venerdì 17 gennaio 2014

Quelle notizie scomparse sugli stupri in India

Certe notizie passino in sordina: se ne parla appena. Difficile non notare, per esempio, quanta poca attenzione sia stata dedicata al caso della ragazza indiana che, a fine dicembre 2013, è stata brutalmente stuprata e uccisa. Di lei non si è saputo molto: prima si è detto avesse sedici anni, poi l’età è scesa a dodici. Le uniche certezze, in questa tragica vicenda (perché è di tragedia che si sta parlando), sono la sua nazionalità (indiana) e le scabrose sevizie che, per più di una volta, ha dovuto subire.

Originaria di Bihar, la giovane, alla quale i media non han concesso neanche il beneficio di un nome fittizio, si era trasferita a Madhyamgram, vicino alla capitale del West Bengala, per studiare. Il primo stupro avviene il 26 ottobre quando, con l’inganno, Chhotu Talukdar, grossista di pesce, porta la ragazza in una casa abbandonata. Qui, insieme ad altri cinque amici, abusa di lei. I genitori della ragazza la ritrovano il mattino successivo, incosciente in un campo. I familiari si presentano subito al commissariato di polizia per denunciare l’accaduto e chiedere protezione. Ma la banda di Chhotu Talukdar, venendo a conoscenza dell’esposto, sequestra e violenta nuovamente la giovane. Il padre, per sfuggire alla persecuzione, decide di cambiare casa, spostandosi nella zona aeroportuale. Le minacce, tuttavia, continuano e la famiglia è costretta a ritirare la denuncia. Ma gli aguzzini, non paghi, trovando la vittima sola in casa, le danno fuoco. Le infezioni dovute alle ustioni si propagano e, il 31 dicembre, la studentessa muore. Qualche giorno prima di morire, in un momento di lucidità, la ragazza fa nomi e cognomi di due degli stupratori (Minta Sil e Ratan Sil).

La vicenda suscita forte indignazione: poco dopo il decesso della giovane, infatti, migliaia di manifestanti, aderenti al Partito comunista, intellettuali ed esponenti della società civile, scendono in piazza per manifestare contro l’ennesimo caso di violenza sessuale e per contestare l’agire della polizia, colpevole, secondo molti, di aver cercato di chiudere questa storia in modo sbrigativo. La violenza carnale è sempre un atto efferato, perverso e codardo. Uno scandalo contro il corpo della donna, una bestemmia contro la vita. Ma la singolare efferatezza, fisica e psicologica, che questa ragazzina ha subito, è qualcosa che inibisce il cuore e la mente. Secondo l’Hindustan Times, tra l’altro, la giovane era incinta di uno degli stupratori.

L’India non è nuova a questo genere di notizie: come non ricordare, il caso della studentessa selvaggiamente violentata a bordo di un autobus? Quanti sono, però, in una società che reprime la sessualità femminile e la vincola al giogo maschile, i casi nascosti, taciuti, depistati (spesso dalle stesse forze dell’ordine)? Quali quelli giudicati legittimi? Il ministro delle finanze Chidambaram ha fatto sapere che la commissione del governo per gli Affari economici ha approvato la proposta di installare dispositivi Gps e telecamere sui bus, a tutela delle donne. Ma un cancro che mina il nome di una nazione civile, non si cura con leggi speciali, né, tanto meno, con escamotage da quattro soldi. Bisogna educare, educare ed educare ancora: solo attraverso una cultura del rispetto, possono nascere uomini migliori. Uomini rispettosi delle loro madri, delle loro mogli, delle loro figlie ma, soprattutto, delle loro donne.

È triste constatare come nel nostro universo, bombardato incessantemente da sanguinose notizie di cronaca, uno stupro non susciti indignazione per il semplice fatto di essere “lontano”. Anche questa violenza sembra sia stata relegata a mero fatto: qualcosa alla quale si è abituati, ormai, a sentir parlare. Si sa: durante le feste, fra una fetta di pandoro e un calice di vino, a certe notizie, si preferisce non dare troppa pubblicità. Ma, forse, incominciare a discutere, con serietà e coscienza, di un problema attuale come lo stupro, potrebbe segnare il passo verso un mondo migliore.

Fonte: Diritto di critica

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