domenica 31 maggio 2015

Guida alle elezioni regionali, si vota oggi

Si rinnovano i presidenti di sette regioni italiane e c'è da tenere d'occhio soprattutto Liguria e Campania: una breve guida

Foto Palli/Arata/LaPresse31-05-2015 Genova - ItaliaPoliticaAlice Salvatore, candidata presidente per il M5S vota circa alle 9.30 in una scuola del centro di Genova. Attenderà i risultati insieme ai supi elettori in un ristorante del capoluogo.Nella foto: Alice SalvatorePhoto Palli/Arata/LaPresse31-05-2015 Genova - ItalyPolitics Alice Salvatore, candidate for president of the M5S rate at about 9.30 in a school in the center of Genoa.In the picture: Alice Salvatore

Oggi, domenica 31 maggio, si vota in sette regioni e in contemporanea in circa mille comuni di cui 18 capoluoghi di provincia, tra cui solo Venezia è anche capoluogo di regione. Si vota soltanto domenica, dalle 7 alle 23, tranne in Sicilia, dove si potrà votare anche il primo giugno. Per le elezioni comunali, l’eventuale ballottaggio si svolgerà il 14 giugno. Le sette regioni dove si voterà sono Campania, Puglia, Liguria, Veneto, Toscana, Umbria e Marche.

Quali sono le novità?
Negli ultimi giorni di campagna elettorale il tema principale è stato quello dei cosiddetti “impresentabili”, un termine giornalistico con cui vengono indicati i candidati che hanno avuto o hanno ancora in corso problemi con la giustizia. Venerdì 29 maggio la commissione parlamentare Antimafia ha pubblicato una lista di 17 (poi ridotti a 16) “impresentabili” che è stata molto contestata. La lista è il prodotto di un “codice etico” a cui i partiti hanno volontariamente aderito lo scorso settembre e che, in sostanza, li impegnava in maniera non vincolante a non presentare candidati rinviati a giudizio, indagati e sottoposti a misure cautelari o condannati anche non in via definitiva per una serie di reati. Il codice impegnava i partiti anche a non candidare sindaci o componenti di giunte o consigli comunali sciolti per mafia.

La lista è stata pubblicata due giorni prima della votazione e comprendeva inizialmente 17 nomi: 13 di candidati in Campania e 4 di candidati in Puglia (la commissione ha esaminato soltanto le liste per le elezioni regionali). Uno dei nomi presenti nella lista è stato ritirato dopo poche ore perché era stato inserito per errore. Si tratta di Biagio Iacolare candidato in Campania con l’UDC a sostegno del candidato PD Vincenzo De Luca. Gli “impresentabili”, quindi, sono ufficialmente 16. I critici hanno sostenuto che la commissione ha sbagliato a pubblicare la lista in un giorno così vicino alle elezioni e che è scorretto che un organo dello stato indichi dei candidati “impresentabili”, che possono però legalmente candidarsi senza alcun ostacolo.

Cosa dicono i sondaggi?
In almeno cinque delle sette regioni il risultato sembra abbastanza scontato: in Puglia, Toscana, Umbria e Marche dovrebbero vincere senza troppa difficoltà i candidati del centrosinistra, mentre in Veneto dovrebbe riaffermarsi il candidato uscente Luca Zaia, della Lega Nord. La situazione è più complicata in Campania e Liguria. A Venezia, unico capoluogo di regione dove si vota, la vittoria del candidato PD Felice Casson è piuttosto scontata (secondo i sondaggi potrebbe vincere già al primo turno). Qui c’è la versione lunga e completa della guida alle elezioni del Post, regione per regione.

Campania
Sono le elezioni di cui si è probabilmente parlato di più in questi mesi. Il tema principale è stato ancora una volta quello della composizione delle liste e dei candidati “impresentabili”: si è tornati a parlarne proprio ieri, quando la commissione ha pubblicato la sua lista che mostrava come 12 dei 16 “impresentabili” fossero candidati in Campania. Tra loro c’è anche il sindaco di Salerno e candidato PD alla guida della regione, Vincenzo De Luca, che ha annunciato di voler querelare la presidente della commissione Antimafia, Rosy Bindi. Se venisse eletto, De Luca rischia anche di essere sospeso in base alla cosiddetta “legge Severino” in quanto condannato in primo grado per abuso d’ufficio.

Oltre a De Luca si sono candidati il presidente uscente, Stefano Caldoro, eletto nel 2010 dopo aver battuto proprio De Luca e che è sostenuto da Forza Italia, Nuovo Centro Destra e Fratelli d’Italia; Valeria Ciarambino per il Movimento 5 Stelle; Salvatore Vozza appoggiato da SEL (Sinistra Ecologia Libertà) e da Rifondazione Comunista, già parlamentare e sindaco di Castellammare di Stabia (Napoli); Marco Esposito, giornalista del Mattino, già assessore alle Attività produttive a Napoli e candidato per la lista di sinistra Mò (cioè “adesso” in dialetto napoletano), di stampo meridionalista; Michele Giliberti, candidato della lista Forza Nuova. Secondo gli ultimi sondaggi, De Luca e Caldoro sono praticamente a pari merito.

Liguria
La Liguria è una regione che dal 1994 ad oggi è sempre stata governata dal centrosinistra ad eccezione di un mandato, tra il 2000 e il 2005. Domenica il centrosinistra si presenta però diviso: da un lato il candidato ufficiale del PD, Raffaella Paita: Paita era stata eletta con delle primarie molto contestate e che avevano portato il suo oppositore, Sergio Cofferati, a dimettersi dal PD. Dall’altro lato Luca Pastorino, sindaco di Bogliasco e parlamentare vicino a Pippo Civati, appoggiato da SEL e da altri partiti di sinistra, oltre che da alcuni parlamentari della minoranza PD.

Il centrodestra ha candidato Giovanni Toti, originario di Viareggio e sostenuto da sette liste: Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia, Nuovo Psi, Riformisti, Ap-Liguria, Liberali. Alice Salvatore è la candidata del Movimento Cinque Stelle. Gli altri candidati sono Antonio Bruno per Progetto Altra Liguria (lista che si ispira al leader greco Tsipras); Enrico Musso, per la lista di centrodestra Liguria Libera; Matteo Piccardi del Partito comunista dei lavoratori; Mirella Batini per Fratellanza donne. Anche in Liguria, gli ultimi sondaggi danno Paita e Toti molto vicini.

Fonte: Il Post

sabato 30 maggio 2015

Dati reali sui rom

Quanti sono, chi sono, da dove vengono e quanto costano allo stato italiano. Spiegato senza giri parole

Persone d’etnia rom a nord di Atene, il primo ottobre 2014: Yorgos Karahalis

Chi sono, quanti sono, quanto costano e come li vedono gli italiani. Qui sotto abbiamo raccolto alcuni dati utili e interessanti da sapere sulle persone d'etnia rom.

Chi sono: rom, sinti e camminanti

I rom, i sinti e i camminanti sono una minoranza linguistica e culturale presente in Italia. I rom sono il gruppo più diffuso e sono presenti in tutte le regioni. I primi rom arrivarono dall'Europa orientale nel Quattordicesimo secolo, ma la maggior parte arrivò negli anni Sessanta e Settanta.

I camminanti, chiamati anche siciliani erranti, sono un gruppo nomade presente soprattutto in Sicilia. I sinti sono un'altra etnia della popolazione di lingua romaní, parlata soltanto da alcuni rom e sinti. Tradizionalmente i sinti praticano attività circensi e di giostrai e vivono soprattutto nel nord e nel centro Italia.

Quanti sono i rom

In totale, i rom in Europa sono tra i 10 e i 12 milioni, e rappresentano la più grande minoranza etnica presente nel continente. Di questi, circa la metà, ovvero 6 milioni, risiede nei Paesi membri dell'Unione europea.

In Italia i rom sono circa 180mila e rappresentano lo 0,25 per cento della popolazione residente nel Paese, una percentuale inferiore rispetto a quella presente in molti altri Paesi europei, come per esempio in Grecia (2 per cento), Spagna (1,8 per cento) e Francia (0,8 per cento).

Circa il cinquanta per cento dei rom presenti in Italia ha la cittadinanza italiana. Gli italiani intervistati al riguardo, tuttavia, ritengono - erroneamente - che questa percentuale non superi il 10 per cento.

Come li vedono gli italiani:

Secondo un sondaggio del 2014, condotto dal Pew Research Centre, un centro di ricerca statunitense, l'85 per cento degli italiani ha un'opinione sfavorevole dei rom. Solo il 10 per cento ha una posizione favorevole a riguardo.


Nomadismo e campi abitativi:

In un sondaggio del 2008 è emerso che l'84 per cento degli intervistati ritiene che i rom siano prevalentemente nomadi. In realtà, secondo un rapporto del 2014, solamente il 3 per cento della popolazione rom presente in Italia ha uno stile di vita itinerante.

Secondo un rapporto di Amnesty del 2013 le politiche abitative italiane discriminano i rom. "Erroneamente etichettandoli come “nomadi”, per anni le autorità municipali di Roma hanno alloggiato i rom senza casa in container e roulotte sovraffollati all’interno di campi mono-etnici, lontani da servizi essenziali e mezzi di trasporto", si legge nel rapporto.

"Se chi non è rom può almeno sperare in una delle poche case popolari disponibili, qualora ne abbia bisogno, per i rom che vivono nei campi autorizzati ciò è praticamente impossibile, a causa di criteri di assegnazione che non possono soddisfare e dai quali sono stati di recente espressamente esclusi".

A Roma, i rom sono circa 8mila, di cui almeno la metà vive nei campi abitativi.

(Nella foto qui sotto: una bambina al campo rom di Triel-sur-Seine, nei pressi di Parigi. Credit: Benoit Tessier)


Scolarizzazione dei bambini rom:

I minorenni costituiscono il 60 per cento dei rom in Italia. Di questi, solamente il 30 per cento risulta essere iscritto a scuola, secondo i dati sulla dispersione scolastica riferiti dal ministero dell'Istruzione. Tuttavia, molti dei bambini e ragazzi iscritti a scuola non frequentano le lezioni in modo continuativo.

Una percentuale nettamente superiore si registra invece in Spagna, dove i minorenni rom scolarizzati rappresentano il 93 per cento.

Quanto costano allo stato italiano:

Secondo un rapporto pubblicato dal Centro di raccolta, curato dall'associazione 21 luglio, nel 2013 a Roma sono stati spesi complessivamente 24 milioni di euro per gestire la presenza rom nella capitale.

Di questi, però, oltre 22 milioni sono stati spesi per la gestione dei campi abitativi, e un ulteriore milione e mezzo è stato utilizzato per effettuare gli sgomberi forzati.

Solamente il 13,2 per cento della spesa complessiva è stato indirizzato a una maggiore integrazione dei bambini rom nelle scuole, e solamente lo 0,4 per cento per l'inclusione sociale della minoranza nel Paese.

Fonte: The Post Internazionale

L’assistenza sessuale ai disabili in Italia è ancora tabù

Un ddl che istituisce il progetto è fermo da un anno in Parlamento. La prostituzione non c’entra, gli specialisti sono educatori e psicologi

Marco Sarti

Valentina Cinelli/Flickr

«In Italia le persone disabili sono considerate come dei bambini. Angeli asessuati. Ma non è così, le persone con disabilità hanno delle necessità fisiche come tutti gli altri». Fabiano Lioi è un musicista. Affetto da Osteogenesi Imperfetta, da qualche giorno ha lanciato una petizione online per accelerare l’iter legislativo di una proposta presentata un anno fa al Senato. È un provvedimento rivoluzionario. «Un obiettivo di civiltà», destinato a permettere anche nel nostro Paese l’assistenza sessuale ai disabili. Nulla a che vedere con la prostituzione. Basta leggere la norma per rendersi conto che il progetto è molto più complesso. «La dimensione della sessualità delle persone con disabilità - così il disegno di legge - può e deve essere sostenuta attraverso un intervento di assistenza all’emotività, all’affettività, alla corporeità e alla sessualità». 

Peccato che l’argomento sia ancora un tabù. «Di sessualità e handicap in Italia non si può parlare. C’è un pregiudizio totale», racconta Lioi. La petizione ha l’obiettivo di smuovere le acque. «Come tutti i disegni di legge dalla portata innovativa, anche questo provvedimento per essere approvato ha bisogno di trovare un consenso nell’opinione pubblica» ammette il senatore Pd Sergio Lo Giudice, primo firmatario del testo. L’idea della legge è nata un anno fa, dopo il suo incontro con il comitato LoveGiver (www.lovegiver.it), la prima organizzazione italiana impegnata apertamente per il riconoscimento dell’assistenza sessuale ai disabili. Un’esperienza raccontata da ricercatori scientifici, operatori del settore e tanti diretti testimoni nel libro “LoveAbility”, edito da Erickson. «È stato proprio quel libro, uscito lo scorso anno, a sollevare un po’ di attenzione sul fenomeno» spiega Lo Giudice.

È una realtà poco conosciuta, non per questo poco diffusa. Ma è anzitutto una questione di diritti. In Italia già trent’anni fa la Corte Costituzionale ha riconosciuto la sessualità come «uno degli essenziali modi di espressione della persona umana», confermando che «il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizione soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’articolo 2 Cost. impone di garantire». Ma quella dell’assistenza sessuale per i disabili è soprattutto una questione sentita. Specie da chi la vive sulla propria pelle senza poterne parlare liberamente.

In pochi giorni la petizione sul sito Change.org ha raggiunto 12mila firmatari. Chi conosce l’argomento non sembra stupirsi troppo. Maximiliano Ulivieri è il fondatore del comitato LoveGiver. Da due anni combatte perché anche in Italia venga riconosciuta la figura dell’assistente sessuale. Oltre alla formazione di futuri specialisti, lo scorso anno il comitato ha dato vita a un osservatorio nazionale sul fenomeno. Un organo coordinato dal presidente dell’Istituto italiano di sessuologia scientifica Fabrizio Quattrini che attraverso oltre 66 protocolli di osservazione ha creato le basi per il disegno di legge depositato al Senato (ma un testo identico è stato presentato più recentemente anche alla Camera dei deputati).

«Purtroppo - racconta Ulivieri - in Italia manca ancora la conoscenza di quanto sia reale e diffuso il bisogno». Molti si rivolgono privatamente al comitato. «Spesso le famiglie rappresentano il primo problema - continua il fondatore di LoveGiver - Vedendo i propri figli disabili come eterni bambini, i genitori non riescono neppure a cogliere queste necessità». Per comprendere il fenomeno è importante circoscriverne la portata. «Io sono un disabile, ma sono sposato e ho avuto le mie storie», dice Ulivieri. Come spiega il disegno di legge, l’assistenza sessuale diventa necessaria solo in situazioni specifiche. Per i disabili con «una ridotta autosufficienza a livello di mobilità e motilità», ad esempio. Senza dimenticare particolari disabilità mentali e i casi di persone dall’aspetto fisico lontano dai modelli estetici dominanti. Necessità reali, a cui in certe situazioni si aggiunge «l’impossibilità di pervenire autonomamente a soddisfacenti pratiche di autoerotismo».

La forzata assenza di sessualità non è priva di conseguenze. «Nel disabile psichico la difficoltà a vivere la sfera dell’intimità e della sessualità alimenta la perdita di autonomia» conferma il testo parlamentare. Ne possono derivare stati di emarginazione affettiva e relazionale. «Sono costrizioni che formano il carattere - spiega ancora Ulivieri - Si diventa chiusi, ma soprattutto si inizia a percepire il proprio corpo come una fonte di dolore».

In assenza di una legge, ognuno si arrangia come può. «Nella maggior parte delle situazioni - spiega il senatore Lo Giudice - le famiglie sono obbligate a ricorrere al mercato della prostituzione». Un fenomeno che riguarda uomini e donne in uguale misura, ovviamente. Eppure limiti umani e ambientali spesso non rendono possibile neppure questa soluzione (peraltro estremamente limitata rispetto alle necessità di cui si parla). «In alcuni casi - continua Ulivieri - sono le madri ad essere costrette a masturbare i figli». Vicende drammatiche, spesso poco conosciute. Il disegno di legge offre una soluzione. Il testo istituisce la figura dell’assistente «per la sana sessualità e il benessere psico-fisico delle persone disabili». Un operatore che deve essere formato con un preciso ciclo didattico di tipo «psicologico, sessuologico e medico», con l’obiettivo finale di aiutare le persone con disabilità psichica o fisico motoria «a vivere un’esperienza erotica, sensuale o sessuale e a indirizzare al meglio le proprie energie interne, spesso scaricate in modo disfunzionale in sentimenti di rabbia e aggressività».

Il sesso rappresenta solo una minima parte dell’intervento. «Non è quello il concetto - racconta Fabiano Lioi - Parliamo di prendere coscienza del proprio corpo. Io sono un musicista e un attore, lo conosco il mio corpo. Ma ho amici affetti da distrofia muscolare che non possono dire lo stesso». Maximiliano Ulivieri è d’accordo. «Non si tratta solo di far provare esperienze fisiche ed emotive, ma di agire a livello psicologico ed educativo». In attesa di un riconoscimento ufficiale, il comitato LoveGiver non può promuovere specifici corsi. Però ha già selezionato un primo gruppo di assistenti sessuali. È stata una valutazione lunga e complessa, coordinata direttamente dal professor Quattrini. «Sono stati usati criteri molto severi - dice Ulivieri - privilegiando molto la sfera empatica». Di quasi cento richieste, alla fine sono state individuate solo trenta persone. Uomini e donne. Anche stavolta è bene sottolineare la distanza da qualsiasi fenomeno prostitutivo. «I nostri assistenti non sono escort - racconta Quattrini - Per la maggior parte sono educatori, psicologi, in alcuni casi fisioterapisti».

Mentre il Parlamento continua a ignorare l’argomento, a livello regionale qualcosa si muove. Negli ultimi mesi almeno tre amministrazioni hanno assicurato di voler prendere in considerazione il progetto, annunciando percorsi di sperimentazione. Il comitato LoveGiver racconta l’interesse di Toscana, Emilia Romagna e Piemonte. Inutile negare che nell’opinione pubblica restano i dubbi di tanti. Spesso avvicinata erroneamente alla prostituzione, l’assistenza sessuale per le persone disabili viene vista con disagio, quando non apertamente osteggiata. «Esiste qualcuno a cui questo progetto non va a genio?- risponde Ulivieri - Beh, esiste anche qualcuno che se ne frega. Il consenso totale non si potrà mai ottenere su nulla». Gran parte delle principali associazioni legate al mondo della disabilità non si sono ancora espresse. «Mi invitano a decine di convegni - continua il fondatore di LoveGiver - Mi fanno parlare, poi nessuno vuole mettere la faccia sul nostro disegno di legge. Non capiscono che se tutti si nascondono è difficile creare consenso attorno a questo progetto».

Fonte: Linkiesta.it

venerdì 29 maggio 2015

Heysel, la strage trent’anni dopo e per sempre

Il 29 maggio 1985 Juventus-Liverpool finale di Coppa dei Campioni fa 39 morti


Minuto 56, finale di Coppa Campioni 1985 Juventus-Liverpool. Lancio lungo di Platini in profondità per Boniek che si invola tutto solo verso la porta avversaria, dietro di lui lo rincorrono Hansen e Johnston, quest’ultimo lo sgambetta fallosamente al limite dell’area: l’arbitro svizzero André Daina vede male, giudica dentro il fallo e indica il dischetto. È calcio di rigore. Dal dischetto va Platini: rincorsa e tiro, Grobbelaar si butta a sinistra, la palla va a destra, pugno destro al cielo di Le Roi e 1-0 per la formazione allenata da Trapattoni. Il risultato resiste fino al novantesimo e oltre, la coppa che va a Torino. Una partita e una finale come tante, una svista arbitrale e un’esultanza come altre. Alt.

AFP/Getty Images

Alt perché la Storia il 29 maggio 1985, trent’anni oggi, ha raccontato altro: da parte il pallone, spazio all’incubo. Da quel maledetto giorno il solo pronunciare o ascoltare la parola Heysel richiama nella memoria di ogni tifoso di calcio l’orrore: l’orrore di 39 morti schiacciati dal peso di un muro di cartapesta infame venuto giù, fuggiti alla furia hooligans e finiti uno addosso all’altro, uno sotto l’altro in cerca di una via di fuga. Lo spavento e la corsa, l’affanno e lo spaesamento, i poliziotti che latitano, le urla, il panico e l’angoscia. La voce rotta di Bruno Pizzul alla tv, le esitazioni di mamma Rai, la decisione dei dirigenti Uefa ché si doveva giocare per forza.

Le gradinate dello stadio di Bruxelles diventano prima una gabbia infernale poi un camposanto su cui giacciono i corpi di 32 tifosi italiani, 4 belgi, 2 francesi e un irlandese: le storie di Giuseppina 17 anni giunta all’Heysel come premio per la bella pagella, di Giovanni e Andrea padre e figlio di soli undici anni, di Roberto il cui papà Otello ha fondato il comitato dei familiari delle vittime, di Nino, di Giancarlo, di Claude, di Jacques e di tutti gli altri finiscono così nel libro nero del calcio. Per sempre.


Photocredit copertina DOMINIQUE FAGET/AFP/Getty Images

Fonte: Giornalettismo

Elezioni regionali 2015: ecco i 17 'impresentabili'. C'è anche De Luca

Rivelato l'elenco delle persone non candidabili in base al codice di autoregolamentazione approvato dai partiti. Sono 4 in Puglia e 13 in Campania. Tra questi ultimi ci sono anche il candidato presidente del centrosinistra e la moglie dell'ex ministro Clemente Mastella, Alessandrina Lonardo. Rosy Bindi: "La lista non dichiara l'ineleggibilità". Renzi aveva detto: "Pronto a scommettere che nessuno verrà eletto"


Il candidato presidente del centrosinistra in Campania, Vincenzo De Luca, è nella lista degli "impresentabili". All’ultimo giorno di campagna elettorale, la commissione Antimafia presieduta da Rosy Bindi ha svelato l'elenco tanto atteso e discusso e il suo è il nome di maggior rilievo. Complessivamente a non rispondere ai requisiti del codice di autoregolamentazione approvato all'unanimità dai partiti lo scorso settembre sono diciassette persone, dodici nel centrodestra e cinque nel centrosinistra. Tredici sono in Campania e quattro in Puglia, i cui nomi erano già trapelati.

"Il codice di autoregolamentazione non ha il potere di far ritirare i candidati"
La presidente della commissione Antimafia ha chiarito che la decisione non avrà necessariamente degli effetti sulle prossime elezioni. "Questo codice non ha il potere di far ritirare qualcuno dalle liste - ha dichiarato Rosy Bindi - Si vuole soltanto dire ai cittadini che non hanno accesso ai dati a cui noi non abbiamo accesso, qual è la qualità del personale politico".

Gli "impresentabili" campani
Nell'elenco diffuso dalla commissione Antimafia, per la Campania figurano: Antonio Ambrosio (Forza Italia), Luciano Passariello (Fratelli d'Italia), Sergio Nappi (Caldoro presidente), Vincenzo De Luca (Pd), Fernando Errico (Ncd-Campania popolare), Alessandrina Lonardo (Forza Italia, moglie dell'ex ministro Clemente Mastella), Francesco Plaitano (Popolari per l'Italia), Antonio Scalzone (Popolari per l'Italia), Raffaele Viscardi (Popolari per l'Italia), Domenico Elefante (Centro democratico-Scelta civica), Biagio Iacolare (Udc), Carmela Grimaldi (Campania in rete) e Alberico Gambino (Meloni-Fratelli d'Italia-An).

Gli "impresentabili" pugliesi
Nessuna sorpresa per quanto riguarda le Regionali pugliesi. I quattro candidati "impresentabili" sono Fabio Ladisa (Popolari per Emiliano), Enzo Palmisano (Movimento per Schittulli), Giovanni Copertino (Forza Italia) e Massimiliano Oggiano (Lista Oltre con Fitto).

Il profilo di De Luca
Per quanto riguarda Vincenzo De Luca, l'Antimafia segnala che dagli atti trasmessi dal procuratore della Repubblica di Salerno risulta che pende un giudizio a suo carico nel procedimento per il reato di concussione continuata commesso dal maggio 1998 e con "condotta in corso" (e altri delitti, quali abuso d'ufficio, truffa aggravata, associazione per delinquere). La prossima udienza è fissata per il 23 giugno 2015. La procura di Salerno ha comunicato, con una nota del 25 maggio 2015, che l'imputato De Luca "ha rinunciato alla prescrizione relativamente ai delitti per i quali era maturato il relativo decorso".

Le parole di Renzi
Prima delle diffusione della lista, nella quale è compreso anche un candidato di grande rilievo come De Luca, il leader del Pd Matteo Renzi aveva dichiarato: "Sono pronto a scommettere che come tutti sanno ma nessuno ha il coraggio di dire nessuno di questi candidati - nessuno! - verra eletto". Il presidente del Consiglio aveva definito "surreale e autoreferenziale" il dibattito sul tema.

Fonte: Rai News

giovedì 28 maggio 2015

Il Nebraska ha abolito la pena di morte


Negli Stati Uniti il parlamento del Nebraska ha approvato una legge che abolisce la pena capitale con 30 voti favorevoli e 19 contrari. Grazie alla larga maggioranza che ha appoggiato la legge, il governatore dello stato, il repubblicano Pete Ricketts, non ha potere di veto. Infatti il parlamento aveva già votato e approvato per tre volte una legge che prevedeva l’abolizione della pena di morte, ma il governatore del Nebraska aveva usato il suo potere di veto per bloccarla.

Questa volta il provvedimento è stato appoggiato da una coalizione che comprende anche i conservatori. Il Nebraska è il primo degli stati conservatori degli Stati Uniti ad abolire la pena di morte dal 1973; altri 18 stati e lo stato di Washington hanno già preso provvedimenti simili. L’ultimo stato ad aver abolito la pena di morte è stato il Maryland nel 2013. In Nebraska non è stata eseguita nessuna pena capitale dal 1997 e dieci detenuti si trovano ancora nel braccio della morte.

Fonte: Internazionale

I morti per il caldo in India

Quasi 1.500 persone sono morte in due stati dell'India centrale nell'ultima settimana, dove sono state registrate temperature anche superiori ai 45 gradi centigradi

Un passeggero di un treno indiano si sciacqua con dell'acqua alla stazione ferroviaria di Jammu, India, 25 maggio 2015. (AP Photo/Channi Anand)

Aggiornamento del 28 maggio – Le persone morte per gli effetti del caldo in India sono quasi 1.500. I due stati più colpiti dalle alte temperature sono Andhra Pradesh e Telangana nell’India centro-orientale: nel primo, dallo scorso 31 maggio, sono morte 1.020 persone, più del doppio rispetto all’anno precedente; nel secondo, durante lo scorso fine settimana, sono morte 340 persone (nel 2014 i morti erano stati 31).

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Nell’ultima settimana circa 1.100 persone sono morte in India per gli effetti del caldo (alcuni giornali locali parlano di oltre 1.200 morti): i due stati indiani più colpiti dalle alte temperature sono Andhra Pradesh (con finora 852 morti) e Telangana (con 266 morti), nell’India centro-orientale. Oggi le temperature nei due stati sono calate leggermente, anche se la massima ha fatto registrare 45 gradi centigradi. Le autorità locali hanno detto che nei prossimi giorni dovrebbero arrivare delle piogge pre-monsoniche, che potrebbero abbassare ulteriormente le temperature. Non è raro che l’estate in India raggiunga temperature così elevate: già in passato gli effetti del caldo avevano provocato centinaia di morti in tutto il paese.

Negli ultimi giorni ci sono stati 24 morti anche nel Bengala Occidentale e nell’Orissa, due stati dell’India nord-occidentale: temperature molto elevate si sono registrate nello Uttar Pradesh, nello Jharkhand, nel Rajasthan e a New Delhi, la capitale indiana, con temperature che la scorsa settimana hanno raggiunto anche i 50 gradi centigradi. Le autorità hanno detto ai residenti di molte città di rimanere in casa. BBC dice che molte delle persone che sono morte sono rimaste esposte al sole direttamente, avevano di media circa 50 anni e provenivano dalla classe operaia.

Maggio è il mese più caldo dell’anno in India, con una temperatura media che si aggira attorno ai 42 gradi centigradi a New Delhi. Negli ultimi anni le temperature medie sono aumentate, proporzionalmente al resto del mondo. Finora gli anni recenti peggiori per le alte temperature sono stati il 2002 e il 2003, quando migliaia di persone sono morte in tutto il paese a causa degli effetti del caldo.

Fonte: Il Post

Pedofilia, la grave timidezza della Chiesa in Italia

Papa Francesco ha istituito una sorta di ministero per combattere gli abusi. Ma sono ancora tanti che faticano a collaborare con le autorità civili

Francesco Peloso

FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images

Negli Stati e nei casi in cui i reati di abuso sui minori siano caduti in prescrizione e non è quindi possibile un’azione giudiziaria contro un religioso responsabile di simili atti «non è accettabile che le autorità ecclesiastiche sostengano che, se le autorità civili sono state informate ma non possono agire, la Chiesa non è obbligata a rispondere. Se lo stato è incapace di agire, la Chiesa deve investigare e risolvere il caso di abuso attraverso le sue proprie norme e procedure, rimuovendo i colpevoli e prendendosi cura delle vittime quando l’abuso è stato commesso».

Sono parole estremamente chiare quelle pronunciate lo scorso febbraio dal cardinale Sean Patrick O’ Malley, presidente della Pontificia commissione per la protezione dell’infanzia creata su impulso di papa Francesco. Nel frattempo l’organismo è stato dotato dei necessari Statuti normativi così da entrare in una fase definitivamente operativa; in poche parole, in Vaticano c’è ora un dicastero per combattere la piaga della pedofilia in primo luogo nel clero e poi per difendere i minori in generale.

Un bel passo avanti, certo, rispetto a un passato fatto di negazioni, insabbiamenti, fughe. E, d’altro canto è stato lo stesso O’ Malley a invocare un principio importantissimo: ovvero quello di mettere a punto «sanzioni» per «le autorità ecclesiastiche» che avessero fallito nel compito di proteggere l’infanzia. Insomma: basta protezioni dai vertici, fine dei segreti e dell’occultamento dei fatti. L’organismo vaticano, del resto, è nato coinvolgendo non solo le vittime degli abusi ma anche le conferenze episcopali sparse per il mondo. Tutto bene dunque? Non esattamente.

Molti Paesi non sono pronti a recepire in modo automatico una politica di trasparenza su un tema tanto delicato, e – guarda caso – l’Italia rientra in questa sfera. Nei giorni e nelle settimane scorse, diverse indagini dal nord al centro Italia hanno portato alla luce l’ennesima rete di pedofili. In particolare, un prete è stato incastrato ad Alassio, in Liguria; un altro caso invece è emerso a Fiumicino, vicino a Roma. E ancora, un terzo episodio recentissimo riguarda un sacerdote di 73 anni di una parrocchia di Brindisi, in Puglia, una vicenda pure quest’ultima conclusasi con l’intervento delle forze dell’ordine. Un altro prete prete attivo nel quartiere dei Parioli a Roma e in precedenza operativo in Argentina (dove avrebbe commesso i reati), è finito sotto inchiesta – contro di lui è intervenuta l’Interpol – qualche mese fa per violenze, sesso di gruppo, corruzione di minorenni.

Abusi commessi su chierichetti, su ragazzi che frequentano la parrocchia o adescati per strada, nelle zone della prostituzione minorile, video e fotografie pornografiche, scambio di materiale pedopornografico sul web, violenze filmate e messe in rete. Il catalogo dei reati e delle perversioni conosce ormai dei punti fermi e col passare del tempo si moltiplicano anche in Italia i casi e gli arresti di sacerdoti e religiosi. Se ormai da diversi anni pure nel nostro Paese è crollato il muro dell’omertà grazie alle denunce delle vittime, nelle 225 diocesi che compongono la galassia della Chiesa italiana, si continua a far finta di niente.

Raramente un ordine religioso, un vescovo, per non dire della conferenza episcopale guidata dal cardinale presidente Angelo Bagnasco e dal Segretario, considerato più vicino a Bergoglio, monsignor Nunzio Galantino, hanno diffuso note di denuncia, prese di distanza, o anche semplicemente di informazione rivolte ai fedeli e all’opinione pubblica. Più raramente ancora si registra qualche parola in favore delle vittime. Si preferisce il silenzio.

Una delle poche eccezioni ha toccato don Mauro Inzoli, ex pezzo grosso di Comunione e liberazione, “condannato” a una vita di riservatezza e preghiera dal Vaticano il cui provvedimento è stato reso noto dalla diocesi di Crema a cui faceva riferimento il sacerdote (detto don Mercedes). Tuttavia don Inzoli venne poi fotografato in mezzo ad autorità politiche di rango, seduto nelle prime file di un convegno – dedicato neanche a dirlo alla difesa della famiglia tradizionale – svoltosi a Milano. Altri casi, ancora, si sono accumulati negli anni passati, qualcuno finito nel dimenticatoio mediatico, qualcun altro conclusosi con una condanna esemplare come nel caso di don Ruggero Conti, parroco di Selva Candida, vicino Roma, al quale la Cassazione solo un paio di mesi fa, ha dato in via definitiva 14 anni e due mesi; una pena di particolare gravità.

Dietro queste vicende segnate da omertà, da confessioni indicibili di adulti ex vittime che trovano il coraggio di parlare, di genitori che intuiscono qualcosa, di vescovi che si voltano dall’altra parte, c’è però un nodo istituzionale che riguarda in modo specifico la conferenza episcopale italiana. Quest’ultima negli ultimi anni, ottemperando a fatica alle richieste della Santa Sede, ha cercato di adottare linee guida antipedofilia in sintonia con gli standard richiesti dal Vaticano già prima che venisse creato il nuovo dicastero per la tutela dei minori. Ma nel redigere il documento la Cei ha sempre cercato di negare o attutire un principio fondamentale stabilito nelle norme quadro affermate dal Vaticano: quello della collaborazione con le autorità civili; concetto limitato in tutti i modi nei testi preparati dai vescovi italiani nei quali invece ampio spazio era dedicato alla tutela dell’indagato. Un garantismo che assomiglia un po’ troppo a una difesa della propria corporazione.

Da ultimo, sui recenti casi di sacerdoti italiani arrestati e coinvolti in indagini relative ad abusi, don Fortunato di Noto, il prete da anni impegnato a combattere la pedofilia (fondatore di Meter), ha affermato: «Chi si macchia di questi reati non può fare il prete. Non possiamo giocare con i termini, sono fatti gravissimi, ancora più se a commetterli sono sacerdoti. Se un padre che abusa del figlio perde la patria potestà, è chiaro che un prete non può continuare a svolgere il suo ministero. Un prete non può permettersi questo scivolone». «È vero – ha aggiunto – che la legge permette percorsi di riabilitazione, va tutto bene. Ma un pedofilo non deve più fare il prete».

Fonte: Linkiesta.it

mercoledì 27 maggio 2015

Arrestati sei funzionari della Fifa a Zurigo

Chiesta l’estradizione negli Stati Uniti, da dove è partita l’indagine


La polizia svizzera ha arrestato sei alti funzionari della Fifa, la federazione calcistica internazionale, con l’accusa di corruzione, su richiesta delle autorità statunitensi.

I funzionari si trovavano a Zurigo, in Svizzera, nell’hotel Baur au Lac, per partecipare al congresso annuale dell’organizzazione previsto per il 29 maggio. Durante l’assemblea era prevista l’elezione del presidente e quello uscente, Joseph Blatter, era dato per favorito. Blatter corre per il suo quinto mandato e non è tra gli indagati.

In un comunicato la polizia svizzera ha dichiarato che i sei funzionari sono accusati di aver ricevuto tangenti per milioni di dollari, dagli anni novanta in poi, e che per questo un procuratore di New York ha chiesto l’estradizione negli Stati Uniti. Gli indagati sarebbero una decina.

Le accuse sono di corruzione, riciclaggio di denaro e racket. Sono coinvolti alcuni dei più alti funzionari dell’organizzazione.

Secondo il New York Times tra gli indagati ci sono Jeffrey Webb, uno dei vicepresidenti del comitato esecutivo, Eugenio Figueredo, un altro vicepresidente del comitato esecutivo e presidente della Lega calcio latinoamericana, e Jack Warner, ex membro dell’esecutivo.

Il giornalista del New York Times Michael Schmidt ha twittato dall’hotel di Zurigo dove sono avvenuti gli arresti.

Fonte: Internazionale

martedì 26 maggio 2015

Sono Valsav, ma gli amici mi chiamano Sasha

di Luciana Esposito

Sono Valsav, ma gli amici mi chiamano Sasha, ho 44 anni, sono originario della Repubblica Ceca, “vivo” in Italia da circa 10 anni. E sono un clochard. O meglio, quel clochard che si è visto sopraffare da una valanga di cinica, feroce ed inspiegabile violenza. Sono stato picchiato selvaggiamente con bastoni di legno e ferro da un gruppo di persone che mi hanno procurato un trauma cranico, oltre alla frattura degli arti superiori e inferiori.

Erano in tanti, quattro o forse cinque.

Non lo so, non sono in grado di stabilirlo con precisione, non vedevo nulla, sentivo solo dolore. E paura. Credevo di morire e forse hanno smesso di infierire su di me quando ho perso i sensi, credendo che fossi morto. Simulare la morte mi ha salvato la vita. Probabilmente.

Era una sera come tante, una di quelle che funge da baluardo di una notte di prima primavera. Ancora fredda, ma speranzosa di abbracciare il sole, anche quando è buio. Mi trovavo nei locali abbandonati retrostanti della stazione ferroviaria centrale di Nola. Questi sono i “Grand Hotel” che possono permettersi quelli come me. Un luogo dimenticato e fatiscente, adattato a discarica improvvisata, dove le condizioni igieniche sono rese assai ostili dalla copiosa presenza di rifiuti, anche tossici, impropriamente sversati da cittadini o persone di passaggio.

Eppure, il pericolo insito nelle scorie e nella maleodorante feccia che contaminano quel posto, rappresentavano il “mio male minore.”

Un gruppo di giovani, forse per noia, forse per dare libero, pieno ed appagante sfogo alla follia antisemita che gli gronda nelle vene, hanno scelto di riversare su di me quel delirante tripudio di alacre violenza.

Opson, il mio cane, vedendomi in balia del pericolo, è corso in mio soccorso. Voleva aiutarmi, voleva difendermi. Come solo il più fedele e fidato degli amici avrebbe fatto. Ha provato a difendermi, ma anche lui ha avuto la peggio. Anche a lui hanno fratturato le zampe e lo hanno pestato fino a ridurlo ad una carcassa d’inerme pelo.

Opson, il mio cane, è morto così: ha dato la vita per cercare di sottrarmi dalla cruenta morsa di violenza azionata da altri “esseri umani”.

Eppure, non sono un balordo, né un attaccabrighe. Sono povero, ma non per questo occupo le mie giornate molestando gli altri, né tantomeno provo a sottrarre agli altri con la forza o sotto la minaccia di un’arma cellulari, portafogli e collanine.

Vivo adagiato ai margini delle strade della città, oltre che ai margini della società.

Cosa ha spinto un gruppo di persone “normali”, nel cuore della notte, a sporcarsi le mani per alzare contro “uno come me”?

Un “ultimo”, un “invisibile”, un “numero zero”.

Vorrei trovare una risposta che conferisca un “senso” alla mia aggressione. Forse servirebbe a farmi star meglio. O forse no. No, non credo che a me servirebbe. Probabilmente, sarebbe più d’aiuto agli altri, gli consentirebbe di conoscere meglio e a fondo la società in cui vivono. Non viviamo. Perché, attraverso le storie come la mia, emerge la cruda verità: noi viviamo relegati negli angoli della scarna indifferenza

Tante persone, però, quando hanno appreso che le mie ossa erano state barbaramente fracassate da una “banda di balordi perbene” sono insorte, si sono indignate, si stanno mobilitando per offrirmi aiuto. Ne avrò maledettamente bisogno: chissà quanto tempo mi ci vorrà per rimettermi in piedi. Guardando le gambe e le braccia ingessate, non posso evitare di concludere che passeranno mesi prima che potrò ritornare a camminare, ad essere autonomo.

Oggi, mi sono lasciato alle spalle la prima operazione al braccio. Hanno dovuto operarmi in anestesia totale, perché ero agitato. Non riuscivo a farne a meno.

Oggi pomeriggio, inoltre, nel Duomo di Nola, la Comunità di Sant’Egidio ha organizzato una veglia di preghiera per dimostrarmi solidarietà. Quei volontari sì che mi conoscono bene, molte volte mi hanno consegnato un pasto caldo, qualche parola, un sorriso, un timido, ma rassicurante barlume di speranza.

In questi giorni moltissimi cittadini mi stanno dimostrando vicinanza e solidarietà, su Facebook mi hanno dedicato una pagina: “coordinamento Sasha” gestita e seguita da chi vuole concretamente prestarmi aiuto. Grazie a questo gran movimento dell’opinione pubblica e delle associazioni, potrebbe essermi assegnato un alloggio in un edificio della Carità diocesana di Nola, dopo la dimissione dall’ospedale, mentre operatori fisiatri dei servizi sociali dell’ASL potrebbero aiutarmi nella riabilitazione.

Tutto quello che stanno facendo per me, per “uno come me” mi commuove e mi emoziona, ma, non posso fare a meno di chiedermi e chiedervi: dovevo essere ridotto a brandelli per indurre la comunità ad attivare una macchina della solidarietà così gremita e prolifera, coinvolgendo chiesa, comune, istituzioni e cittadini semplici?

Fonte: Napolitan.it

Segnalazione di Enza Tabacchino

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La ”generazione mille euro”: precari oggi e poveri domani


Di Erica Balduzzi

I giovani di oggi sono i poveri di domani: quello che fino ad oggi era un sospetto o un timore, grazie alle stime del Censis è un’amara – e reale – prospettiva dei prossimi anni, almeno per quanto riguarda la “generazione mille euro”, quella che ora arranca tra stipendi e collaborazioni sottopagate e che avrà una pensione ancora più misera.

Una generazione di potenziali poveri. Quella che si prospetta è una bomba sociale destinata a scoppiare entro i prossimi quarant’anni, quando i giovani di oggi andranno in pensione. Secondo una ricerca Censis in collaborazione con Fondazione Generali, infatti, due dipendenti su tre degli attuali occupati tra i 24 e i 35 anni (il 65%) – nonostante gli avanzamenti di carriera assimilabili a quelli delle generazioni che li hanno preceduti e considerando l’abbassamento dei tassi di sostituzione – avranno dalla pensione un reddito più basso di quello che avevano a inizio carriera. Meno di mille euro, quando va bene. E quando va male, come nel caso degli 890mila giovani autonomi o con contratti di collaborazione e dei Neet che né studiano né lavorano, le cifre potrebbero essere anche molto più basse: anche meno di 400 euro netti a mese.

Disoccupazione e pensione futura. Una condizione, quella dei “millennials”, che porta i segni inflitti dal regime contributivo puro della riforma Fornero: la ricerca del Censis evidenzia come il 53% dei giovani della “generazione mille euro” pensi che la sua pensione arriverà al massimo al 50% del reddito da lavoro: eppure il 61% di loro ha avuto finora una contribuzione pensionistica intermittente, dovuta ai periodi di sospensione tra un lavoro e l’altro e al lavoro in nero. «Per avere pensioni migliori – sottolinea il Censis – l’unica soluzione è lavorare fino ad età avanzata, allo sfinimento. Ma il mercato del lavoro lo consentirà? Intanto l’occupazione dei giovani è crollata». Nel 2004 infatti la percentuale di giovani occupati tra i 25 e i 34 anni era del 69,8% (pari a 6 milioni), scesa al 51,9% nei primi tre trimestri del 2014 (pari a 4,2 milioni): un crollo di 10,7 punti percentuali nell’occupazione giovanile italiana che, tradotta in costo sociale, è stata pari a 120 miliardi di euro. «Un valore pari al Pil di tre Paesi europei come Lussemburgo, Croazia e Lituania messi insieme», spiega il Censis.

E non sono messi meglio i genitori dei “millennials”: conti recenti della Ragioneria di Stato citati da “La Stampa”, infatti, evidenziano che chi andrà in pensione dal 2020 in poi avrà anch’esso una pensione molto ridotta rispetto a chi è andato in pensione nel decennio precedente. Si parla di assegni che non supereranno il 60% dell’ultimo stipendio ma, nel caso dei lavoratori autonomi, la percentuale scende sotto al 50%.

Fonte: Diritto di critica

lunedì 25 maggio 2015

Podemos avanza alle amministrative in Spagna

Il partito nato in seguito alle proteste degli indignados conquista Barcellona e cresce in tutto il Paese


Alle elezioni amministrative tenutesi ieri in Spagna il partito Podemos, nato sulla scia del movimento di protesta degli indignados, ha registrato una forte avanzata, riuscendo anche a eleggere la propria candidata sindaco a Barcellona.

Il Partito Popolare, partito di centrodestra del premier Mariano Rajoy, ha visto invece un forte ridimensionamento dei propri voti, perdendo circa il 10 per cento rispetto alle scorse amministrative del 2011. Questa crisi, tuttavia, ha colpito anche l'altro dei due partiti tradizionali spagnoli, i socialisti del Psoe, che scende di due punti percentuali.

A Barcellona Ada Colau, candidata di una coalizione sostenuta da Podemos, riesce a sorpresa a essere eletta sindaco. "È una vittoria di David contro Golia" ha riferito la Colau dopo la vittoria.

Anche a Madrid, roccaforte storica dei popolari, si è registrato un successo di Podemos. La candidata di Rajoy, Esperanza Aguirre, riesce infatti ad arrivare prima, ma senza ottenere la maggioranza nel consiglio. In questo modo la candidata di Podemos, Manuela Carmena, potrebbe diventare sindaco in coalizione con i socialisti.

"È la fine del bipolarismo" ha riferito ieri il leader di Podemos, Pablo Iglesias, nel commentare i risultati elettorali. Il dato politico di queste elezioni, infatti, è la messa in discussione di un sistema politico, quello spagnolo, che fino a oggi si era basato soprattutto sul bipolarismo tra popolari e socialisti.

In quest'ottica si registra anche il grande successo di Ciudadanos, un partito di stampo liberale, che potrebbe essere determinante per creare alleanze di governo in molte città della Spagna.

Fonte: The Post Internazionale

È morto John Nash

Era il matematico che aveva ispirato il film "A Beautiful Mind", aveva vinto un premio Nobel per l'Economia nel 1994

(BOB STRONG/AFP/Getty Images)

John Nash, matematico statunitense e vincitore del premio Nobel per l’Economia, è morto sabato 23 maggio insieme alla moglie in un incidente stradale in New Jersey, negli Stati Uniti. Nash è stato uno dei matematici più importanti del Novecento ed è diventato molto noto soprattutto grazie al film del 2001 “A Beautiful Mind” – diretto da Ron Howard e interpretato da Russell Crowe – che racconta la sua vita e la sua malattia, la schizofrenia paranoide.

Nash era nato a Bluefield, in West Virginia, negli Stati Uniti, il 13 giugno del 1928 e fin da giovane aveva dimostrato di essere molto portato per la matematica. I genitori gli fecero frequentare corsi di matematica avanzata già negli ultimi anni di liceo. Quando terminò l’università, il suo professore gli scrisse una lettera di raccomandazione di una sola riga: «Quest’uomo è un genio». Nash proseguì gli studi all’università di Princeton e nel 1950 pubblicò la sua dissertazione per il dottorato in cui trattava la teoria dei giochi. Grazie a questo studio nel 1994 vinse il Premio Nobel per l’Economia.

A partire dal 1959 Nash cominciò a manifestare sintomi di schizofrenia e, quasi sempre contro la sua volontà, fu ricoverato per lunghi periodi in ospedale. Nel 1970 fu ricoverato per l’ultima volta. Uscito dall’ospedale ritornò a vivere con l’ex moglie Alicia Lopez-Harrison de Lardé, dalla quale aveva in precedente divorziato proprio a causa della malattia, nel 1963. La situazione di Nash divenne più stabile e nel 2001 si risposò con l’ex moglie. Nash aveva 86 anni al momento dell’incidente e sua moglie 82.

Russell Crowe ha twittato questo: «Sono scioccato. Il mio cuore va a John e ad Alicia, e alla famiglia. Erano persone meravigliose».


Fonte: Il Post

domenica 24 maggio 2015

L’Irlanda ha detto sì ai matrimoni gay

Una coppia a Dublino, il 23 maggio. Cathal McNaughton, Reuters/Contrasto

L’Irlanda sarà il primo paese al mondo a introdurre il matrimonio tra persone dello stesso sesso nella costituzione, grazie al referendum che si è tenuto il 22 maggio. Dal 2010 le coppie omosessuali potevano già contrarre le unioni civili nel paese. Il matrimonio ugualitario introdurrà le stesse forme di protezione per le coppie omosessuali e per quelle eterosessuali.

Fonte: Internazionale

L’Italia in guerra

Cento anni fa, l’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra. A distanza di un secolo, siamo ancora una nazione pronta a combattere?

Bersaglieri in bicicletta nel 1915 (Topical Press Agency/Getty Images)

Racconta Giacomo Properzj, in un bell’articolo sull’entrata dell’Italia nella Grande Guerra che ospitiamo oggi su Linkiesta, che alla firma del Patto di Londra, nel febbraio del 1915, il Generale Cadorna non avesse né divise né munizioni a sufficienza per i suoi soldati. In queste condizioni, con un’opinione pubblica largamente sfavorevole e con le conseguenze del conflitto, in atto da un anno, ben visibili, quella scelta fu, a posteriori, una follia. Allora, probabilmente, non venne percepita come tale. L’Europa era la polveriera globale per antonomasia e scannarsi a colpi di mortaio in nome della Nazione, per qualche chilometro di terra in più era tristemente normale.

In cento anni è cambiato tutto. Oggi l’Europa - al netto del conflitto balcanico - sta vivendo uno dei più lunghi periodi di pace della sua Storia. Stati che si erano massacrati per secoli - due su tutti, Francia e Germania - sono stretti alleati, colonne portanti di un’Unione Europea che cent'anni fa sarebbe sembrata fantascienza quanto oggi lo potrebbe sembrare un’Unione Israelo-Palestinese. Un’Unione, tuttavia, senza esercito. E che, paradossalmente, trae il suo coordinamento difensivo più dalla presenza della basi Nato (leggi: americane) che punteggiano il continente, che dalla presenza di un effettivo esercito europeo.

Nel frattempo non c'è più la leva volontaria, gli investimenti militari - in tutta Europa, non solo da noi - sono in forte calo dall’inizio della crisi e nessuno o quasi sembra interessato alla prospettiva di una difesa comune continentale. Di un esercito, se non unico, perlomeno fortemente coordinato.

Per questo, e non solo per la ricorrenza tonda, abbiamo deciso di dedicare questa domenica all’Italia in guerra. Per ricordari che le cose succedono anche se non le vogliamo. E che anche la guerra, per quanto tendiamo a negarlo, è una cosa che è sempre successa e che con ogni probabilità, presto o tardi, succederà di nuovo, seppur in forme e modi radicalmente diverse a cent’anni fa.

Esserne preparati non vuol dire certo affilare le baionette, bensì essere consapevoli che la guerra - sia essa cyber o drone o finanziaria - è pur sempre guerra. E che, nonostante il secolo tondo che ci separa da quel 24 maggio del 1915, noi siamo ancora oggi impreparati ad affrontare una simile eventualità. La speranza, ovviamente, è che le analogie finiscano qui.

Leggi anche: L'entrata dell'Italia nella Grande Guerra? Fu un colpo di Stato

Fonte: Linkiesta.it

sabato 23 maggio 2015

23 anni fa la strage di Capaci


23 maggio 2015. Sono trascorsi 23 anni dalla strage di Capaci in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Per non dimenticare...


"Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini" (Giovanni Falcone)


venerdì 22 maggio 2015

Immigrazione e accoglienza, l’esempio di un piccolo paese di montagna


di Francesco Ruffinoni

«Per prima cosa vorrei ricordare che Roncobello ha una lunghissima tradizione di emigrazione, dai nostri genitori abbiamo sentito spesso racconti di viaggi della speranza in Francia, in Svizzera o più semplicemente a Milano e, credo, che nel nostro profondo abbiano lasciato un senso di “nomadismo” per cercare migliori occasioni di vita». Le parole riportate dell’assessore Antonio Gervasoni, vicesindaco del comune di Roncobello, piccolo paese in provincia di Bergamo, collocato fra le zone più suggestive dell’Alta Valle Brembana nel Parco delle Orobie Bergamasche e a 1000 metri sul livello del mare. Parole chiare e profonde, figlie di una situazione che fa da cartina al tornasole dell’Italia di oggi.

Verso la metà di aprile, infatti, la piccola comunità di Roncobello (paese che conta circa 400 abitanti) è salita alle cronache nazionali dopo che il prefetto ha comunicato al sindaco l’arrivo di quaranta rifugiati per far fronte all’emergenza immigrazione. Questa notizia ha subito riscaldato gli animi. Quando si è saputo dell’arrivo dei migranti, infatti, il clima è diventato ostile: nella notte fra il 17 e il 19 aprile, ignoti si sono introdotti nella struttura che era preposta all’accoglienza (la casa ‘Santa Maria del Carmine’, messa a disposizione dalla fondazione Portaluppi di Treviglio e affidata, per l’occasione, alla cooperativa Ruah) danneggiandone arredamento e, soprattutto, servizi igienici. A peggiorare il clima già teso si è aggiunta, poi, la politica: alcuni esponenti della Lega Nord (in gran parte esterni al paese) hanno organizzato quello che è stato definito da loro stessi il ‘comitato di non accoglienza’, mettendo in guardia gli abitanti sui rischi che avrebbero potuto correre accogliendo gli stranieri (sicurezza, malattie, costi) e invitandoli a ribellarsi alla decisione del prefetto.

A quasi un mese dall’arrivo dei primi profughi e dello smantellamento dei presidi di non accoglienza, però, la convivenza fra i paesani e gli ospiti pare procedere per il meglio: molte persone di Roncobello, infatti, si sono prodigate portando vestiti per il freddo (pur essendo primavera, la struttura di accoglienza è situata ben oltre i mille metri), mentre i ragazzi del paese giocano tranquillamente insieme ai profughi presso il campo sportivo. La cooperativa che gestisce la struttura di accoglienza, inoltre, ha anche assunto due giovani del posto: un cuoco e un animatore. Ora, con la convenzione sul volontariato, i profughi inizieranno a svolgere, con gli abitanti, piccoli lavori di manutenzione stradale, pulizia dei sentieri e taglio dell’erba, perché, come tiene a precisare il vicesindaco «l’integrazione passa soprattutto attraverso il lavoro». La situazione, ad ogni modo, resta non priva di asperità: non solo per i naturali problemi che un’integrazione forzata può portare in un microcosmo abituato ai ritmi lenti e metodici della montagna, ma anche per le proteste di pochi irriducibili (e della Lega Nord) che, ancora, non si sono esaurite: «Siamo stati defraudati di dignità e rispetto», dice un portavoce del ‘comitato di non accoglienza’, sottolineando poi come, a suo parere, l’autonomia decisionale della comunità sia stata scavalcata da un’ordinanza piombata dall’alto (ignorando le dinamiche sociali e umane che caratterizzano un piccolo paese come Roncobello), assecondata dal sindaco e dal parroco.

Ma la Valle Brembana, patria della San Pellegrino, di Felice Gimondi e dei Tasso (nobile e importante famiglia che fondò il servizio postale internazionale e dalle cui fila discende il poeta Torquato) è pure la terra di Isacco Milesi: uomo dall’alta tempra morale, ricoprì la carica di podestà proprio nel paese di Roncobello e non esitò, durante la Seconda Guerra Mondiale, ad ospitare, nella propria casa, una famiglia di ebrei, salvandoli, così, dai campi di sterminio nazista. Il suo nome, oggi, è iscritto nel Giardino dei Giusti di Gerusalemme. È anche questo grande esempio di umanità, quindi, che spinge il vicesindaco Antonio Gervasoni ad affermare come lui e la comunità di Roncobello siano e debbano essere figli della cultura dell’accoglienza e della compassione, la stessa che animò il vecchio podestà: «Siamo consapevoli che i proclama teorici e filosofici spesso sono di facile intendimento ma che la realtà riserva poi imprevisti e difficoltà. Questo però non ci spaventa: i 43 profughi che tutt’ora soggiornano, sono stati ben accolti, ha prevalso il senso di responsabilità come vuole che sia una comunità aperta verso i più deboli, i bisognosi o come in questo caso, verso chi scappa dalla guerra e dalla fame».

Fonte: Diritto di critica

Falso in bilancio: cosa cambia (e come ritorna)

Con la nuova legge anticorruzione viene introdotta una pena fino a 8 anni per chi falsifica i dati aziendali. E viene superata la norma del 2001 del governo Berlusconi che prevedeva solo una multa


Ieri la Camera dei deputati ha dato via libera definitivo alla legge anticorruzione che introduce nuove, più dure, norme sul falso in bilancio: una pena fino a 8 anni per chi manipola i dati aziendali. Viene dunque superata la norma del 2011 varata dal secondo governo Berlusconi che prevedeva solo una contravvenzione e, di fatto, aveva depenalizzato gli abusi.

LEGGI ANCHE: Il Ddl anticorruzione è legge. Ritorna il delitto di falso in bilancio

FALSO IN BILANCIO, COSA CAMBIA - Come spiega Dino Martirano sul Corriere della Sera:

Le false comunicazioni sociali ora sono di nuovo un delitto punito con il carcere. Se la società è quotata, chi commette il reato di falso in bilancio rischia la reclusione da 3 a 8 anni. Se la società non è quotata, da 1 a 5 anni (quindi, in questo secondo caso, nelle indagini non sono consentite le intercettazioni). In ogni caso, si procede sempre d’ufficio a meno che non si tratti di piccole società non soggette alla disciplina fallimentare: per le micro aziende è prevista una sanzione ridotta (da 6 mesi a 3 anni). Sanzione ridotta anche nel casi di fatti di lieve entità mentre è prevista la non punibilità per illeciti di particolare tenuità.

FALSO IN BILANCIO, PUÒ BASTARE? - Ma quanto approvato ieri è sufficiente per potersi dire soddisfatti della lotta alla corruzione. Liana Milella su Repubblica sottolinea come il testo passato alla Camera sia diverso da quello originario, il disegno di legge Grasso presentato al Senato ad inizio legislatura:

Certo, il falso in bilancio ritrova la dignità di reato. Ma bastava seguire la linea Grasso per cavarsi d’impaccio. Da senatore del Pd, nel primo giorno a palazzo Madama, Piero Grasso aveva depositato il suo ddl contro la corruzione, frutto di una vita spesa da magistrato antimafia. Frutto delle decine di audizioni nelle commissioni parlamentari. C’era tutto. Il falso in bilancio intercettabile nelle sue distinzioni. Via la confusione tra vecchia concussione e nuova induzione, conseguenza della divisione dell’ex Guardasigilli Severino che ha messo a rischio i vecchi processi e crea confusione nei nuovi, la confisca dei beni per i corrotti come per i mafiosi. E ancora la “gola profonda”, il testimone di fatti corruttivi protetto come negli Usa. Fino a ipotizzare l’agente provocatore.

Insomma, si poteva dare di più. Conclude Milella su Repubblica:

Per fare tutto questo bisognava essere convinti che la corruzione è un reato gravissimo come la mafia e il terrorismo. Quindi da punire e da trattare al pari dei più gravi reati. Ha prevalso la paura politica e ha vinto il compromesso. Il risultato comunque c’è. È una mezza vittoria contro i corrotti. Poteva essere un grande trionfo.

(Foto di copertina: Ansa / Giorgio Onorati)

Fonte: Giornalettismo

giovedì 21 maggio 2015

Atletica in lutto, è morta Annarita Sidoti


È morta Annarita Sidoti, la marciatrice italiana campionessa europea e mondiale, stroncata a soli 44 anni da un male incurabile che la tormentava da diversi anni.

Annarita Sidoti è stata una delle più grandi campionesse dell’atletica italiana e una delle più vincenti in assoluto. Campionessa europea a Spalato 1990, quando aveva solo 21 anni, fece il bis nel 1998 a Budapest. Aveva vinto anche l’oro mondiale, ad Atene, nel 1997.

Vogliamo ricordare Annarita Sidoti così:

L'Isis ha conquistato Palmyra

Lo Stato Islamico ha preso il controllo dell'importante sito archeologico e patrimonio dell'Unesco di Palmyra, nella Siria centrale

Il tramonto a Palmyra, in Siria. Credit: Khaled al-Hariri

I miliziani dello Stato Islamico hanno preso il totale controllo dell'importante sito archeologico di Palmyra, che si trova nella Siria centrale.

Nella notte tra il 20 e il 21 maggio, sono rimasti uccisi oltre 100 soldati dell'esercito regolare siriano. Le truppe governative fedeli al presidente della Siria Bashar al Assad si sono ritirate e migliaia di civili sono in fuga.

--- Guarda la gallery: Le meraviglie di Palmyra

I miliziani dell'Isis controllano ora le strutture militari della città di Tadmur, dove sorge Palmyra. I reperti sono stati portati via, ma le strutture architettoniche sono a rischio.



Palmyra, nota come la perla del deserto, è uno fra i principali siti archeologici del Medio Oriente: ospita monumenti costruiti 2.000 anni fa ed è patrimonio dell'Unesco.

È la prima volta che i miliziani conquistano una città sotto il diretto controllo dell'esercito siriano.

Si teme che la conquista di Palmyra, a 210 chilometri da Damasco, possa portare all'avanzata dell'Isis verso la capitale della Siria. Lo Stato Islamico ha già preso controllo del 50 per cento del Paese, scrive Reuters.

Fonte: The Post Internazionale

mercoledì 20 maggio 2015

Ddl ecoreati, cosa cambia in 7 punti

Dopo oltre due decenni di sforzi è stato approvato il ddl ecoreati ieri al Senato. Ecco cosa cambia e cosa aspettarsi.

di Chiara Boracchi


Ci sono voluti 21 anni di fatiche da parte delle associazioni ambientaliste, ma alla fine il Decreto legge sugli ecoreati, ossia sui reati contro l’ambiente, è stato approvato. È successo ieri, in Senato, alle ore 16.30 con 170 voti a favore, 20 contrari e 21 astenuti.

Il testo sostenuto principalmente da Ermete Realacci (Pd, presidente della Commissione Ambiente Territorio e Lavori Pubblici della Camera), Salvatore Micillo (M5S) e Serena Pellegrino (Sel) è passato anche grazie alla collaborazione tra le parti politiche, che in alcuni casi hanno rinunciato alla discussione degli emendamenti rimanenti (come nel caso dell’emendamento sugli air gun avanzato dai 5 stelle) per favorire l’approvazione della legge.

Foto: © Vitadamamma.com

Ma cosa cambia, con questo decreto?

Il pacchetto approvato dal Senato introduce cinque nuovi reati, oltre a prevedere aggravanti importanti in caso di associazione mafiosa e sconti di pena per chi si ravvede, condanna al ripristino e raddoppio dei tempi di prescrizione.

1) I CINQUE NUOVI REATI
Disastro ambientale: atteso da troppo tempo, punisce i colpevoli con la reclusione da 5 a 15 anni. Si applica in caso di danni gravi o irreversibili agli ecosistemi e compromissione della pubblica incolumità. Il reato è aggravato se avviene in un’area protetta.

Inquinamento ambientale: prevede da 2 a 6 anni di carcere e una multa da 10.000 a 100.000 euro per chi “compromette o deteriora in modo significativo e misurabile la biodiversità o un ecosistema o la qualità del suolo, delle acque o dell’aria”. Le pene aumentano nel caso in cui vi sia dolo, siano coinvolte aree vincolate, specie protette o vi siano mori o lesioni gravi a persone (nel caso di lesioni plurime si può arrivare fino a 20 anni); sono ridotte per “semplice” colpa.

Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività: brutta notizia per i trafficanti di rifiuti, bella per chi segue le regole. Anche qui, da 2 a 6 anni di reclusione con multa da 10.000 a 50.000 euro per chi si disfa illegalmente di rifiuti pericolosi e materiale radioattivo (per intenderci, i rifiuti ospedalieri ne costituiscono un esempio).

Impedimento del controllo: il Ddl prevede da 6 mesi a 3 anni di carcere per chi ostacola l’accesso o impedisce il controllo ambientale di un’area.

Omessa bonifica: se dopo la condanna alla bonifica e al rispristino di un’area inquinata l’imputato non procede, può essere condannato a 4 anni di carcere.

Foto: © Getty Images

2) AGGRAVANTI Il Ddl ne prevede essenzialmente due: quella ecomafiosa, nel caso in cui ecomafiosa vi sia la presenza di associazioni mafiose o associazione a delinquere e se vi è partecipazione di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio; e quella ambientale, nel caso in cui il reato sia commesso appositamente per eseguire un delitto contro l’ambiente.

3 )LA CONFISCA In caso di condanna, il decreto prevede la confisca delle “cose” o del profitto conseguenti al reato. Se la confisca non è possibile, si deve provvedere a una confisca equivalente. I beni sono poi messi a disposizione della pubblica amministrazione competente.

4) CONDANNA AL RIPRISTINO Avviene nel caso in cui non vi sia la volonta da parte dell’imputato di bonificare e mettere in sicurezza il sito inquinato prima del processo.

5) SCONTI DI PENA Per esempio, in caso di ravvedimento operoso, cioè se prima del processo l’imputato provvede a bonificare e a mettere in sicurezza il sito inquinato e a collaborare concretamente con le autorità, il Ddl consente di ottenere uno sconto di pena dalla metà a due terzi e di evitare la confisca. In questo caso viene sospesa anche la prescrizione.

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6) SEGNALAZIONE AL PROCURATORE ANTIMAFIA Il pacchetto prevede che il procuratore della Repubblica che procede per i diritti contro l’ambiente segnali la notizia anche al procuratore Antimafia e all’Agenzia delle entrate.

7) ESTINZIONE DEL REATO Quest’ultimo punto riguarda i reati in cui non vi sia danno o pericolo in caso di adempimento a specifiche prescrizioni e al pagamento di una sanzione. La responsabilità amministrativa delle società si estende anche ai nuovi ecoreati.

Fonte: LifeGate

martedì 19 maggio 2015

Il “calcio-scommesse”, di nuovo

Questa volta si parla di Lega Pro e Serie D: c'entra un inchiesta di Catanzaro, riguarda 33 squadre e ha portato a 50 arresti

PAUL ELLIS/AFP/Getty Images

In Italia oggi sì è tornati a parlare di calcio e scommesse. La storia non riguarda però la famosa inchiesta iniziata dalla procura di Cremona, le cui indagini si sono chiuse a febbraio, ma di un’altra, nuova e diversa, che riguarda in questo caso scommesse clandestine relative a partite di Lega Pro – il terzo e più basso livello del calcio professionistico – e di Serie D, il più importante campionato organizzato dalla Lega nazionale dilettanti. La nuova indagine è partita da Catanzaro e riguarda le partite giocate da 33 squadre di Lega Pro e Serie D. La Stampa scrive che l’indagine «avrebbe accertato l’esistenza di due diverse associazioni criminali in grado di alterare i risultati degli incontri di Lega Pro e di Serie D» e ha portato a circa 50 arresti di calciatori, presidenti, dirigenti”. Tra loro ci sarebbero anche «un presunto appartenente alla cosca Iannazzo, potente clan della ’ndrangheta operante nella provincia di Lamezia Terme, e un poliziotto».


LE PARTITE COMBINATE
Sono una cinquantina i fermi emessi. La nuova indagine sul calcioscommesse (condotta dagli uomini del Servizio centrale operativo e della Squadra mobile di Catanzaro) avrebbe accertato l’esistenza di due diverse associazioni criminali in grado di alterare i risultati degli incontri di Lega Pro e di Serie D. In manette sono finiti anche due dirigenti del Monza Calcio: Mauro Ulizio (oggi dirigente Pro Patria) e l’attuale direttore sportivo Gianni Califano.

L’OMBRA DELLA ’NDRANGHETA
I poliziotti di Catanzaro hanno operato nelle province di Catanzaro, Cosenza, Reggio Calabria, Bari, Napoli, Milano, Salerno, Avellino, Benevento, L’Aquila, Ascoli, Monza, Vicenza, Rimini, Forlì, Ravenna, Cesena, Livorno, Pisa, Genova e Savona. Fra i personaggi coinvolti nell’indagine, oltre a calciatori ed ex, presidenti e dirigenti di club, figurano anche soggetti stranieri, un presunto appartenente alla cosca Iannazzo, potente clan della ’ndrangheta operante nella provincia di Lamezia Terme, e un poliziotto. Il direttore dello Sco (Servizio centrale operativo) Renato Cortese ha definito «esorbitanti le ramificazioni della ’ndrangheta non solo nei settori classici in cui operano le cosche ma anche nel mondo dello sport».

GLI INCONTRI
Era proprio indagando sulla cosca Iannazzo di Lametia Terme che gli uomini della Mobile di Catanzaro e dello Sco centrale, hanno scoperto il mondo delle partite «alterate». Ne hanno documentate ben 15 di Lega Pro e 13 di Lega nazionale dilettanti. Partite dei campionati appena terminati, mentre sono in corso i gironi di promozione e retrocessione. In tutto le squadre coinvolte sono 33. Non si può quindi parlare di «mele marce» ma di un sistema. Nelle oltre 1.300 pagine del fermo di polizia, si racconta tutto, le partite truccate, i soldi, i riferimenti.



Fonte: Il Post