sabato 19 settembre 2015

Verdini, il berlusconiano in incognito che salverà il governo Renzi

Mai in ferie, sempre centrale sin dai tempi di Berlusconi, in queste ore si adopera per assicurare i numeri in parlamento sulle riforme istituzionali

Alessandro Da Rold


«Uomo macchina». «Una bestia». «Un lavoratore instancabile». «Il direttore sportivo di Berlusconi». «Il poliziotto cattivo». «Un uomo di un'intelligenza e una cultura spaventosa». «Chi lo sottovaluta non ha capito niente». A parlare con i vecchi compagni di partito, amici e nemici di Denis Verdini, a cercare di capire chi è il protagonista in queste ore delle trattative sul voto per le riforme istituzionali e sulla cosiddetta «compravendita» dei senatori per salvare il governo Renzi, viene fuori il ritratto di un politico unico nella storia della Repubblica Italiana. Un senatore che nulla ha da invidiare al Principe del Machiavelli, uno «spregiudicato» che sin dal suo esordio in politica, era il 1995, in consiglio della regione Toscana, ha sempre macinato voti, aperto trattative, chiuso trattative, infine vinto spesso a mani basse, come quando scalzò il rivale Roberto Tortoli dal coordinamento regionale di Forza Italia.

Riservato, pochissime le interviste, attento in ogni cosa, due persone fidate, Massimo Parisi - detto anche la scatola nera del verdinismo - e Daniela Santanchè, con cui è rimasta amica anche se sono in due gruppi parlamentari diversi, Verdini è uno che non guarda mai in faccia nessuno. Punta tutto sulla «centralità» di se stesso. O meglio, la regola è questa: bisogna sempre esserci sennò si rischia di rimanere fuori dal giro. Sarà anche per questo, dicono i ben informati, che il Macellaio - soprannome che gli hanno dato perché un tempo lavorava nel settore delle carni con successo macinando soldi in tutta Europa - non va mai in ferie. Niente vacanze. Parola d’ordine è esserci. Sempre il telefono acceso. La parola d'ordine è quella dell'ex Dc Franco Evangelisti: «A fra' che te serve?». Come in questi giorni. Bisogna contare. Essere determinanti. Appunto, centrali. E Verdini determinante lo è stato durante il governo Prodi del 2008, quando l’Operazione Libertà di cui fu protagonista Sergio De Gregorio fece cadere l’esecutivo di centrosinistra. Lo è stato ancora nelle fiducie che hanno accompagnato fino al 2011 il governo di Berlusconi, parando i colpi di Gianfranco Fini e della magistratura.

Ecco, forse allora, quando l’ex Cavaliere dovette abdicare a favore di Mario Monti, Verdini assaporò il gusto amaro della sconfitta. Poi è caduto altre volte con la faccia nella polvere. Come quando sbagliò i conti sui fuoriusciti di Angelino Alfano dal Popolo della Libertà, nel 2013. O come quando Francesca Pascale lo cacciò da palazzo Grazioli. Ma sono bastati pochi anni per tornare subito in sella, riitornare a essere determinante. E adesso in questa fase così difficile per l’esecutivo renziano, con la necessità di assicurare i numeri in parlamento, Verdini è di nuovo essenziale. Fondamentale nei meccanismi della politica, del pallottoliere parlamentare, necessario per un Renzi che vuole cambiare la Costituzione contro i dissapori della minoranza del Partito Democratico. Da più parti si dice che Verdini lavori in coppia con Luca Lotti - braccio destro del segretario del Pd - in questa abile manovra di compravendita, ma in realtà sembra essere soprattutto Denis l’architrave di tutto.

D’altra parte, ne sono tutti convinti: Verdini lavora ancora per Berlusconi. Perché è in realtà il leader di Forza Italia quello che vuole salvare il governo di Matteo Renzi e non vuole andare al voto. «Verdini è come Rudolf Hess, braccio destro di Hitler che fu paracadutato in Scozia nel 1941 dal Terzo Reich per trattare con il nemico. Peccato che Renzi non sia Winston Churchill», chiosa con un battuta il senatore Maurizio Bianconi che ha visto crescere Verdini politicamente, in questi venti lunghi anni di carriera politica. Di Denis si è parlato molto. Anche nelle aule giudiziarie, tra banche e giornali, la famigerata P3, le bancarotte e le presunte truffe con i fondi per l’editoria.

Sono diverse le inchieste a suo carico, ma non sembra badarci troppo. Alberto Statera su Repubblica, ricordò nel 2010 che a Campi Bisenzio (è nato a Fivizzano poco distante) quando Denis negli anni ’80 si buttò nel settore bancario lo soprannominarono subito il «banchiere supercazzola» in onore di Amici Miei, il celebre film di Mario Monicelli. Accostato da sempre alla massoneria, in una regione costellata da grembiuli e grembiulini, Verdini ha sempre risposto con una battuta: «Per me non è un’offesa. Ma non è vero». Si dice abbia una conoscenza di lunga data con Renzi, quando da editore del Giornale di Toscana si rivolgeva a un distributore di Rignano sull’Arno, quel Tiziano che è padre del presidente del Consiglio.

Ma Denis è uno che parla con tutti. Come quando fu immortalato con l’ex tesoriere dei Ds Ugo Sposetti in un bar vicino Montecitorio. Lo definirono il Patto del Cappuccino. Era il marzo del 2013, alba del governo Letta. In questi giorni a palazzo Madama si vede poco. Anche perché gli accordi si fanno spesso fuori dal palazzo. E Verdini è di casa, abitando a pochi passi dal Senato. Ce la farà anche questa volta? «Conosce la filosofia politica, la storia, la letteratura greca e latina. È una persona di una cultura classica impressionante, pur avendo fatto lo scientifico al liceo, anche per questo motivo è così capace a convincere» assicura un'altra persona che lo conosce bene. Giuliano Ferrara, ex direttore del Foglio, lo definì così in un editoriale di qualche mese fa dove ricordava ai «cretini» di non paragonarlo a un Razzi qualsiasi: « Il caso Verdini è semplice: senza di lui non ci sarebbe il governo Renzi, staremmo ancora ad armeggiare con il cacciavite di Enrico Letta, e Berlusconi sarebbe da tempo nelle mani di Salvini senza nemmeno aver provato a esercitare, con il famoso connubio del Nazareno, il suo lascito migliore. Senza di lui – prosegue Ferrara - non avremmo buona o cattiva una legge elettorale né un incipiente sistema monocamerale». E così sarà. Gli unici difetti? I soldi e le donne. Ma quelli sono dell'umanità. Non solo di Denis.

Fonte: Linkiesta.it

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