venerdì 12 giugno 2015

Prigione e frustate per il blogger che contesta l’Islam

Già in carcere da tre anni, Raif Badawi si è visto aumentare la pena dopo aver definito “codardo” l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo


Mille frustate. Cinquanta alla volta, sulla pubblica piazza. Per 20 settimane. E solo per aver espresso la propria opinione. La Corte suprema dell’Arabia Saudita ha confermato la sentenza che nello scorso gennaio ha condannato il giovane Raif Badawi per aver scritto della sua ideologia “laica”, contro l’estremismo religioso e a favore della libertà di pensiero. Sentenza che comprende anche dieci anni di carcere e una multa di un milione di rial sauditi (circa 267mila dollari). Nonostante la mobilitazione di Amnesty International e di molti Paesi occidentali, l’Arabia distrugge quindi definitivamente la vita del blogger e della sua famiglia (moglie e tre figli), che è in esilio in Canada dal 2012 e difficilmente potrà riabbracciarlo. A marciargli contro perfino il padre, apparso in tv annunciando di volerlo diseredare. Mentre la sorella Samar, anche lei attivista e moglie di un altro “prigioniero di coscienza”, l’avvocato per i diritti umani Waleed Abu al-Khair, invita alla lotta e alla resistenza: «La storia darà ragione a coloro che lottano per la libertà».

Il liberalismo? Vivi e lascia vivere L’odissea di Raif è cominciata tre anni fa, dopo la chiusura del suo sito “Free Saudi Liberals”, finito nel mirino delle autorità arabe per contenuti blasfemi e per “aver insultato l’Islam via web”. Il trentunenne, rappresentante di quella parte di generazione araba aperta e cosmopolita, scettica e contestatrice, sul blog creato nel 2008 provava a ridimensionare lo stretto rapporto tra religione, potere politico e società: «Nessuna religione ha mai avuto alcuna connessione con il progresso civile dell’umanità. Non è colpa della religione, ma del fatto che tutte le religioni rappresentano una precisa relazione spirituale tra l’individuo e il Creatore». Parole che, alle orecchie delle intransigenti autorità arabe, hanno suonato come bestemmie. Da qui in avanti un escalation di accuse che hanno portato all’arresto di Badawi per apostasia, ovvero tradimento e abbandono della propria religione: «Il secolarismo rispetta tutti e non offende nessuno – affermava ancora il blogger – È la soluzione pratica per far uscire i Paesi, compreso il nostro, dal Terzo al Primo Mondo». Un’idea suggestiva, basata su una sorta di moderno liberalismo, che per Raif «significa semplicemente “vivere e lascia vivere”. Ma l’Arabia Saudita che rivendica l’esclusivo monopolio della verità è riuscita a screditarlo agli occhi del popolo».

Un orrore cominciato a gennaio All’inizio del 2015 le guardie carcerarie gli hanno inflitto i primi 50 colpi sulla schiena, davanti ad una folla di fedeli a Jeddah, seconda città dell’Arabia. Le frustate seguenti sono state rinviate più volte per motivi di salute. Poi la protesta (anche da parte degli Usa), i sit-in di Amnesty International e la presa di posizione di numerosi premi Nobel. Ma nulla è cambiato, l’Arabia non accetta l’intrusione straniera nei suoi affari interni, e nemmeno il ricorso giudiziario alla Corte suprema è servito. Fonti giornalistiche spiegano che solo il perdono reale potrebbe salvare Badawi. Intanto, però, la sua sorte appare segnata. Diceva il blogger nel 2010: «Appena un pensatore inizia a rivelare le sue idee arrivano centinaia di accuse di infedeltà, solo perché ha avuto il coraggio di discutere i temi sacri. Temo che i pensatori arabi emigreranno in cerca di aria fresca per sfuggire alla spada delle autorità religiose».

Fonte: Diritto di critica

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