lunedì 10 agosto 2015

I politici fanno le nomine, ma il contratto Stato-Rai è scaduto da 32 mesi

Paradossi in viale Mazzini. Il nuovo Cda dovrà ratificare un accordo fermo da tre anni. Senza, la Rai non è tenuta a essere servizio pubblico

Carmine Gazzanni

FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images

Festa grande a Viale Mazzini. Matteo Renzi è riuscito nel suo ennesimo colpaccio: nominare prima dello scoccare delle vacanze estive il nuovo cda Rai e, a detta di molti, imponendo uomini a lui graditi, coperti dal bel volto di Monica Maggioni alla presidenza. Lo stesso premier, d’altronde, sin da subito ha elogiato e difeso le nomine parlando di «un consiglio d’amministrazione di professionisti», in cui è stata premiata la competenza. Un lavoro che, tassello dopo tassello, «sta rimettendo in pista l’Italia».

Eppure, pista o non pista, competenza o non competenza, c’è un grande assente nel dibattito di questi giorni che pure ha posto al centro dell’attenzione la quaestio Rai. Mentre veniva nominato il nuovo vertice dell’azienda radiotelevisiva pubblica, pochi (o nessuno) riflettevano sul fatto che da gennaio 2013 la Rai si muove senza alcun accordo sottoscritto con lo Stato. Col risultato che, detta in altri termini, la Rai, pur essendo servizio pubblico, decide programmi e palinsesti senza di fatto sapere cosa sia il “servizio pubblico” o, meglio, come si concretizzi. Come fosse un’azienda privata in cui a decidere è solo e soltanto il consiglio d’amministrazione. Incredibile? Paradossale? Facciamo un passo indietro per capire di cosa stiamo parlando.

Per legge ogni tre anni il ministero dello Sviluppo Economico - oggi guidato da Federica Guidi - e il consiglio di amministrazione della Rai sono tenuti a sottoscrivere, appunto, il cosiddetto “contratto di servizio”. Parliamo, in pratica, di una sorta di vademecum che l’azienda pubblica è tenuta a seguire in merito a tutto ciò che la riguarda. Dal canone all’offerta digitale, dalla pluralità e qualità dell’informazione fino ai palinsesti radiofonici e televisivi, con tanto di specifiche riguardo, ad esempio, alla programmazione sociale, a quella per i disabili, per la tutela dei minori, delle minoranze e della realtà locali. In altre parole, senza contratto di servizio, la Rai non è tenuta, perlomeno formalmente, ad obbedire ad alcuna di queste prescrizioni, contravvenendo in questo modo al suo diritto-dovere di servizio pubblico.

Sta di fatto, però, che l’ultimo contratto di servizio approvato risale al triennio 2010-2012. Dopodiché il vuoto. Come ha giustamente osservato Cittadinanzattiva, dal 31 dicembre 2012 «si lavora in regime di proroga de facto». In pratica, del contratto valido per il triennio 2013-2015 nemmeno l’ombra, con un ritardo nell’approvazione di oltre due anni e mezzo. È quanto denuncia a Linkiesta anche Dalila Nesci, parlamentare M5S e membro di Commissione Vigilanza: «Il contratto di servizio – sottolinea – è pronto da maggio 2014. È stato scritto nell'interesse del Paese e quindi di tutti i cittadini che pretendono dalla Rai un servizio di qualità, grazie al lavoro proficuo e appassionato di tutta la Commissione di vigilanza Rai sotto la guida del Presidente Fico e del relatore Pisicchio». Lavoro sprecato. Ed ora il paradosso è che, nella migliore delle ipotesi, si potrebbe approvare, ora, un contratto di servizio già nei fatti “vecchio” poiché in scadenza a fine anno.

La domanda, a questo punto, sorge spontanea: cos’è accaduto? Difficile dirlo. Certo è che nei primi mesi del 2013, visto l’avvicinarsi delle elezioni politiche, semplicemente il ministero dello Sviluppo Economico ha preferito lasciare l’incombenza al nuovo governo. Dopodiché la bozza di contratto è stata consegnata dall’allora sottosegretario Antonio Catricalà alla Commissione vigilanza solo ad ottobre. Come si sa, poi, a febbraio il governo è cambiato con il passaggio di campanello da Enrico Letta e Matteo Renzi. Insomma, il caos. Ma, nonostante questo, lo schema di contratto è nei fatti pronto dal 7 maggio scorso, giorno in cui la Commissione di vigilanza Rai lo ha approvato a larga maggioranza (38 sì su 40 membri).

Da allora si aspetta l’approvazione definitiva del ministero dello Sviluppo Economico che, intanto, lascia impolverare il contratto dentro chissà quale cassetto ministeriale. Con la conseguenza che, dicono da Cittadinanzattiva, «ogni responsabile di rete o di programma fa un po’ come crede a seconda della sua sensibilità». Un vulnus clamoroso, causa – ci dice ancora Dalila Nesci – del fatto che «il ministero dello Sviluppo Economico non ha ancora firmato il contratto adducendo motivazioni economiche e di governance, tanto che era anche partita la nostra campagna #FirmeRai. Ma adesso, con la quotazione in borsa di Rai Way, la tv pubblica ha incassato 280 milioni di euro, abbiamo un nuovo cda, un nuovo direttore generale ed una nuova presidente Rai. Ci sono tutti i presupposti per dare agli italiani la Rai che meritano». 

Intanto il ritardo resta. Con tutte le conseguenze del caso. «Il punto – sottolinea ancora Nesci – è che la Rai chiede il canone ai cittadini, ma non intende rispettare gli accordi del nuovo contratto: una maggiore protezione per i bambini, più lingue straniere, maggiori servizi per i diversamente abili, promozione dell'immagine del Paese e della cultura italiana all'estero, maggiori approfondimenti sulle problematiche e le virtù del Mezzogiorno». Tutte novità inserite nel nuovo schema di contratto consegnato al MiSE e che la Rai, se il ministero lo avesse promulgato, sarebbe stata tenuta a rispettare. Avremmo avuto, ad esempio, una Tv pubblica senza spot del gioco d’azzardo (era stato inserito il divieto per contrastare il dilagante fenomeno della ludopatia, su cui tanto di discute oggi proprio in Parlamento) e senza pubblicità nei programmi e nei canali dedicati ai bambini in età prescolare. Avremmo avuto una promozione dei contenuti per il superamento degli stereotipi di genere e di orientamento sessuale e una maggiore sensibilizzazione di tematiche rivolte all’ambiente (raccolta differenziata, risparmio energetico, traffico illecito di rifiuti) e alla cultura antimafiosa. Insomma, un servizio pubblico differente, accanto all’immagine di un’azienda altrettanto differente, tenuta – come ricorda la parlamentare M5S – anche «alla pubblicazione di curriculum e compensi di dirigenti, collaboratori e consulenti sul sito internet della Rai».

Modifiche, infine, anche in riferimento al canone, per il quale si prevedeva l’esenzione dal pagamento per le categorie di soggetti svantaggiati e per gli abitanti di quei territori dove al momento non è possibile ricevere il segnale radiotelevisivo. Tutto è rimasto nel cassetto. Meglio polvere che cambiamento, insomma. Con la beffa clamorosa che, intanto, alla Camera è stato approvato il disegno di legge di modifica della governance della Rai. Ora la palla passa al Senato. Tra le novità, il contratto di servizio avrà validità quinquennale piuttosto che triennale. Ma, dopotutto, fa lo stesso, come abbiamo visto. Anche se sì: cinque anni di polvere sono decisamente più di tre.

Fonte: Linkiesta.it

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