ed entrambi si stavano imbarcando su un volo per Malta. Faowaw e Hazem si trovano al momento in isolamento nel carcere di Bergamo. Il ministero degli Interni non ha ancora diffuso alcun comunicato per commentare la vicenda.

Faowaw è stato accusato di fare parte dell’ISIS (o Stato Islamico): secondo diversi giornali, sul suo cellulare è stata trovata una fotografia che lo ritrae per le strade di Raqqa, la “capitale” dello Stato Islamico, con indosso una divisa militare. La Stampa ha scritto che Faowaw si è difeso spiegando che era stato arruolato nella polizia dello Stato Islamico e che il suo compito era quello di presidiare un incrocio. Faowaw ha raccontato di avere poi deciso di scappare dalla Siria dopo che, a causa di un’accusa di corruzione, aveva ricevuto minacce di morte e cento frustate. In diverse zone della Siria e dell’Iraq sotto il suo controllo, l’ISIS ha creato una forza di polizia civile incaricata di mantenere l’ordine e di risolvere piccoli crimini. Esistono anche unità di polizia religiosa, spesso composte da donne, che si occupano di punire le infrazioni al severo codice religioso in vigore. Tra le altre cose, in queste aree è proibito bere alcolici, fumare e ascoltare musica.

Non è chiaro se anche Hazem, il 19enne arrestato insieme a Faowaw, sia stato accusato di terrorismo, ma la Stampa ha scritto che fotografie di uomini armati sono state trovate anche sul suo cellulare. Hazem si è difeso dicendo che le foto sono quelle del fratello, reclutato dall’ISIS e morto in combattimento. Sempre secondo la Stampa, Hazem ha detto di “odiare” l’ISIS perché l’organizzazione è la causa della morte del fratello.

In Italia, sono circa una decina i casi di cittadini stranieri arrestati o espulsi dopo gli attacchi di Parigi dello scorso 13 novembre. La Stampa ha scritto che nei giorni scorsi una persona con passaporto afghano era stata arrestata a Bardonecchia, in provincia di Torino, mentre si trovava a bordo di un treno proveniente dalla Francia. Nello zaino dell’uomo erano stati trovati sei telefoni cellulari e 23 schede sim intestate ad altrettante persone. Su uno dei telefoni sono state trovate fotografie di uomini armati davanti a teste decapitate. L’uomo al momento si trova al Centro di identificazione ed espulsione di Torino.

Nella notte tra venerdì e giovedì, tre cittadini siriani con passaporti falsi sono stati arrestati ad Ancona, mentre stavano per salire su un treno diretti a Milano. I tre hanno detto di essere sbarcati a Bari, nascosti in un container e di aver acquistato i documenti falsi in Turchia. Sono stati processati per direttissima e saranno espulsi nei prossimi giorni. Giovedì, il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha detto che dall’inizio dell’anno 61 persone sono state espulse perché ritenute pericolose per la sicurezza dell’Italia. Fino al 17 novembre, gli espulsi erano 55. Il ministro ha spiegato che l’espulsione è uno strumento utilizzato quando nei confronti di un sospetto non ci sono abbastanza prove per sostenere un processo: è un procedimento amministrativo che diventa immediatamente esecutivo.

È possibile fare ricorso contro un decreto di espulsione, ma non capita spesso visto che dopo l’espulsione lo straniero si trova spesso già fuori dai confini italiani. Diversi esperti sostengono che ci sono dubbi su quanto sia etico ricorrere con leggerezza allo strumento dell’espulsione, ma aggiungono che è anche molto valido nella lotta al terrorismo internazionale. L’espulsione è molto utilizzata in Italia anche perché, a differenza di Francia e Belgio, pochi sospetti di terrorismo sono cittadini italiani.

Fonte: Il Post

La barriera tra Macedonia e Grecia

La stanno costruendo i militari macedoni, è fatta di rete metallica e filo spinato e serve a bloccare l'ingresso a tutti i migranti che non provengono da Siria, Afghanistan o Iraq

(AP Photo/Giannis Papanikos)

La Macedonia ha iniziato a costruire una barriera lungo il suo confine con la Grecia per bloccare l’ingresso a tutti i migranti che non provengono da Siria, Iraq e Afghanistan, tre paesi dove sono in corso guerre di diverse intensità e i cui cittadini hanno molte possibilità di ottenere lo status di rifugiati una volta entrati in Europa. La barriera al momento è formata da una rete metallica sormontata da filo spinato. La Macedonia è una delle prime tappe della cosiddetta “rotta balcanica”, la via principale attraverso cui centinaia di migliaia di migranti sono entrati in Europa nell’ultimo anno.

Sabato mattina, quando la polizia macedone ha iniziato ad alzare la rete metallica lungo il confine, ci sono stati scontri con alcuni migranti che hanno lanciato sassi contro gli agenti. La polizia ha risposto con il lancio di lacrimogeni e i migranti si sono rapidamente dispersi.

Dagli attentati del 13 novembre a Parigi, tutti i paesi europei e quelli che si trovano lungo la rotta balcanica hanno inasprito i controlli alle frontiere. La Macedonia ha iniziato a bloccare molti dei migranti che tentano di passare i suoi confini e ha detto che d’ora in poi lascerà entrare soltanto siriani, afghani e iracheni. Nei giorni scorsi alcuni migranti iraniani si erano cuciti le bocche per protesta, mentre una decina di altri migranti aveva iniziato uno sciopero della fame. Al momento circa mille migranti si trovano bloccati al di là del confine senza poter entrare in Macedonia.

Questa estate l’Ungheria è stato il primo paese lungo la “rotta balcanica” a costruire una barriera lungo le sue frontiere, prima al confine con la Serbia, poi a quelli con la Croazia e la Romania. La Bulgaria ha iniziato la costruzione di una recinzione al suo confine con la Turchia, mentre l’Austria sta studiando la possibilità di chiudere con una recinzione la sua frontiera con la Slovenia.

Fonte: Il Post

La conferenza di Parigi è un’occasione da non perdere

L’allestimento dell’installazione Paris de l’avenir, per la conferenza sul clima a Parigi, il 26 novembre 2015. (Eric Gaillard, Reuters/Contrasto)

Claudia Grisanti, giornalista

Dopo anni di tentativi sterili, ci sono buone possibilità che la conferenza di Parigi sul cambiamento climatico segni una svolta. “I mediatori hanno preparato una bozza di accordo attuabile, che sarà probabilmente approvata” scrivono su Nature i professori David Victor e James Leape. Il mondo degli affari e i gruppi ambientalisti sono coinvolti come mai prima, governi e finanza stanno raccogliendo i fondi per aiutare i paesi più poveri, persino i leader religiosi hanno parlato dei pericoli del cambiamento climatico.

A conferenza finita, però, dovrà cominciare l’effettivo processo di “decarbonizzazione”, cioè la riduzione delle emissioni di carbonio nella produzione di energia e crescita economica. Secondo Victor e Leape, la conferenza avrà successo solo se gli accordi si tradurranno in azioni. Alla comunità scientifica i professori chiedono di coltivare la ricerca su aspetti che siano direttamente rilevanti per i politici, continuare a valutare le cause del cambiamento climatico e gli impatti.

Ha una posizione simile Hoesung Lee, il presidente dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), che su Science, a proposito della scienza del cambiamento climatico, scrive: “Sappiamo più che abbastanza per agire”. Lee promette che l’Ipcc cercherà di concentrarsi sulle soluzioni, coinvolgendo gli esperti dei paesi in via di sviluppo, pur continuando ad affinare la comprensione dei meccanismi del cambiamento climatico. Il coinvolgimento della comunità scientifica nei paesi in via di sviluppo sembra un punto fondamentale. “Abbiamo bisogno di informazioni migliori sull’impatto del cambiamento climatico e sulle soluzioni nei paesi in via di sviluppo”, scrive Lee, “è per questo motivo che auspico la formazione e l’assistenza di scienziati nei paesi in via di sviluppo, che hanno un’esperienza di prima mano nelle loro regioni”.

Fonte: Internazionale

Due peacekeeper dell'Onu e un civile sono stati uccisi in Mali

A Kidal, nel nord del Paese, sono stati lanciati alcuni razzi contro una base delle Nazioni unite. Si sospetta che l'attacco sia opera dei jihadisti

Peacekeeper dell'Onu in Mali. Credit: Adama Diarra

Sabato 27 novembre, un gruppo armato ha attaccato e lanciato razzi contro una base dei peacekeeping dell'Onu a Kidal, nel nord del Mali, uccidendo due peecekeeper e un civile, ha affermato il portavoce delle forze dell'Onu in Mali (Minusma) Olivier Salgado. L'attentato non è stato ancora rivendicato, ma si sospetta che sia opera dei jihadisti.

Una fonte della sicurezza del nord del Mali avrebbe dichiarato all'agenzia americana Reuters che due giorni prima dell'attacco sarebbero arrivate minacce di un imminente attacco al campo di Kidal da parte di un gruppo jihadista.

"L'attacco è avvenuto alle quattro del mattino quando quattro o cinque razzi sono stati lanciati all'interno della base Onu" ha dichiarato Olivier Salgado a Reuters.

Truppe francesi e le forze dell'Onu, che contano circa 10mila uomini, stanno cercando di stabilizzare il Paese, una ex colonia francese, dopo che la capitale Bamako è stata colpita il 20 novembre da un attentato islamista all'hotel Radisson Blue uccidendo 20 persone.

Tre gruppi terroristici jihadisti, al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI), il gruppo al-Murabitun e il Fronte di Liberazione del Mali (Mlf), avrebbero rivendicato l'attacco all'hotel. Gli analisti sostengono che questi tre gruppi potrebbero aver collaborato nell'attacco.

Nel 2012 il nord del Mali era stato occupato da combattenti islamici, alcuni legati all'organizzazione terrorista al-Qaeda.

Un'operazione militare condotta dalla Francia era riuscita a liberare l'area, ma le violenze sono continuate.

Fonte: The Post Internazionale

Nuovi attacchi aerei degli Stati Uniti contro l'Isis in Iraq

La coalizione internazionale guidata dagli Usa ha compiuto 18 nuovi raid aerei contro il sedicente Stato islamico in Iraq, causando la distruzione di unità tattiche

Un'esplosione a Kobane, in Siria, a ottobre 2015.

La coalizione internazionale guidata degli Stati Uniti ha condotto 18 attacchi aerei contro il sedicente Stato islamico in Iraq giovedì 26 novembre.

Gli attacchi hanno portato alla distruzione di due unità tattiche vicino a Ramadi, città situata nel centro dell'Iraq sulle sponde dell'Eufrate.

Quattro edifici occupati dall'Isis sarebbero stati abbattuti, secondo quanto riportato dalla task force congiunta guidata dagli Stati Uniti durante una conferenza stampa di venerdì 27 novembre.

Altri cinque raid vicini alla città di Sinjar, nel nordovest del Paese, avrebbero colpito tre unità tecniche, un veicolo e alcune posizioni posizioni di combattimento.

Fonte: The Post Internazionale

venerdì 27 novembre 2015

E' morto Luca De Filippo, figlio di Eduardo


E’ morto Luca De Filippo, figlio di Eduardo. Il 10 novembre scorso era stato ricoverato per una discopatia e gli fu diagnosticato un male incurabile. E’ morto nella sua casa romana. Luca era figlio di Eduardo De Filippo e della cantante e attrice torinese Thea Prandi. La sua carriera comincia a soli sette anni, nel 1955, quando interpreta Peppeniello in Miseria e nobiltà, di Eduardo Scarpetta, diretto dal padre. Il debutto vero e proprio, però, avviene a vent’anni, ne Il figlio di Pulcinella di Eduardo.

Papa Francesco dal Kenya: “C’è corruzione anche in Vaticano”

"E' come lo zucchero: ci piace, ma finiamo male", dice Papa Francesco da uno dei paesi più corrotti del mondo, con un occhio a casa sua. Paura per il trasferimento in Centroafrica

di Tommaso Caldarelli


Il Kenya è uno dei paesi più corrotti del mondo: nell‘indice Transparency International, che misura la consistenza della corruzione a livello globale, ottiene 25 punti su 100, dove lo 0 è “grandemente corrotto”; vari leader del mondo hanno sottolineato la corruzione dilagante nello stato africano, fra gli ultimi Barack Obama, e questa estate alcuni attivisti locali hanno detto che la corruzione, addirittura, peggiora. E anche Papa Francesco torna sul punto, nel suo discorso allo stadio di Nairobi davanti ai giovani kenyani, con un occhio però rivolto alle vicende di casa.

PAPA FRANCESCO DAL KENYA: “C’E’ CORRUZIONE ANCHE IN VATICANO”
“Ovunque c’è la corruzione, anche in Vaticano”, dice il Papa.

La corruzione è qualcosa dentro, è come lo zucchero, è dolce, ci piace, è facile, e poi finiamo male: così tanto zucchero che finiamo diabetico e il nostro paese finisce diabetico. Ogni volta che accettiamo una tangente e la mettiamo in tasca distruggiamo il nostro cuore, distruggiamo la nostra personalità, e distruggiamo la nostra patria. Per favore, non prendete il gusto a questo zucchero che si chiama corruzione. Ma tutti corrompono? Se non volete corruzione nel vostro paese, iniziate voi. Se non iniziate voi la persona che vi sta vicina non inizia. La corruzione ci ruba l’allegria ci toglie la pace, il corrotto non vive in pace. Nel mio paese una volta è morto un corrotto. Ho chiesto com’era il funerale, e una donna con senso dell’umorismo ha risposto: non si poteva chiudere la bara perché voleva dentro tutti i soldi che aveva rubato. Quello che rubate con la corruzione – ha concluso il Papa – rimane qui e qualcun altro lo userà. Attraverso la vostra corruzione causate il male agli altri. La corruzione non è un cammino di vita, ma un cammino di morte 

Parole importanti mentre in Vaticano si svolgono le prime udienze del processo Vatileaks, con alla sbarra due giornalisti italiani – Gianluigi Nuzzi ed Emanuele Fittipaldi – accusati della divulgazione delle notizie riservate trapelate, secondo le accuse vaticane, da monsignor Vallejo Balda e da Francesca Chaouqui, entrambi ex membri delle commissioni vaticane per la riforma delle finanze.

Il discorso di Papa Francesco arriva all’indomani dell’arrivo in Kenya, degli incontri nel campus di Nairobi e della messa con canti e balli tradizionali, delle parole davanti al presidente kenyota. Di qui, Papa Francesco ripartirà per la Repubblica Centrafricana, paese in cui le condizioni di sicurezza non sono ottimali; già da giorni i servizi segreti di varie nazioni hanno avvertito il Vaticano della pericolosità del paese in cui le milizie del Jihad islamico imperversano: è la coalizione del Seleka, che nel 2013 ha rivoltato il governo centrafricano, cristiano. L’Onu ha in Centrafrica, uno dei paesi più poveri della terra, 9mila uomini impegnati in azioni di peacekeeping: Papa Francesco ha scelto proprio la capitale della Repubblica, Bangui, per aprire ufficialmente le celebrazioni del Giubileo della Misericordia, con l’apertura anticipata della Porta Santa della città. Davanti alle minacce di sicurezza, il Pontefice ha ironizzato, nel suo stile.

Con il comandante del volo Alitalia che lo stava portando a Nairobi, Francesco parla delle tre tappe del suo viaggio. Il comandante dice: “Faremo tutto il possibile per portarla nella Repubblica Centrafricana”. Papa Francesco non si sorprende per una simile risposta e pronto replica: “Se non ci riuscite almeno datemi un paracadute che ci vado da solo”.

Copertina: Getty Images

Fonte: Giornalettismo

La Groenlandia si scioglie


Per anni gli scienziati hanno studiato l’impatto dei cambiamenti climatici sui ghiacci della Groenlandia e dell’Antartide. Le immagini satellitari permettono di osservare il distacco degli iceberg dai ghiacciai, ma scarseggiano i dati ottenuti sul terreno che possono fornire informazioni sull’innalzamento delle acque.

Nel luglio del 2015 un team di ricercatori guidati da Laurence C. Smith, del dipartimento di geografia dell’università di Los Angeles, è andato a Kangerlussuaq, in Groenlandia, per studiare la velocità dello scioglimento dei ghiacci e verificare se i modelli climatici finora usati sono corretti. Secondo gli studi più recenti, lo scioglimento dell’intera calotta dell’isola potrebbe far salire il livello del mare di sei metri.

Le foto sono state realizzate dal fotografo del New York Times Josh Haner nel luglio del 2015.

Fonte: Internazionale

L’Arabia Saudita sta per eseguire decine di condanne a morte

Il re saudita Salman a Riyadh, il 22 gennaio 2013. (Fahad Shadeed, Reuters/Contrasto)

Più di cinquanta persone saranno presto giustiziate in Arabia Saudita, secondo diversi organi di informazione locali. Si tratterebbe soprattutto di condannati per terrorismo, ma anche di oppositori al governo appartenenti alla minoranza sciita, come ha denunciato l’organizzazione per la difesa dei diritti umani Amnesty international. Nel paese gli sciiti sono circa il 10-15 per cento della popolazione e da tempo sostengono di essere oggetto di discriminazione da parte della maggioranza sunnita.
Amnesty international ha diffuso il testo di una lettera scritta dalle madri di cinque attivisti sciiti condannati: non è sicuro che siano tra i prigionieri prossimi a essere giustiziati, ma il fatto che siano stati sottoposti a un controllo medico inaspettato ha convinto le famiglie dell’imminenza della decapitazione. Nel loro appello, indirizzato al re saudita Salman e al principe Mohammed, le donne chiedono il rilascio dei figli e un nuovo processo da condurre secondo gli standard internazionali e in presenza di osservatori indipendenti.

"Le sentenze con cui sono stati condannati i nostri figli sono le prime del loro genere nella storia della giustizia saudita. Sono basate su confessioni estorte con la tortura e processi a cui non sono stati ammessi i legali della difesa. I giudici hanno mostrato di essere dalla parte dell’accusa.

Tra i cinque attivisti ci sono Ali al Nimr, Abdullah al Zaher e Dawood Hussein al Marhoon che erano minorenni al momento dell’arresto. La Convenzione dell’Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza proibisce la pena di morte per persone minori di 18 anni. Secondo Amnesty international, i tre sono stati spinti a confessare con la tortura e hanno subito processi sommari.

Ali al Nimr è stato arrestato nel febbraio 2012, quando aveva 17 anni, ed è stato condannato a morte nel 2014 da un tribunale di sicurezza e lotta al terrorismo. I capi d’accusa della sua sentenza sono dodici e includono aver manifestato contro il governo, aver aggredito le forze di sicurezza, essere in possesso di una mitragliatrice e aver compiuto una rapina a mano armata. Un gruppo di esperti delle Nazioni Unite e il parlamento europeo hanno chiesto all’Arabia Saudita di sospendere la condanna di al Nimr. Dawood Hussein al Marhoon e Abdullah Hasan al Zaher sono stati arrestati il 22 maggio e il 3 marzo 2012, all’età di 17 e 16 anni. Sono stati condannati a morte nell’ottobre 2014 sulla base di accuse simili, tra cui aver partecipato a proteste antigovernative, effettuato una rapina a mano armata e partecipato all’uccisione di agenti di polizia.

Solo in Cina e in Iran sono eseguite più condanne a morte che in Arabia Saudita. Dal gennaio 1985 al giugno 2015 almeno 2.208 persone sono state giustiziate dalle autorità saudite, di cui quasi la metà erano cittadini stranieri – il 33 per cento dei 30 milioni di residenti nel paese non è cittadino saudita. Nel 2015, 72 dei 151 condannati uccisi finora erano stranieri. L’ultima volta in cui ci sono state più di 150 esecuzioni in un anno è stata nel 1995, quando furono eseguite 192 condanne a morte.

In Arabia Saudita la pena di morte è prevista anche per imputazioni diverse dall’omicidio, come l’adulterio, l’apostasia dell’islam, la stregoneria, la rapina a mano armata, lo stupro e i crimini legati alla droga. Per quest’ultimo tipo di reati la percentuale di condanne a morte è cresciuta dal 4 per cento nel 2010 al 47 per cento tra il 2014 e giugno 2015.

Nelle ultime settimane il sistema giudiziario saudita aveva attirato l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale per il caso di Ashraf Fayadh, il poeta e artista palestinese condannato a morte il 17 novembre con diverse accuse, tra cui quella di aver promosso l’ateismo con una sua opera. Più di cinquanta organizzazioni culturali e per la difesa dei diritti umani e della libertà d’espressione, tra cui Pen international, hanno firmato una lettera indirizzata alle autorità saudite per chiedere il rilascio di Fayadh. Esiste anche una petizione italiana.
Secondo il quotidiano filogovernativo Al Riyadh, che cita una fonte del ministero della giustizia saudita, una persona che su Twitter ha paragonato la condanna a morte di Fayadh alle esecuzioni del gruppo Stato islamico sarà citata in giudizio. Ma la fonte non ha dato informazioni sull’identità dell’autore del tweet incriminato, né ha fatto riferimento alla pena in cui incorrerebbe.

Fonte: Internazionale

La Francia commemora le vittime degli attacchi a Parigi

Il presidente Hollande ha partecipato alla cerimonia a Les Invalides a cui sono stati invitati tutti i parenti di chi ha perso la vita il 13 novembre e i sopravvissuti

La commemorazione a Les Invalides per le vittime degli attacchi a Parigi

Venerdì 27 novembre la Francia commemora le 130 vittime degli attacchi di Parigi del 13 novembre con una cerimonia a Les Invalides presieduta dal presidente François Hollande, a cui sono stati invitati tutti i parenti delle persone rimaste uccise e i sopravvissuti.

Il governo ha chiesto ai cittadini di ogni parte della Francia di partecipare all’evento decorando le proprie case col tricolore francese.

I genitori di alcune delle vittime straniere della strage hanno deciso di partire appositamente per Parigi per poter assistere alla commemorazione.

Tra coloro che hanno scelto di partecipare alla cerimonia ci sono anche i genitori della vittima Nick Alexander, il trentaseienne londinese responsabile del merchandising della band che suonava al teatro Bataclan di Parigi la sera degli attacchi, gli Eagles of Death Metal.

Intervistati dal network britannico Bbc, i genitori del ragazzo hanno dichiarato di sentirsi profondamente legati a tutti coloro che hanno perso i propri cari quella sera a Parigi.



Alcune persone hanno deciso di non partecipare alla cerimonia di commemorazione, giustificando la propria assenza come segno di protesta contro il governo francese che, secondo loro, non avrebbe fatto abbastanza per difendere chi si trovava sul territorio e sarebbe quindi corresponsabile delle vittime del terrorismo.

Tra i parenti delle vittime, qualcuno ha sottolineato anche come due tra i sospetti terroristi siano ancora in libertà e le autorità non abbiano indizi su dove si trovino.

(Qui sotto nella mappa della Bbc: i luoghi degli attentati di venerdì 13 novembre a Parigi)


Fonte: The Post Internazionale

La Russia minaccia ritorsioni economiche contro la Turchia

Il Cremlino dice di essere ancora in attesa delle scuse in seguito all'abbattimento di un suo jet da guerra e prepara sanzioni economiche contro Ankara

Il primo ministro russo Dmitry Medvedev in riunione con il governo. Credit: Ekaterina Shtukina

La Russia minaccia di attuare ritorsioni economiche contro la Turchia dal momento che ha dichiarato di non aver ancora ottenuto una spiegazione ragionevole in merito all'abbattimento di un suo aereo da guerra al confine tra Siria e Turchia martedì 24 novembre 2015.

Il primo ministro russo, Dmitry Medvedev, ha ordinato al suo governo di elaborare misure che includano il congelamento alcuni progetti di investimento congiunti tra Russia e Turchia e la limitazione delle importazioni di alimenti provenienti dalla Turchia.

Il ministro dell'Economia, Alexei Ulyukayev, ha detto che la Russia potrebbe limitare la possibilità di viaggiare in aereo verso la Turchia e che potrebbe essere sospeso il processo di creazione di una zona comune di libero scambio.

Inoltre il ministro dell'Economia russo ha detto che potrebbero essere anche limitati nuovi importanti progetti in programma fra i due Paesi.

Tra questi la costruzione del gasdotto TurkStream e quello della centrale nucleare dal valore di circa 18 miliardi di euro, che la Russia sta costruendo in Turchia.

Il ministero della Difesa russo ha comunicato di aver sospeso ogni forma di cooperazione con l'esercito turco a partire dallo scambio di informazioni sulle operazioni degli aerei russi contro l'Isis in Siria.

Dopo quelli tedeschi, i turisti russi in Turchia rappresentano il secondo gruppo più numeroso che contribuisce all'economia turca con circa 4 miliardi euro all'economia di Ankara, che deve far fronte a una crescente deficit di bilancio.

La Turchia ha respinto le minacce definendole "emotive" e "sconvenienti".

L'abbattimento del jet russo da parte dell'aviazione turca è uno dei più gravi scontri tra un membro della Nato e la Russia dagli anni Cinquanta, l'incidente complica

Fonte: The Post Internazionale

giovedì 26 novembre 2015

A cosa serve la paghetta di Stato, se le università fanno schifo?

Investire nel sapere in Italia non conviene: basse opportunità di lavoro e ancor più bassi stipendi. Dare 500 euro una tantum non serve a nulla, se non si è grado di garantire un futuro

di Thomas Manfredi

TIZIANA FABI/AFP/Getty Images

È una triste realtà quella delle università italiane disegnata dai numeri impietosi della pubblicazione Ocse, Education at a Glance 2015, presentata ieri a Roma, alla presenza di rappresentanti del Governo. Ha suscitato il solito scalpore, che però - temiamo - resterà come sempre vano, senza piani di policy specifici dell’esecutivo, che ha sin qui pacchianamente spacciato la Buona Scuola come la soluzione definitiva a quella che pare una vera emergenza nazionale.

L’allarme è certamente ben sintetizzato dal primo grafico, che riporta i tassi di occupazione dei 25-34enni con un titolo di studio equivalente alla laurea triennale in Italia, Francia e Germania. Si nota facilmente come i laureati italiani abbiano sempre meno possibilità di lavoro, in modo quasi lineare dal 2000 in avanti. Il tasso di occupazione dei giovani laureati italiani è di 25 punti percentuali più basso degli omologhi in Francia e Germania. Il declino nell’occupabilità dei nostri giovani laureati, importante ricordarlo, è iniziato ben prima della crisi finanziaria, poi tramutatasi in crisi sistemica dei paesi periferici della Zona Euro.

tassi di occupazione dei 25-34enni con un titolo di studio equivalente alla laurea triennale in Italia, Francia e Germania

Questa evidenza è rinforzata dal secondo grafico, che mostra lo stesso indicatore per i paesi periferici, soggetti a shock economici importanti dal 2010 in avanti. L’Italia è il solo paese fra i PIIGS - gli altri sono Portogallo, Irlanda, Spagna e Grecia - ad avere sperimentato una decrescita nel tasso di occupazione dei laureati ben prima del 2010. A fine 2014, ultimo anno con dati disponibili, il tasso di occupazione dei giovani laureati italiani è addirittura più basso di quello dei corrispettivi greci. Serve qualche commento in più per descrivere questa vera e propria débâcle di proporzioni bibliche? Il confronto con la Spagna, che ha problemi simili al nostro quanto a qualità del capitale umano e scarsa partecipazione all’istruzione universitaria, è impietoso. Nonostante la grave crisi, il tasso di occupazione spagnolo è ben 12 punti percentuali più altro di quello italiano.

"L’Italia è il solo paese fra i PIIGS - gli altri sono Portogallo, Irlanda, Spagna e Grecia - ad avere sperimentato una decrescita nel tasso di occupazione dei laureati ben prima del 2010.

Non vorremmo sembrare troppo pessimistici, ma la situazione in cui versano i giovani, soprattutto i più “fortunati” o i più “temerari” nello scegliere comunque di studiare, nonostante ritorni attesi bassissimi, è emergenziale. Che cosa sta facendo il Governo per migliorare la qualità dell’istruzione e le nostre Università? Ci sentiamo di poter dire poco o nulla, se non i soliti annunci sul ritorno dei cervelli, e altri piani marginali che non intaccano la vera causa di questo spreco infinito di risorse pubbliche: le nostre università devono cambiare. Vi è sempre una sollevazione popolare nel momento in cui qualcuno ricorda che una scuola non è poi tanto diversa da ogni altra azienda o impresa. Ma anche ammettendo che la funzione scolastica non si esaurisca nella ricerca di un profitto, possibile che non si colga che i cattivi risultati di un’organizzazione sono sempre da ricercare in cattive pratiche gestionali e organizzative? Non si vede alcun segnale di una seria presa di coscienza del problema citato, al momento. Evidentemente la tiepida ripresa sistemerà tutto, by magic, e le università torneranno a essere quel motore d’innovazione e conoscenze che tutti vorrebbero che fossero.

Continua a leggere su Linkiesta.it

Fonte: Linkiesta.it

Il Burundi sull’orlo del caos


Nella notte tra il 21 e il 22 novembre almeno quattro civili sono stati uccisi a Bujumbura, la capitale del Burundi, durante degli scontri con la polizia. Secondo le autorità burundesi c’è stata una sparatoria dopo che gli agenti sono entrati in un bar per arrestare un gruppo di giovani che stava preparando un attentato. 

Dall’aprile del 2015 ci sono stati numerosi episodi di violenza tra le forze dell’ordine e gli oppositori del governo del presidente Pierre Nkurunziza. L’opposizione contesta il terzo mandato del presidente, conquistato con le elezioni del 21 luglio. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, negli ultimi sei mesi in Burundi ci sono stati almeno 240 omicidi. Anche se gli episodi di violenza sono da attribuire a tutte le parti coinvolte nel conflitto, le forze di sicurezza si sono rese colpevoli di esecuzioni extragiudiziali, arresti arbitrari e abusi in varie città del paese, tra cui varie limitazioni della libertà di espressione. Il 25 novembre il ministero dell’interno ha temporaneamente vietato le attività di alcune ong locali, tra cui quella di Marguerite Barankitse, premio Chirac nel 2008 per il suo lavoro in aiuto degli orfani. 

Secondo molti osservatori il Burundi è sull’orlo di una guerra civile, al punto che alcuni cittadini europei e statunitensi hanno cominciato a lasciare il paese. Il 23 novembre Barack Obama ha imposto delle sanzioni economiche (blocco di beni, conti bancari a accordi finanziari) ad alcune personalità del governo di Bujumbura.

L’autore di queste foto, scattate a Bujumbura nel novembre del 2015, vuole restare anonimo per questioni di sicurezza.

Fonte: Internazionale

Che fine ha fatto Salah Abdeslam? E come ha fatto la polizia a lasciarlo scappare?

Un soldato belga pattuglia le strade del centro di Bruxelles, il 24 novembre 2015. (Yves Herman, Reuters/Contrasto)

Nelle indagini in corso sugli attentati di Parigi sono emerse nuove prove sul fatto che Abdelhamid Abaaoud, presunto ideatore degli attacchi di Parigi del 13 novembre, stava preparando nuovi attentati nel quartiere La Défence. Due persone sono ancora latitanti e sulla loro testa pende un mandato di cattura internazionale: si tratta di Salah Abdeslam, che ha avuto almeno un ruolo logistico negli attacchi del 13 novembre, e Mohamed Abrini, il complice che lo portò a Parigi l’11 novembre.

Salah Abdeslam è ancora in fuga

Salah Abdeslam, il francese di 26 anni residente in Belgio, è ricercato dalla polizia di tutta Europa. In questa fase delle indagini è stato chiarito che in Belgio Abdeslam ha affittato la Polo e la Clio usate durante gli attentati. Gli inquirenti stanno cercando di capire se Salah Abdeslam abbia portato i kamikaze allo Stade de France e se era pronto a farsi esplodere nel diciottesimo arrondissment, come è stato rivendicato dallo Stato islamico nel comunicato diffuso dopo gli attentati. Nel diciottesimo infatti è stata ritrovata la Clio abbandonata, il giorno dopo gli attentati. A Montrouge, un comune a sud di Parigi, in un cestino è stata trovata una cintura esplosiva simile a quelle degli altri attentatori. L’esplosivo potrebbe essere appartenuto a Salah Abdeslam, che ha lasciato Parigi la notte tra il 13 e il 14 novembre, dopo gli attacchi, con l’aiuto di due complici.

Cosa sapeva la polizia di Salah

Abdeslam Salah Abdeslam era già noto alle forze dell’ordine per essere stato implicato in piccoli traffici di droga, ma la polizia belga non si era accorta della sua radicalizzazione come terrorista. Nella notte tra il 13 e il 14 novembre, l’auto con a bordo Salah Abdeslam viene fermata sull’autostrada che collega Parigi a Bruxelles, ma la polizia francese – che aveva accesso al casellario giudiziario belga grazie al sistema di condivisione delle informazioni di Schengen (Sis) – non l’ha ritenuto una persona sospetta e quindi non l’ha arrestato. La polizia ha ricostruito che Salah Abdeslam si è imbarcato su un traghetto a Brindisi il 1 agosto 2015 in compagnia di Ahmed Dahmani, arrestato ad Antalya il 20 novembre. Il 4 agosto i due uomini sono stati fermati a Patrasso, in Grecia, ma il 5 agosto Salah Abdeslam è tornato a Bari, il 9 ha attraversato la frontiera con la Germania e l’Austria . Poi le sue tracce si sono perse fino a due giorni prima dell’attentato di Parigi quando è stato visto sull’autostrada A1, a Ressons, in compagnia di Mohamed Abrini.

Tre arresti e un ricercato in Belgio

Il 27 novembre la polizia federale belga ha diramato un mandato di arresto internazionale contro Mohamed Abrini. Abrini era in compagnia di Salah Abdelsam in una stazione di servizio in autostrada, due giorni prima degli attentati di Parigi. Abrini, belga, trent’anni, era al volante di una Clio usata negli attacchi. Bruxelles è stata in stato di allerta per quattro giorni e le autorità hanno condotto decine di perquisizioni, che hanno portato al rinvio a giudizio di tre persone per “terrorismo”.

  • Sono in arresto Attou Hamza e Mohammed Amri che hanno portato Salah Abdeslam da Parigi a Bruxelles, dopo gli attentati.
  • È in arresto anche Lazez A., 39 anni, belga di origine marocchina. È sospettato di essere coinvolto nella fuga di Salah Abdeslam: nella sua auto sono state trovate tracce di sangue e pistole.
  • Due altre persone sono in carcere, ma non è chiaro per cosa siano incriminate. Tra questi O. Ali, un francese che vive a Molenbeek, a Bruxelles.

La polizia francese interroga l’emiro bianco

Olivier Corel, anche detto “emiro bianco”, è stato condannato a sei mesi con la condizionale, per possesso illegale di armi. Il francese, un imam salafita di origine siriana, è stato il mentore di molti dei presunti jihadisti tra cui Mohamed Merah e Fabien Clain, la cui voce è stata identificata nella rivendicazione degli attacchi di Parigi. Corel è stato arrestato durante una perquisizione amministrativa nella sua casa ad Artigat. Dal 14 novembre la polizia ha condotto in Francia 1.233 perquisizioni amministrative, 165 arresti, 142 fermi. Sono state sequestrate 230 armi, tra cui numerose armi da guerra.

Fonte: Internazionale

David Cameron chiede l’appoggio del parlamento britannico per bombardare l’Is in Siria

Il primo ministro britannico David Cameron in visita alla base dell’aeronautica militare Northolt a Londra, il 23 novembre 2015. (Justin Tallis, Reuters/Contrasto)

Il primo ministro britannico David Cameron ha chiesto l’appoggio del parlamento per bombardare lo Stato islamico (Is) in Siria, sostenendo che il gruppo jihadista usa le basi siriane per organizzare attentati contro il Regno Unito. Il premier ha presentato una comunicazione scritta di 36 pagine alla commissione esteri della camera dei comuni e ha poi fatto una lunga relazione in aula, aggiungendo che non chiederà ai parlamentari di votare fino a quando non sarà sicuro di ottenere una netta maggioranza a favore dell’intervento. Una bocciatura o la spaccatura del parlamento, secondo lui, equivarrebbero a “un ritorno di immagine” per i jihadisti.
“Con questo livello di minaccia ai nostri interessi e alla nostra popolazione, non possiamo permetterci di restare da parte e non agire”, ha detto Cameron alla commissione esteri, prima di intervenire anche in aula. Il premier ha ricordato che tutti e sette i complotti terroristici sventati quest’anno nel Regno Unito erano stati organizzati dall’Is o si ispiravano alla propaganda del gruppo jihadista.

“Dobbiamo negare all’Is la possibilità di un rifugio sicuro in Siria: più tempo lasceremo ai jihadisti per crescere in Siria, maggiore sarà la minaccia che rappresentano. È sbagliato per il nostro paese subappaltare la sicurezza ad altri, e aspettarsi che le aviazioni di altre nazioni sopportino il peso e i rischi di colpire lo Stato islamico in Siria per fermare il terrorismo qui nel Regno Unito”, ha sostenuto Cameron.

L’opposizione laburista ha espresso nell’ultimo periodo molte perplessità sull’intervento militare, ribadite anche oggi dal leader Jeremy Corbyn che ha sollevato sette obiezioni, sotto forma di domande, sull’impatto dei bombardamenti durante il dibattito con Cameron ai comuni. Corbyn non ha chiarito quali saranno le sue indicazioni di voto sui bombardamenti. Una riunione del governo ombra laburista per discutere della questione è stata convocata proprio in queste ore.

A Cameron, Corbyn ha chiesto risposte sulla strategia per sconfiggere l’Is, sull’eventualità che il Regno Unito schieri le sue truppe in territorio siriano e sui vincoli della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che autorizza i paesi membri ad “adottare tutte le misure necessarie” contro il gruppo Stato islamico. Il segretario laburista si è domandato se i bombardamenti possano davvero aumentare le possibilità di una soluzione politica del conflitto e quali siano i rischi di effetti collaterali come l’aumento degli attacchi terroristici nel Regno Unito o di vittime civili siriane.

Cameron gli ha risposto sostenendo che non manderà militari sul terreno, che la risoluzione dell’Onu garantisce la legalità dell’intervento militare e che il rischio di vittime civili è scongiurato dalle armi britanniche, “tra le più accurate che si conoscano”. In un anno e tre mesi di intervento britannico in Iraq, ha fatto notare il premier britannico, non si è avuta notizia di vittime civili.




Il governo Cameron si è sempre opposto all’Is e agli altri gruppi jihadisti che combattono in Siria. Nei recenti colloqui internazionali sulla Siria si è anche speso per l’uscita di scena del presidente siriano Bashar al Assad a favore dei ribelli più moderati. Finora i bombardamenti britannici si erano limitati a colpire lo Stato islamico in Iraq, anche se in agosto il Regno Unito ha condotto un intervento mirato con i droni in Siria uccidendo due cittadini britannici che si erano uniti all’Is.

Secondo gli ultimi sondaggi di Yougov.com, il 59 per cento dei cittadini britannici sarebbe a favore dei bombardamenti in Siria e solo il 20 per cento è contrario.


Fonte: Internazionale