lunedì 31 gennaio 2011

Carte in regola contro le mafie

Chi l’ha detto che i professionisti sono tutti al soldo dei boss? La giornata di ieri a Modena, organizzata dal Comitato unitario delle professioni della città emiliana, in collaborazione con Libera e Libera informazione, è stata una piccola rivoluzione. Avvocati, ingegneri, commercialisti, architetti, medici, hanno sottoscritto un documento destinato a fare scuola. Un impegno concreto delle categorie professionali per contrastare il dilagare delle mafie nella provincia di Modena. «Ci hanno chiesto se abbiamo una realtà dove ci sia uno stato di grave compromissione con le mafie. La realtà modenese – ha dichiarato Pietro Balugani, ingegnere e presidente del Cup di Modena - non è del tutto compromessa. Tuttavia, la percezione che abbiamo, dovuta anche alle situazioni di regioni vicine come la Liguria o la Lombardia, ci fa capire che il corpo sociale può finire infettato dalla criminalità organizzata. Vogliamo dare senso a problematiche che ci riguardano come professionisti ma ancor prima come cittadini. Noi ci siamo e siamo disposti a fare la nostra parte nel contrasto al crimine organizzato».

I professionisti modenesi vogliono: «Contribuire attivamente a contrastare il processo di infiltrazione e radicamento della mafia – si legge nella Carta eitca – per garantire una crescita civile dell’intero Paese». Undici articoli semplici e chiari. Una chiamata professionale alle “armi” da parte di quelle categorie che, in molte indagini, risultano spesso colluse con i boss. La longa manus della criminalità organizzata, in grado di farne fiorire gli affari illeciti, garantendo ricchezza e impunità. Una situazione che ai professionisti di Modena non va affatto bene. «Il Professionista, gli Ordini e Collegi della Provincia di Modena e i loro rappresentanti – recita l’articolo 1 della Carta etica – riconoscono fra i valori fondanti della professione intellettuale il rifiuto di ogni rapporto con organizzazioni criminali». Si impegnano a realizzare una Commissione permanente con lo scopo: «Di confrontarsi e collaborare con altre realtà territoriali per garantire solidarietà, a chi dovesse risultarne vittima, contro tutte le mafie, nazionali e transnazionali, e contro ogni forma di corruzione».

Inoltre, un impegno a promuovere attività di contrasto alle mafie, come la formazione educativa nelle scuole. L’impegno a fornire “suggerimenti” legislativi agli amministratori locali e ai privati: «Che garantiscano la massima trasparenza negli appalti e nella gestione dei servizi». La promozione della crescita professionale salvaguardando, però, la sicurezza del lavoro e contrastando il lavoro nero. Infine, l’invito rivolto agli ordini professionali per controllare la condotta dei singoli iscritti. Un “vigilanza” che può portare alla sospensione cautelare se non addirittura alla radiazione di un professionista. Una svolta, quella imposta dal Cup di Modena, di assoluta rilevanza. Infatti, l’avvocato, il commercialista o il medico indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, oppure condannato con sentenza passata in giudicato, andrà in contro alle sanzioni dell’Ordine di appartenenza.

Una buona prassi che, se adottata a livello nazionale, darebbe un contributo significativo al contrasto del crimine organizzato. Sulla questione l’ingegner Balugani è fiducioso: «Ho recentemente parlato con la presidenza nazionale del Cup, che ha lodato la nostra iniziativa e di questa ne farà un’iniziativa nazionale. Per il Cup questa dovrà essere una battaglia di tutti perchè si tratta di tutelare la civiltà di un territorio, di tutto il Paese».

Un campanello di allarme per i boss che da sempre hanno utilizzato i professionisti per i propri sporchi affari. Una piccola rivoluzione culturale portata avanti dai “colletti puliti”.

Fonte: Terranews

domenica 30 gennaio 2011

Il bello è che ancora gli danno retta


Massimo D'Alema rilascia un'intervista in cui spiega per filo e per segno come si fa ad uscire dal berlusconismo, senza tuttavia menzionare il rimedio di più facile attuazione: smetterla, una buona volta, di dare retta a quelli come lui, che non hanno stroncato il berlusconismo sul nascere quando potevano farlo. E che, invece di trovare una scusa e sparire, ancora continuano a parlare.

sabato 29 gennaio 2011

Non tutto il web è una TV

Solo i fornitori di servizi media audiovisivi (in modalità lineare e on demand), cui è applicabile la recente disciplina di attuazione del testo unico dei servizi dei media audiovisivi e radiofonici (delibere AGCOM 606 e 607 del 2010) hanno l'obbligo di iscriversi nel Registro degli operatori di Comunicazione.

È questo il senso del chiarimento che l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, a seguito dei dubbi e delle perplessità emersi nei giorni scorsi, ha ritenuto di fornire agli operatori del settore attraverso un aggiornamento delle FAQ pubblicate sul proprio sito.

La FAQ n. 16 e la relativa risposta, fugano ogni dubbio: "16) Chi è tenuto ad iscriversi al Registro degli operatori della comunicazione (ROC)?

Sono tenuti all'iscrizione solo i soggetti che, rientrando nel campo di applicazione dei regolamenti, hanno ottenuto l'autorizzazione per l'effetto del silenzio-assenso o hanno presentato la SCIA. Per chi è già iscritto si tratta solo di aggiornare le informazioni già esistenti. Chi, invece, non è tenuto a richiedere l'autorizzazione non è neppure tenuto all'iscrizione al Registro, ma potrà proseguire l'attività".

Tempestivo, utile ed opportuno il chiarimento dell'Autorità che si è preoccupata - ed occorre dargliene atto - di evitare di lasciare gli operatori in una condizione di incertezza interpretativa. Le web radio e web TV che non realizzano, annualmente, ricavi superiori ai 100mila euro non sono, allo stato, dunque, tenute ad iscriversi nel ROC.

Utile anche - sebbene, probabilmente, meno risolutivo di quello relativo alla portata dell'obbligo di iscrizione al ROC - il chiarimento fornito dagli uffici dell'Autorità in relazione all'applicabilità della nuova disciplina sulla fornitura dei servizi media audiovisivi agli UGC. Si tratta di un'altra questione della quale tanto si è discusso in Rete e che, pure, ha sollevato numerosi dubbi interpretativi.

Stando a quanto, ora chiarito, dall'Autorità attraverso la risposta alla FAQ numero 21, i due regolamenti contenenti la disciplina dell'attività di fornitura di servizi media audiovisivi non si applicherebbero ai "siti che diffondono contenuti generati dagli utenti (cd UGC)" in quanto "le delibere dell'Autorità (606 e 607/2010/CONS, ndr), in piena aderenza con i principi stabiliti dalla direttiva e dal decreto, ne hanno esplicitamente previsto l'esclusione dal campo di applicazione dei regolamenti, tranne nel caso in cui sussistano, congiuntamente, due condizioni in capo ai soggetti aggregatori: sia la responsabilità editoriale, in qualsiasi modo esercitata, sia uno sfruttamento economico".

Scrivono al riguardo gli uffici dell'Autorità: "Mentre lo sfruttamento economico è facilmente individuabile, affinché si determini la responsabilità editoriale, sono invece richiesti due elementi concorrenti: l'esercizio di un controllo effettivo sia sulla selezione dei programmi, ivi inclusi i programmi-dati, sia sulla loro organizzazione in un palinsesto cronologico, nel caso delle radiodiffusioni televisive o radiofoniche, o in un catalogo nel caso dei servizi a richiesta".

Preziosa, infine, la conclusione della risposta: "Pertanto, i siti che non selezionano ex ante i contenuti generati dagli utenti, ma effettuano una mera classificazione dei contenuti stessi, non rientrano nel campo di applicazione della norma".

Con il suo chiarimento, l'Autorità sembra dunque escludere che Google, Dailymotion, Vimeo e le altre piattaforme UGC - se stabiliti in Italia - siano soggetti alla disciplina dettata dal c.d. Decreto Romani.

Il controllo di conformità dei contenuti caricati dagli utenti rispetto alle policy dei diversi operatori, così come l'eventuale successiva rimozione di taluni contenuti, dunque, non sarebbero sufficienti a riconoscere in capo alla piattaforma UGC la responsabilità editoriale che, sola, fa scattare l'applicabilità della nuova disciplina sulla TV.

Si tratta di una conclusione che chiarisce la portata della disposizione - invero piuttosto ambigua - contenuta nei due regolamenti di recente pubblicati, secondo cui "nel caso in cui sussistano, in capo ai soggetti che provvedono all'aggregazione dei contenuti medesimi, sia la responsabilità editoriale, in qualsiasi modo esercitata, sia uno sfruttamento economico" questi ultimi sarebbero soggetti alla stessa disciplina dettata per la TV.

Ad un tempo, gli uffici dell'Autorità, con il loro chiarimento, ridimensionano - o, forse, addirittura, svuotano di significato - la portata delle dichiarazioni del Commissario Mannoni, secondo il quale "YouTube fa una gerarchizzazione dei propri contenuti...anche se magari solo con il suo algoritmo e in automatico, e questo equivale a un controllo editoriale".

Bene, dunque, i chiarimenti anche se, forse - specie con riferimento alla questione relativa agli UGC - sarebbe opportuno, anche alla luce delle inopportune dichiarazione del Commissario Mannoni, intervenire direttamente sulle disposizioni contenute nei due regolamenti per fugare ogni dubbio interpretativo presente e futuro.

Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell'innovazione
www.guidoscorza.it

venerdì 28 gennaio 2011

Virus informatico Stuxnet negli impianti nucleari iraniani, si teme una Chernobyl

L’Iran rischia una Chernobyl. Gli esperti nucleari russi che stanno mettendo in funzione la centrale nucleare di Bushehr, sul Golfo Persico, si sono rivolti addirittura al Cremlino perchè convinca gli iraniani (che hanno molta fretta) ad aspettare.

I russi dicono in sostanza di non poter garantire la sicurezza della centrale a causa dei danni prodotti da Stuxnet, il virus informatico che ha colpito i nascenti impianti nucleari iraniani e che – ha scritto domenica il New York Timesè stato partorito da uno sforzo congiunto dei servizi segreti americani ed israeliani.

La storia è sul quotidiano britannico Telegraph, che dice di aver preso visione del disperato Sos inviato per iscritto dagli esperti nucleari russi al Cremlino.

Il programma nucleare iraniano è da tempo oggetto di tensioni internazionali. Secondo Israele, gli Usa e i Paesi occidentali in generale, farebbe da paravento all’intenzione di costruire una bomba atomica. Gli iraniani giurano che non è vero.

Non tocca a questo blog stabilire chi ha ragione: e in ogni caso, fosse per me, civile o militare il nucleare non lo userebbe nessuno.

Sta di fatto che – secondo la ricostruzione del New York Times – Usa e Israele, che hanno armi e centrali nucleari, hanno spedito agli iraniani il virus Stuxnet per mettere Ko la gestione informatizzata degli impianti. Missione compiuta, pare.

Le operazioni per mettere in funzione la centrale iraniana di Bushehr sono iniziate in autunno. Le autorità iraniane smentiscono i danni da Stuxnet: secondo la loro tabella di marcia, l’energia nucleare deve entrare nella rete elettrica entro l’estate.

Ne fanno una questione di prestigio internazionale – scrivono i tecnici russi nel loro Sos al Cremlino – e non sono disposti ad accettare alcun ritardo.

Sempre i russi dicono di non essere in grado di garantire l’avvio in sicurezza della centrale dopo il passaggio di Stuxnet nei computer.

Affermano che gli iraniani, premendo per far comunque entrare in funzione la centrale, non mostrano la responsabilità professionale e morale richiesta per il loro ruolo ed anzi disprezzano la vita umana. Infine, sostengono che se la Russia permettesse il proseguimento delle operazioni a Bushehr potrebbe ritrovarsi sotto accusa per un’altra Chernobyl.

Speriamo proprio di no. Ma se mai dovesse accadere, la responsabilità non sarebbe solo del mancato intervento russo e della colpevole testardaggine iraniana.

Sul New York Times il virus Stuxnet, cruciale per rallentare il programma nucleare italiano, creato da americani e israeliani

Un articolo di novembre su Italia News iniziato il processo per mettere in funzione la centrale nucleare di Bushehr

Fonte: Blogeko

giovedì 27 gennaio 2011

27 gennaio: Giorno della Memoria. Per non dimenticare...


Oggi è il Giorno della Memoria, per commemorare le vittime del nazismo e del fascismo, dell'Olocausto. Il 27 gennaio del 1945 furono aperti i cancelli della città polacca di Auschwitz e fu svelato l'orrore del campo di sterminio, delle deportazioni, del genocidio nazista che causò la morte di milioni di persone, soprattutto ebrei.

Ricordare la Shoah, conservare nel tempo la memoria di un periodo nero della nostra storia, per non dimenticare l'orrore e le vittime.

mercoledì 26 gennaio 2011

Abbassare la maggiore età: un pretesto per salvare Berlusconi

Qualche giorno fa si era parlato di abbassare la maggiore età da 18 a 16 anni. In un paese che va a rotoli è una questione prioritaria...

Ma vi siete chiesti il motivo? L'ipotesi più ricorrente, se messa in atto attraverso una legge applicabile retroattivamente, potrebbe essere quella di salvare Silvio Berlusconi dall’accusa di prostituzione minorile. Ruby, in questo modo, da minorenne si 'trasformerebbe' in maggiorenne. Più chiaro e semplice di così...

L'idea è di Gaetano Pecorella e, al primo impatto, sembrava quasi una bufala, se non fosse che a rilanciarla è sceso in campo anche Fabrizio Cicchitto.

Per caso stanno lavorando anche ad un'ipotesi per poter salvare Berlusconi dall’accusa di concussione mossa dai PM comunisti?

martedì 25 gennaio 2011

E se la fidanzata di Berlusconi fosse lei?


Avete notato che, ultimamente, quando parlano male di Berlusconi la Santanchè si agita, si indigna e soprattutto lo difende? Dite la verità: ci avete pensato eh?

lunedì 24 gennaio 2011

Berlusconi attacca ed insulta Lerner



Berlusconi non perde proprio quel maledetto vizio di telefonare in diretta e di attaccare ed insultare. Questa sera lo ha fatto nella trasmissione 'L'infedele' condotta da Gad Lerner. Massima solidarietà al giornalista per l'oscena aggressione verbale che ha subito dal Presidente del Consiglio.

domenica 23 gennaio 2011

Le cifre esatte dei tagli all’università

A quanto ammontano i tagli all’università previsti dalla riforma Gelmini? Uno studio della Federazione lavoratori della conoscenza Cgil ha calcolato le cifre esatte, sintetizzate nella tabella.

Le fonti di finanziamento si possono ricondurre grossomodo a due capitoli.

Il primo è il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO). Questo rappresenta la principale entrata con la quale gli atenei provvedono alle spese per il funzionamento del sistema accademico. Ebbene, confrontando le somme stanziate nel 2008 con quelle di quest’anno, è evidente che si è passati da 7.41 miliardi di euro a 6.57 (-11.31%), per calare ancora nel 2012 a 6.49 (-12.40) e arrivare nel 2013 con 6,45 miliardi (-12.95).

Come se non bastasse nel triennio 2008-2010 i trasferimenti effettivi, ovvero le risorse realmente assegnate, sono state inferiori rispetto a quanto stabilito e rispettivamente dell’1,75%, del 2,89% e del 2,97%. Di conseguenza le stime fatte dalla Flc Cgil sono da considerarsi al ribasso.

Nell’altro capitolo rientrano tutte le risorse per il finanziamento del piano triennale, dei servizi agli studenti, nonché del diritto allo studio. In questo caso la scure del governo è stata ancora più spietata perché, sempre raffrontando i dati del 2008 e del 2013, si evince che le somme destinate ai CUS (Centri Universitari Sportivi) passeranno da 11.19 a 5.36 milioni (-52.03%); lo stanziamento per il Piano triennale sarà decurtato di 47.5 milioni (-51.80); le risorse per il diritto allo studio caleranno da 151.98 a 77.37 (-49.09), mentre la quota destinata alle residenze studentesche passerà da 31.33 a 18.66 (-40.44).

Con queste disponibilità, inoltre, le università dovranno rispettare gli impegni presi quando potevano contare su maggiori trasferimenti e sostenere i costi per l’entrata a regime della riforma Gelmini, come ad esempio gli 11 milioni per l’adeguamento del trattamento economico dei ricercatori e i 3.5 per gli assegni di ricerca.


IL DOCUMENTO: Scarica le tabelle dei tagli ai finanziamenti del sistema universitario

sabato 22 gennaio 2011

Cuffaro condannato in appello a 7 anni per mafia

Totò Cuffaro è stato condannato in appello a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato dall'avere agevolato la mafia e rivelazione di segreto istruttorio. L'ex presidente della Regione Sicilia è già arrivato al carcere romano di Rebibbia pronto per incominciare a scontare la sua pena.

venerdì 21 gennaio 2011

La lista degli (pseudo) amici è lunga ... e io ho la nausea. Altro che invidia

A prescindere dai reati, eventualmente saranno accertati dalla magistratura, il quadro sconfortante che appare attorno a Silvio Berlusconi è decisamente squallido. Per me è solo un completamento di quanto vado sostenendo da tempo.

Abbiamo Emilio Fede, un nome un perché, il quale a quanto pare dalle intercettazioni fa la cresta sui prestiti di Berlusconi provando a racimolare in questo modo parassitario gli scarti di una persona molto più ricca di lui. Abbiamo, poi, diverse ragazze che Berlusconi pensa di aver conquistato con charme, barzellette e canzoni napoletane, ma che in realtà vanno trovando solo sistemazioni e soluzioni ai loro problemi quando non cercano soldi.

Emerge, quindi, un sottobosco di persone, di lacché e di mezze tacche che si arrabatta per cercare di ottenere qualcosa mi sa di squallido, di viscido, di melmoso: insomma sembra una stanza infestata di puzza di merda.

E questo per attenersi al caso Ruby e tralasciando tutti coloro che si affrettano a difenderlo quando fino a qualche tempo fa lo attaccavano: Capezzone è noto per aver passato gran parte della sua carriera politica ad attaccarlo, salvo cambiare idea e diventare portavoce del PDL. O sarebbe bene ricordare alcune dichiarazioni della Santanché, attuale sottosegretario; per tralasciare il cattolico-divorziato-ex comunista Sandro Bondi che avrebbe fatto pressioni e usato soldi pubblici per un film della Pavlova, tacendo dei giudizi della sua ex moglie.

La lista è lunga e francamente sono già molto nauseato. Altro che invidia.

giovedì 20 gennaio 2011

Legalità, don Aniello lascia

Cari amici, dopo lunga riflessione la prossima settimana inizierà per me un anno sabbatico, di riflessione e silenzio nel mio paese natale in provincia di Napoli. Un abbraccio a tutti e chiedo una preghiera». Sono queste le parole con le quali domenica sera don Aniello Manganiello, il parroco trasferito ad ottobre dal Rione Don Guanella di Napoli al Trionfale, quartiere borghese di Roma, ha deciso di rivolgere sattraverso il suo gruppo di facebook agli amici più cari. Un saluto che giunge amaro per coloro che avevano sperato che lui potesse ancora salvare tanti giovani della periferia Nord di Napoli da droga e camorra. Una periferia dove don Aniello è rimasto per sedici anni.

Al Rione Don Guanella il sacerdote ha guidato l’oratorio insieme ai volontari accogliendo ragazzi a rischio. Ma i vertici ecclesiastici hanno deciso comunque di trasferirlo. Ora, alla luce delle ultime dichiarazioni del prete sulla stampa, la notizia del suo periodo di riflessione. Riflessione che durerà un anno e che nasce dai frequenti dissapori del parroco, originario di Faibano di Camposano (Nola) con istituzioni e Curia. «Nella periferia Nord di Napoli c’è ancora tanto da fare», aveva dichiarato a fine dicembre su un quotidiano locale e « i sacerdoti di quelle zone non devono subire in silenzio ». Affermazione che sembrerebbero aver messo in moto la macchina censoria. Le parole del parroco hanno spinto la Chiesa di Napoli ad esprimere, ancora una volta, forti giudizi e non certo per descrivere l’eroe che per molti rappresenta.

«Non posso replicare », aveva detto qualche giorno fa al telefono don Aniello quando gli chiedemmo come mai non era giunta una sua pronta ribattuta. Lui, così combattivo ed energico ogni qualvolta c’era da parlare di Napoli, dei giovani, di Scampìa, adesso tace. Un silenzio che ha il sapore della forzatura. A confermarlo, secondo alcune indiscrezioni da verificare, una missiva invitagli dai suoi Superiori nei giorni scorsi. Poi ecco la decisione di andare in anno sabbatico. Una decisione che lascia, ancora una volta, l’amaro in bocca a chi sta dalla parte della legalità.

Fonte: Terranews

mercoledì 19 gennaio 2011

L'Italia e gli altri paesi del terzo mondo


Oggi ci sembra quasi normale ascoltare il nostro Presidente del Consiglio prendersela con i magistrati che complottano contro di lui, che indossano vistose toghe rosse e non vedono l'ora di farlo fuori. Fa parte ormai della nostra routine quotidiana tutta italiana, certo a chiunque abbia un po' di buon senso i continui attacchi alla magistratura risultano gratuiti e chiaramente infondati ma se Mr. B è ancora lì significa che quando racconta le sue bugie molti italiani ancora gli credono. Basterebbe chiedersi perchè sforna leggi incostituzionali una dietro l'altra per non presentarsi neanche in tribunale (Legge Schifani, Legge Pecorella, Legge Alfano, Legittimo Impedimento) se non ha davvero niente da nascondere. Il caso Ruby ha dato la possibilità ancora una volta a Mr. B di deliziarci con le sue “tiritere” contro i giudici parlando di “gravissima intromissione nella vita privata”, “inaccettabile schedatura degli ospiti nella casa di Arcore”, “accuse totalmente infondate e risibili”.

Tuttavia è bene sempre tenere viva e fresca la memoria e allora facciamo un piccolo passo indietro e vediamo cosa è successo nel periodo di Mani Pulite e di come l'attenzione dell'opinione pubblica e la percezione della realtà rispetto ai processi e ai magistrati fosse completamente diversa. Sono ormai celebri i cori del 1994 “Milano ladrona, Di Pietro non perdona!”, oppure “Colombo, Di Pietro: non tornate indietro!”, la gente si lanciava per strada per manifestare contro quello che stava succedendo nel mondo della politica nazionale e milanese. La peculiarità di quel periodo è che i manifestanti non erano appartenenti ad un unico pensiero politico, per la prima volta forse l'Italia si sentì politicamente unita nella lotta a favore della legalità.

Ma come fu possibile tutto questo? E' molto semplice: grazie ai mass-media. Giornali e televisioni seguivano passo per passo i processi fin dentro le aule dei tribunali facendo ascoltare in diretta le parole degli imputati ai cittadini che sono stati liberi di formarsi una propria opinione, evidentemente univoca, visti poi i comportamenti dell'opinione pubblica. E nessuno all'epoca parlava di attentati contro la privacy, complotti contro la classe dirigente, di toghe rosse, nere o azzurre, nessuno, perchè Mani Pulite era un affare di tutti, un processo di rilievo pubblico e anche oggi ci sono molti casi di tale importanza, è cambiata però proprio l'attenzione dei media. Nel 1994 tra le guardie e i ladri si scelse di stare dalla parte delle guardie. Certo, i magistrati sbagliano, non sono infallibili e ha ragione Mr. B quando dice che i giudici non pagano mai quando commettono degli errori e che questo è un grosso privilegio di cui godono in qualità di casta, ma tutto ciò non giustifica le offese ad uno dei tre poteri fondanti di uno Stato di diritto: la divisione dei poteri si insegna alle elementari.

In una democrazia l'opinione pubblica ha una funzione essenziale, è l'ago della bilancia, il termometro del crollo o del trionfo, purtroppo però essa è facilmente manovrabile attraverso i mass-media che non a caso vengono definiti in un celebre film di Orson Welles il “Quarto Potere” che proprio come gli altri tre poteri dovrebbe essere indipendente e autonomo, ma solo in Italia e negli altri paesi del terzo mondo questo non avviene, per un motivo facile facile che comincia per “conflitto” e finisce con “d'interessi”. Oggi nessuno ci fa vedere i processi di rilievo pubblico o ascoltare le dichiarazioni degli imputati e i giornali raramente seguono passo per passo le udienze dei politici, ci dicono solo “condannato Dell'Utri a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa” ma nessuno ci spiega cosa comporta quella condanna per la storia politica italiana. Ci dicono il risultato ma non ci dicono come ci si arriva, così, per farci credere che abbiamo ancora una stampa libera.

Allora la gente comincia a non farsi più domande, a chiudersi in casa, e invece di curarsi di dove vanno a finire le proprie tasse pagate, se in opere pubbliche o in tangenti, si cura solo del proprio orticello, recintato il più delle volte con un doppio filo spinato, e di conseguenza Mr. B può raccontare quello che vuole perchè tanto nessuno mai lo smentisce, può far credere che la Legge Alfano serva perchè lui deve essere lasciato libero di lavorare in pace, oppure che i magistrati ogni notte si riuniscano nelle segrete di un castello stregato per tramare altri assurdi reati contro di lui. Ma almeno questo, credo che non succeda negli altri Paesi del terzo mondo.

Mario Pagano

Fonte: Ilrenudo

Vuoi collaborare con Informare è un dovere? Puoi mandare le tue segnalazioni e/o inviare i tuoi articoli all'indirizzo e-mail andreadl86@yahoo.it

martedì 18 gennaio 2011

Ora basta. Berlusconi si deve dimettere


La domanda che mi pongo in questi ultimi giorni è la seguente: può governare un paese democratico un Presidente del Consiglio accusato di concussione e di prostituzione minorile? La risposta è assolutamente no.

In un paese normale un premier coinvolto in uno scandalo di tali dimensioni si sarebbe già ritirato a vita privata. Ma il premier è ancora lì che ribadisce la sua estraneità ed innocenza davanti a dei fatti evidenti ed utilizza i suoi media per difendersi (e non i tribunali).

La giustizia dirà se c'è concussione. Ma intanto ciò che emerge dalle carte giudiziarie è già sufficiente per riempire di vergogna un paese intero. Da qualche anno a questa parte la storia è più o meno la stessa: un primo ministro che teme le rivelazioni sulle sue notti e, cosa secondo me più grave, mente e invita le ragazze a suo servizio a mentire.

Questa vicenda è ormai sotto gli occhi di tutti, è all'ordine del giorno, è riportata da tutti i media nazionali ed internazionali (proprio stamattina ho letto un articolo del Financial Times che ci sputtana e ci ridicolizza per l'ennesima volta sempre per lo stesso personaggio...). E' diventata anche (e forse soprattutto) una problematica politica.

Ora basta. Berlusconi si deve dimettere. Ne trarrebbe vantaggio tutto il paese.

lunedì 17 gennaio 2011

Vergogna Italiana: vivono in auto da 4 anni, per loro niente casa popolare!


Solo l’ennesima vergogna Italiana!

Una famiglia di 4 persone (padre, madre e due bambini) sono al secondo posto in graduatoria per ricevere una casa popolare, ma da 4 anni aspettano invano e sono costretti a dormire in una vecchia auto, una Citroen, parcheggiata nella zona di corso dei Mille a Palermo.

Parliamo della tristissima vicenda di Daniele Amico, Maria Grazia Meschis e dei loro due figli Giusy e Mario, di otto e sei anni, costretti a questa vita da quando il signor Daniele si è ammalato e ha perso il suo lavoro di fattorino.

Per la cronaca il signor Daniele è affetto da leucemia, mentre il figlio Mario ha la microcefalia e Giusy soffre di crisi di pianto e ansia, oltre ad essere in cura da uno psicologo …

Immaginatevi cosa significhi vivere in un auto senza possibilità di lavarsi, di cucinarecon una tenda “adibita” a bagno per i bisogni primari …

E mi chiedo cosa aspettino le istituzioni ad aiutare questa famiglia sfortunata a cui va tutta la mia solidarietà!

Queste sono le vere priorità del paese e degli Italianino il processo breve o il legittimo impedimento!


Foto da Repubblica.it

Gli operai della Fiat: eroici e solitari


E così, con il 54% dei consensi, Marchionne ha vinto la sua battaglia personale. Voleva stravincere, ha rischiato di perdere. I seggi della catena di montaggio gli hanno sbattuto in faccia la propria contrarietà e non si sono piegati ad una logica che a molti è sembrata ricattatoria ed inaccettabile. I ''no'', nella loro complessità, hanno toccato il 47% dei consensi: un risultato straordinario, di fronte al quale è lecito togliersi il cappello in segno di rispetto.

La democrazia ci impone una regola: accettare quanto avvenuto. Tuttavia ogni italiano con un minimo senso di giustizia sociale non può non dire un sentito ''grazie'' agli operai di Mirafiori, agli uomini e alle donne che hanno vissuto, sulla propria pelle, un dramma senza precedenti. A Torino, a testa alta, migliaia di lavoratori hanno dato una lezione a tutto il mondo del lavoro della nostra penisola. Si può combattere e perdere, ma senza gettare al vento l'esempio. Sono persone che hanno lottato in totale solitudine, eroicamente, all'interno di un quadro politico allo sbando e incapace di dare risposte o certezze. Per questi motivi meritano un abbraccio ideale caldissimo e sincero.

Nello scatto di dignità di questa comunità di lavoratori, c'è tutta la voglia di proseguire nella strada della salvaguardia e della conquista dei diritti della collettività.

La finta fidanzata di Berlusconi: ecco il nome

Sì, è la finta notizia dell'anno, e non potevamo lasciare il finto scoop ad altri. Dopo un meticoloso lavoro di intelligence, dopo aver incrociato date, party, ospitate, dichiarazioni e papali apparizioni, siamo giunti alla seguente conclusione ... La finta fidanzata del Presidente del Consiglio non può che essere una tra queste:


[Clicca per ingrandire]

Fonte: Non leggere questo Blog!

domenica 16 gennaio 2011

Africa. Referendum Sudan: il sud a un passo dall'indipendenza


Il sud Sudan è a un passo dal diventare un nuovo stato africano.

Un nuovo stato che potrebbe nascere dal referendum che si è tenuto per la secessione del sud, a maggioranza cristiana o animista, dal nord musulmano e, che si potrebbe chiamare Nuovo Sudan o Repubblica del Nilo o Sud Sudan. Quest’ultimo è quello più gettonato anche se quello di Nuovo Sudan era nei progetti-sogni del leader storico della ribellione sudista sudanese, John Garang. Le operazioni di voto sono cominciate il 9 gennaio scorso e si sono concluse ieri 15 gennaio quando alle 18 ora locale si sono chiusi i seggi.

La chiusura ha riguardato anche i seggi allestiti nel nord per i rifugiati dal Sud, come quelli all'estero. Il processo elettorale è stato organizzato e gestito dalla Commissione per il Referendum sull'Indipendenza del Sudan Meridionale, Ssrc. Sarà questo organismo a rendere noti, ad inizio mese di febbraio, i risultati non definitivi, mentre quelli definitivi dopo il 14 febbraio prossimo. Nel frattempo si dovranno esaurire prima tutti i vari gradi degli eventuali ricorsi. Secondo i primi risultati non ufficiali del referendum la maggioranza dei sudanesi del sud avrebbero votato a favore dell'indipendenza. Un dato che confermerebbe i pronostici della vigilia che sono tutti per una vittoria del SI. Il voto però, per essere valido, doveva far registrare un’affluenza alle urne pari al 60 per cento dei 3,7 milioni di aventi diritto al voto che si sono registrati al sud e i 117mila al nord. Un dato quest’ultimo molto inferiore ai 2 milioni di residenti sud sudanesi, ma spiegabile dal fatto che decine di migliaia di sudanesi del sud si sono messi in cammino per tornare dal nord al sud e poter partecipare alla consultazione referendaria. Alla fine delle operazioni di voto l’affluenza registrata alle urne è stata tale da superare ogni previsione.

Nei soli primi tre giorni di voto il quorum del 60 per cento è stato ampiamente superato. Alla fine è stato raggiunto quasi il 100 per cento fermandosi al 90 per cento. Il referendum tenutosi in questi giorni fa parte dell'accordo di pace siglato a Naivasha in Kenya il 9 gennaio del 2005, il ‘Comprehensive Peace Agreement’, CPA, tra Khartoum e il gruppo ribelle del sud, Sudan People's Liberation Army, SPLA, di John Garang per mettere fine ad una ventennale guerra civile tra il nord e il sud. Il presidente sudanese Omar el Bashir ha annunciato che rispetterà l'esito del voto, ma ha avvertito che l'indipendenza del sud potrà causare instabilità nel più grande Paese africano. Il Paese africano non ha mai vissuto una vera pace dopo che nel 1956 conquistò l'indipendenza dagli inglesi. Da allora è stato sconvolto da due cruenti e sanguinose guerre civili combattute tra Nord e Sud che hanno provocato oltre 2 milioni di morti e migliaia di profughi. Questo referendum è stato però, macchiato dal sangue e turbato dalle violenza a causa degli scontri nel distretto petrolifero di Abyei, area contesa, per le sue risorse petrolifere, tra Nord e Sud. L'area è popolata da due tribù di diversa etnia.

I Dinkas Ngok, etnia africana legata ai Dinkas del Sud Sudan, per lo più contadini, e dai Misseriyas, normadi arabi originari del nord e vicini a Khartoum che li sostiene. Sono quest’ultimi che fomentano disordini in quanto temono, in caso di vittoria del SI, di perdere il controllo del territorio. In questa regione, sempre in base agli accordi di pace del 2005, si dovrebbe svolgere un voto separato per decidere se annetterla al nord o al sud. Un voto che inizialmente doveva svolgersi in concomitanza con quello della autodeterminazione del sud, ma che un mancato accordo tra le parti ha fatto rinviare a data da stabilire. Un rinvio che mantiene alto il livello di incertezza sulla stabilità dell'intero Sudan. Questo in quanto la regione è stata sempre considerata strategica sia per il nord sia per il sud. Un fatto questo, dovuto in quanto la regione è ricca di pascoli e di giacimenti di greggio. Una vera e propria polveriera del Paese africano a cui se venisse dato fuoco alle micce scatenerebbe una nuova e sanguinosa guerra civile. Il sud difficilmente vi rinuncerà visto che da essa dipenderà la sua sopravvivenza economica. Lo stesso vale per il nord che ne ha finora sfruttato al 90 per cento il suolo e il sottosuolo.

Solo una difficile, ma non impossibile mediazione potrà condurre ad un compromesso. Gli scontri, che già si erano verificati nelle settimane di vigilia del voto, sono scoppiati anche nel primo giorno del referendum. Sono almeno un centinaio le persone uccise nel corso di questi scontri, 40 solo negli ultimi giorni. Il ministero degli Interni del sud ha accusato il governo di Khartoum, da sempre sostenitore dei Misseriyas, di esserne, anche se indirettamente il responsabile. Come sempre accade in questi casi le autorità del nord hanno negato un loro coinvolgimento. Nonostante tutto il referendum per l'indipendenza della parte meridionale del Sudan dal nord si è svolto in modo libero, equo e credibile. Gli stessi osservatori internazionali lo hanno definito un grande successo.

Fonte: Dazebao

sabato 15 gennaio 2011

Scienze della Comunicazione: amenità contro dati


Martedì sera, a Ballarò, Mariastella Gelmini ha dichiarato che la riforma della scuola ha voluto dare «peso specifico all’istruzione tecnica e all’istruzione professionale», perché il ministero ritiene che «piuttosto che tanti corsi di laurea inutili in Scienze delle Comunicazioni (sic) o in altre amenità, servano profili tecnici competenti che incontrino l’interesse del mercato del lavoro». Infatti, ha aggiunto, i corsi in «scienze delle comunicazione non aiutano a trovare lavoro», perché «purtroppo sono più richieste lauree di tipo scientifico, lauree che in qualche modo servono all’impresa» e «questi sono i dati».

Sollecitata da molti studenti e dottorandi – alcuni arrabbiati, altri avviliti – e da molti ex studenti del settore della comunicazione che lavorano da anni, sono andata a vedermi i dati.

Ho consultato innanzi tutto quel meraviglioso strumento on line che è Almalaurea: oltre ad avere un’interfaccia di rara semplicità, ha un database che restituisce in pochi secondi (provare per credere) i risultati di qualunque ricerca. Ho poi parlato con Andrea Cammelli, direttore di Almalaurea, che mi ha inviato un suo articolo sul rapporto fra le lauree in comunicazione e il mercato del lavoro italiano, appena uscito su Comunicazionepuntodoc, n°3, dicembre 2010, pp. 35-42. Eccolo: «Laureati per comunicare», di Andrea Cammelli.

Cosa emerge dai dati? L ‘opposto di quanto detto da Maria Stella Gelmini: i laureati del settore della comunicazione lavorano in media più degli altri.

Cammelli ha confrontato la situazione dei laureati del 2008 (post-riforma 3+2), intervistati dopo un anno, con quella dei laureati del 2004 (pre-riforma 3+2), interrogati a 5 anni dalla laurea. Come premessa va detto che, data la crisi dell’ultimo biennio, la situazione del 2009, confrontata con quella del rapporto precedente, è più preoccupante per tutti, anche per coloro che escono dalle cosiddette «lauree forti» come Ingegneria e Economia.

A parte questo, dall’osservatorio Almalaurea emerge innanzi tutto che i laureati del 2004 in Scienze della Comunicazione, a cinque anni dalla laurea, lavorano nell’87% dei casi, mentre la media nazionale è dell’82%.

Anche i neolaureati triennali in Scienze della Comunicazione del 2008 lavorano più della media nazionale: 49% contro 42,4%.

Quanto alle lauree specialistiche nel settore della comunicazione (Cammelli ha preso in esame le classi di laurea in Editoria, comunicazione multimediale e giornalismo, Pubblicità e comunicazione d’impresa, Teoria della comunicazione, Scienze della comunicazione sociale e istituzionale), anche qui i dati confortano i comunicatori: 60% di occupati nel settore della comunicazione, contro il 57% della media nazionale.

Se infine guardiamo al profilo dei laureati specialistici nella stesse lauree, scopriamo che gli studenti del settore della comunicazione si laureano prima degli altri (a 26,6 anni contro i 27,3 del complesso), hanno svolto periodi di studio all’estero nel 15% dei casi (come la media degli altri), ma hanno fatto molti più tirocini e stage durante gli studi e conoscono l’inglese più degli altri.

Tuttavia le note dolenti per i comunicatori ci sono: maggiore precarietà e stipendi più bassi. Il 33% dei laureati in Comunicazione nel 2004 hanno ancora un lavoro precario, contro una media nazionale del 24%; e percepiscono uno stipendio lievamente più basso: 1.279 euro mensili netti contro i 1.328 del complesso.

Anche il laureati triennali del 2008 hanno gli stessi svantaggi: fra quelli che lavorano, il 42% è precario, contro il 40% della media nazionale; inoltre lo stipendio medio di un neolaureato in Comunicazione nel 2008 è di 973 euro mensili netti, contro 1.020 della media nazionale.

Insomma, che i laureati in comunicazione siano meno richiesti è stereotipo, non realtà.

Certo, il mercato del lavoro li valorizza meno, mantenendoli più a lungo nel precariato e pagandoli meno. Ma è da oltre dieci anni che gli studenti (e i docenti) del settore della comunicazione sopportano pregiudizi negativi sul loro conto e battute del tipo «scienze delle merendine» e «altre amenità».

Non possiamo pensare che gli stereotipi e i pregiudizi negativi non influiscano nella decisione delle imprese su stipendi e stabilizzazione del lavoro. È infatti anche a causa di questi pregiudizi che, se un’azienda fa un colloquio a un neolaureato in ingegneria bravo e uno in comunicazione altrettanto (o più) bravo, decide quasi per automatismo di pagarlo meno: l’ingegnere vale di più a priori, non perché «serve di più» all’azienda. La stessa cosa accade quando un’impresa deve decidere di stabilizzare due precari: a parità di condizioni, lo fa prima con l’ingegnere (l’informatico, ecc.) perché «altrimenti scappa».

È anche la somma e ripetizione di queste decisioni a creare un mercato di stipendi più bassi e precarizzazioni più frequenti. E il circolo vizioso è fatto.

In questo senso, dunque, l’uscita del ministro Gelmini è stata infelice: contribuisce ad alimentare un pregiudizio che nuoce a un profilo professionale di cui il mercato ha molto bisogno. Speriamo che, dati alla mano, l’uscita infelice possa quantomeno essere corretta.



Fonte: DIS. AMB. IGUANDO

venerdì 14 gennaio 2011

Berlusconi indagato per prostituzione minorile


Silvio Berlusconi è indagato dal 21 dicembre 2010 nell’ambito dell’inchiesta sul caso Ruby. Il premier sarà convocato in Procura a Milano già la prossima settimana, tra il 21 e il 23 gennaio. Nel pc della ragazza sono stati trovati video e foto.

giovedì 13 gennaio 2011

Legittimo impedimento bocciato in parte


Parziale bocciatura. E’ questo il verdetto della Consulta al termine della lunga camera di consiglio per valutare la costituzionalità della legge sul legittimo impedimento.

mercoledì 12 gennaio 2011

Il Trentino avrà una nuova provincia?

18mila sono state le firme raccolte per spostare la provincia di Belluno dal veneto al Trentino Alto Adige. Il Consiglio della Provincia pronuncerà oggi il suo verdetto. La possibilità di richiedere fusioni, separazioni o trasferimenti da parte di singoli enti, è prevista nell’art.132 della Costituzione e a essa hanno fatto ricorso i promotori del referendum. Ma perché?

Ecco le loro motivazioni, contenute nel Manifesto referendario:

1. E’ l’unica possibilità per l’intera provincia di evitare la dissoluzione come entità autonoma.
2. E’ l’unica proposta in grado di dare sufficiente forza alle comunità all’interno di una nuova collocazione amministrativa.
3. E’ la migliore tra le ipotesi di trasferimento amministrativo, poiché la regione Trentino non esiste come ente amministrativo accentrante, essa è un mero contenitore di due province autonome alle quali non viene “annessa” Belluno, che diventerebbe, invece, la terza provincia autonoma, necessariamente dotata di potere legislativo poiché la regione Trentino Alto Adige questo potere l’ha delegato alle province.
4. Questa soluzione inserirebbe la provincia in un contesto di due legislazioni (di Trento e Bolzano) attente ai problemi della montagna e capaci di proporre strumenti legislativi e regolamentari differenti, con una notevole esperienza accumulata, alla quale potremmo fare riferimento per acquisire competenze che altrimenti non avremmo a disposizione.
5. Le due province autonome si sono già dotate di Comunità comprensoriali (otto a Bolzano e undici a Trento) ed hanno già compreso come, nelle realtà montane, gli Enti amministrativi centrali sono strumenti per le diverse Comunità di valle, alle quali delegare molte delle competenze amministrative provinciali. Così l’adesione a questo modello riconoscerebbe non solo una teorica specificità della provincia ma una reale autonomia delle Comunità di valle, mantenendo una coesione amministrativa indispensabile per poter produrre politiche territoriali adeguate.
6. Il modello dei comprensori dotate d’ampie deleghe è ciò che ci serve per superare l’impotenza di amministrazioni comunali troppo piccole e quindi incapaci di produrre processi di reale autogoverno.


D’accordo con i bellunesi è il presidente della regione veneto Luca Zaia, che da convinto secessionista, dichiara:

”E’ scontato che il referendum avra’ un risultato positivo. Se fossi bellunese, assolutamente sarei della parftita. Ma la verita’ e’ che in questo modo non si risolvono i problemi. Questa rischia di trasformarsi in una guerra tra poveri. Merita l’autonomia ed il federalismo estremo tutto il Veneto, non solo una provincia”.

Fonte: Il Journal

martedì 11 gennaio 2011

“Marchionne terrorista”, nuove scritte a Torino contro l’ad di Fiat

Nuove scritte contro l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, e contro il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, sono state trovate dagli agenti della Digos a Torino.

Una scritta, tracciata con vernice di colore rosso, è stata rinvenuta sul muro di una delle entrate dei parcheggi sotterranei del Gtt, nei pressi dello stabilimento di Mirafiori: ”Terrorista è Marchionne”. Accanto a quest’ultima era tracciato il simbolo della falce e martello.

Sulla serranda della sede della Uil Scuola, in via Pisa, è apparsa una scritta tracciata con vernice nera: ”Sempre d’accordo coi padroni=Uil”. La Digos sta indagando sui vari episodi raccogliendoli in un unico fascicolo i cui incartamenti verranno trasmessi alla Procura della Repubblica. Risale, invece, ad alcuni mesi fa la scritta tracciata con vernice verde nei pressi del Lingotto, dove si trovano i vertici del gruppo automobilistico torinese (”Marchionne e Bonanni dopo il fumo arriva l’arrosto”), che fa riferimento al lancio di un fumogeno contro il segretario nazionale della Cisl.

lunedì 10 gennaio 2011

Borghezio si conferma un razzista ed un imbecille!


«Questa parte del paese non cambia mai, l'Abruzzo è un peso morto per noi come tutto il Sud. C'è bisogno di uno scatto di dignità degli abruzzesi. E' sano realismo padano». Lo ha detto Mario Borghezio al programma tv in onda su you tube Klauscondicio.

Borghezio ha offeso la sofferenza dei terremotati e il ricordo dei morti. Un peso morto per lo Stato e per gli italiani non sono gli abruzzesi, ma è Borghezio e i leghisti come lui. Si conferma un razzista ed un imbecille!

domenica 9 gennaio 2011

Rosarno,12 mesi dopo: non è cambiato nulla?

Gli scantinati con i materassi attaccati, in fila; le buste di plastica appese a far da armadi. I fogli di plastica ed i cartoni a tentare di separare un po' di intimità, l'acqua nelle taniche per lavarsi, i fornelli di fortuna, una umanità povera e provvisoria, ammassata l'una all'altra, costretti nella inciviltà. Rosarno, un anno dopo, è ancora così: i ragazzi di colore sono tornati per la raccolta della frutta, in alloggi di fortuna, a contendere il lavoro a bulgari e rumeni; 25 Euro al giorno, quando va bene, per raccogliere i mandarini e clementini nella piana.

Sembra tutto uguale ad un anno fa, alla rivolta degli immigrati africani ed alla "caccia al nero" di una parte dei rosarnesi, di un anno fa; ma non è così, qualcosa, lentamente sta cambiando, questo 2010 non è passato invano. Quella rivolta aveva reso evidente non solo il problema delle condizioni di vita dei giovani immigrati ed il loro sfruttamento lavorativo: ma anche il ruolo della ‘ndrangheta, il suo controllo del territorio; e la volontà degli immigrati di non voler piegare sempre la testa, in poche parole, aveva fatto salire agli "onori" della cronaca, la rivolta di chi era sfruttato e l'intolleranza di chi se ne approfittava del loro lavoro sottopagato.

C'era voluta la rivolta per far scattare una scintilla: la coscienza degli immigrati e la loro volontà di organizzazione. C'era voluta la rivolta per far emergere la criminalità e la sua violenza che cercava di coinvolgere i cittadini di Rosarno contro i ragazzi di colore, distruggendo anche i tavoli della mensa di Mamma Africa che assisteva da anni i giovani immigrati.

Accorsi i giornalisti e le telecamere, quasi prima di Polizia e Carabinieri, si è capito finalmente che esistono in Italia tante Rosarno, tanti luoghi di sfruttamento in nero di persone immigrate. Ma che esistono, ovunque ed anche a Rosarno, tanti cittadini che sottoposti al controllo della ‘ndrangheta e della politica locale ad essa legata, hanno tanta voglia di liberarsene. I segnali sono arrivati e sono importanti: non ultima l'elezione di una donna, Elisabetta Tripodi, proveniente dalla società civile, a sindaco di Rosarno, guidando una coalizione di Centro sinistra che sulla legalità, il ritorno a politiche di accoglienza e contro la violenza ma anche contro lo sfruttamento, ha fatto la sua campagna elettorali raccogliendo, lei donna in terra di Calabria, un ampio consenso elettorale.

Ma anche gli arresti nei clan Bellocco e Pesce, compreso i capi delle famiglie, i boss della piana di Rosarno e Gioia Tauro, anche quei ragazzotti dei Bellocco che, dopo aver visto sgomenti, il coraggio dell'oltraggio quando le loro auto di lusso erano stati presi di mira dagli immigrati, avevano scatenato la caccia al "nero" di Rosarno. Decimati i clan della ‘ndrangheta, è spuntata anche una collaboratrice di giustizia, per di più una stretta parente del clan più potente: e poi i sequestri di beni, campagne e palazzotti, esempi di un intervento della magistratura e delle forze di polizia che ha finalmente colpito nel cuore della ‘ndrangheta. Anche per questo, anzi, soprattutto per questo, a Rosarno sono scomparsi i colpi di fucile contro gli immigrati, gli agguati di notte contro i ragazzi di colore; anche per questo è ricomparsa la solidarietà dei singoli rosarnesi verso gli immigrati.

E la rivolta di un anno fa ha messo in moto inchieste su caporalato e sfruttamento, ha fatto emergere gli interesse delle aziende di grande distribuzione (supermercati e mercati generali) nella formazione dei prezzi degli agrumi e quindi nella paga giornaliera per i lavoratori.

Ma di fronte a tutto ciò che è venuto alla luce, alle operazioni di Polizia e magistratura, di fronte alle richieste della nuova amministrazione, quello che manca a Rosarno è una presenza vera dello Stato che non sia solo di giusta repressione della criminalità: sono le leggi nazionali, quella Bossi-Fini che nega ancora oggi l'integrazione degli immigrati, manca quell'intervento dello Stato che può favorire, talvolta anche a costo zero, la soluzione dei problemi abitativi e di vita quotidiana. Perché se c'è riuscita, in un paesino vicino a Rosarno, la Caritas diocesana, a maggior ragione ci può riuscire lo Stato Italiano, eliminando quindi quei problemi di sfruttamento e di mancanza di servizi igienici che alimentano la tensione di immigrati e cittadini onesti di Rosarno. Ma forse la tensione contro gli immigrati deve essere alimentata, non solo da pregiudizi e ideologismi senza senso, ma anche per motivi politici, di tensione, diciamo così, "elettorale".

Certamente, il fatto nuovo di Rosarno si è visto un anno dopo in quella manifestazione che ha attraversato la città e poi è andata sotto la prefettura di Reggio Calabria: quello striscione ben scritto e ben fatto con le due date (7/1/2010 e 7/1/2011) ed il nome di Rosarno, quelle bandiere della Cgil e quel servizio d'ordine tutto di immigrati africani . L'elemento nuovo di Rosarno e di questo anno è stato la "coscienza" ed il "sindacato", la richiesta di diritti con metodi sindacali invece di quell scoppio di rabbia che un anno fa aveva portato tanti giovani di colore a sfogarsi per le strade della città: anche perché, rispetto agli anni passati, quando nella piana di Gioia Tauro arrivavano immigrati appena sbarcati e passati per il percorso del CPT di Crotone, ora vi lavorano giovani africani che arrivano da altre esperienze lavorative, anche dal Nord ed in fabbrica, persone comunque più consapevoli dei propri diritti: e poi giovani che arrivano da Castelvolturno.

Abituati a difendere il lavoro e la loro paga da camorra e violenza criminale, da caporalato e sfruttamento perché più vicina al sindacato. Ecco dunque che la sindacalizzazione anche a Rosarno può diventare elemento di passo in avanti nelle conquiste dei diritti; ma sempre che questo percorso abbia sbocchi positivi in futuro. Soldi per realizzare l'accoglienza e poi il cambio della legge per l'immigrazione che non favorisce di certo il permesso di soggiorno per chi lavora nei campi, stagionalmente e stabilmente. E tutto nella speranza che questo favorisca un incontro con la popolazione locale, la cittadinanza di Rosarno e delle tante città dove l'immigrazione è oggi parte determinante della produzione industriale ed agricola. Per evitare che Rosarno torni agli scontri del 2010 e che si moltiplichino altre Rosarno nelle zone, perdipiù, più difficili del paese.

sabato 8 gennaio 2011

Molise, il mistero dell’emergenza rifiuti

La Regione Molise sull’orlo dell’emergenza nel settore dei rifiuti solidi urbani. Almeno così sembra vista l’ordinanza n. 392 emanata due giorni prima di Natale, il 23 dicembre, dal presidente della Regione Michele Iorio (Pdl). Con questo provvedimento urgente, pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione il 31 dicembre, viene consentito «l’abbancamento in modo provvisorio» delle eco balle prodotte con la frazione secca dei rifiuti solidi urbani, su due piazzali della principale discarica regionale. Si tratta di quella di Santo Ianni, nel comune di Montagano (Cb) che fa parte della comunità montana “Molise centrale”. Un sito nel quale una delibera della Regione, ora sospesa dal Tar, aveva previsto anche la costruzione di un «polo per lo smaltimento, il trattamento e il recupero dei rifiuti» pericolosi, tossici e nocivi.

Lo stoccaggio delle ecoballe avverrà per 45 giorni prorogabili fino a 6 mesi, in attesa dello smistamento delle eco balle in altri centri di smaltimento della regione e viene ritenuto necessario in quanto «l’attuale vasca dei rifiuti trattati ha una volumetria residua alquanto limitata». Ma per collocare provvisoriamente le balle sulle piazzole, il governatore ha dovuto emettere un’ordinanza in deroga al Testo unico ambientale, possibile solo in presenza di «eccezionale e urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell’ambiente». Ma il Partito democratico, all’opposizione in consiglio regionale, non ci sta. E denuncia «vizi di forma e carenza di motivazioni». Nel primo caso, lamenta che nell’ordinanza sia menzionata erroneamente la delibera di giunta regionale 1667 del 10 ottobre 2006 che però «tratta di impianti sportivi e non di rifiuti». Mancherebbero inoltre «le motivazioni vincolanti previste dalla legge circa le situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell’ambiente».

Visto che per andare in deroga alle prescrizioni del Testo unico ambientale che disciplina l’autorizzazione di nuovi impianti di smaltimento rifiuti «occorrono ragioni emergenziali che non si evincono dall’ordinanza del 23 dicembre». Contro l’Ordinanza n. 392 di Iorio, Michele Petraroia, consigliere regionale del Pd e vicepresidente della Commissione Lavoro del Molise, ha presentato un esposto al Prefetto, al governo e a tutte le autorità locali competenti. «Il presidente del Molise - spiega Petraroia – lo scorso novembre ha offerto la disponibilità ad accogliere e trattare nelle discariche molisane i rifiuti della Campania, non si capisce perché dopo un mese si è costretti a emanare un decreto che autorizza la creazione dei cumuli di ecoballe anche sul nostro territorio. Inoltre la comunità montana “Molise Centrale” ha inviato la nota in cui chiedeva di abbancare in via provvisoria le balle di rifiuti sul piazzale della discarica di Colle Santo Ianni di Montagano il 10 settembre, risulta difficile comprendere qual è la motivazione di indifferibilità, urgenza e pericolosità per la salute umana e per l’ambiente che ha indotto il governatore ad adottare un’ordinanza solo il 23 dicembre 2010».

A preoccupare l’opposizione c’è poi un ultima questione, forse addirittura la più importante per la salute dei cittadini. Accumulare le ecoballe nei piazzale di quella discarica, rischia di far finire il percolato in un canale poco distante dal fiume Biferno che alimenta la Diga del Liscione. L’invaso del Liscione fornisce acqua potabile a decine di migliaia di persone in tutto il basso Molise rifornendo abitazioni, esercizi pubblici e addirittura ospedali. Il 22 dicembre a causa di elevati livelli di trialometani, sostanze sospettate di creare danni epatici ai reni e al sistema nervoso centrale i sindaci di otto Comuni (Campomarino, Termoli, Larino, Guglionesi, Montenero di Bisaccia, Petacciato, Ururi, San Martino in Pensilis e Portocannone) sono stati costretti ad emanare ordinanze di divieto dell’uso dell’acqua della rete pubblica sia per bere che anche solo per cucinare, perché non conforme ai limiti di legge.

Oltre 80mila cittadini hanno passato il Natale con le autobotti della Protezione civile e le scorte di acqua minerale. E c’è chi ancora una volta tira in ballo la vicina discarica di rifiuti, accusando la Regione e l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (Arpa) di una gestione approssimata della filiera dei rifiuti. Soprattutto dopo l’arresto, il 6 dicembre, del presidente del nucleo industriale di Termoli Antonio Del Torto e di altre persone per l’illecito smaltimento di fanghi tossici sui terreni agricoli, in mare e nei corsi d’acqua. Tra cui anche il percolato delle discariche campane di Taverna del Re e Ferrandelle. Un’inchiesta nella quale risultano indagate 18 persone, compreso il presidente della Regione Michele Iorio e il direttore dell’Arpa Luigi Petracca.

Fonte: Terranews

venerdì 7 gennaio 2011

Radio Padania in Puglia. 1,5 milioni di soldi pubblici per insultare i meridionali

Sulla frequenza 105.6 in Puglia c’è qualcosa di insolito: melodie celtiche, annunci federalisti, invettive nordiste, rubriche come “Padania, sveglia!” e “Alpini padani”. Un’interferenza, magari un errore o una presa in giro? No. E’ Radio Padania che è sbarcata al Sud. Per cominciare dalla Puglia, poi si vedrà. Non mancano naturalmente le proteste dei cittadini locali che non si capacitano di come sia stata possibile una cosa del genere ma soprattutto non sopportano di venire insultati 24 ore su 24, in casa loro poi.

Ma come è possibile che una radio locale sbarchi in questo caso al Sud? Non si può fermare? Le regole sono queste. Radio Padania e Radio Maria sono le uniche emittenti riconosciute come “radio a carattere comunitario”, una speciale categoria caratterizzata da “assenza dello scopo di lucro in nome di particolari istanze culturali, etniche, politiche e religiose”. Nel 2001 il governo Berlusconi e la maggioranza di centrodestra (Lega in testa) votano una norma ad hoc per Radio Padania, che le consente di occupare gratuitamente frequenze radio con una semplice certificazione al ministero.

Un bel vantaggio rispetto alle altre emittenti che da anni non possono acquisire alcuna frequenza se non a caro prezzo. Nel 2005 inoltre il governo Berlusconi e la maggioranza di centrodestra (Lega sempre in testa) votano un’altra norma, che garantisce a Radio Padania e Radio Maria un finanziamento annuo (ora arrivato a 1,5 milioni di euro) “per promuoverne il potenziamento”. Una bella somma, considerato che tutte le altre emittenti private (poco meno di un migliaio) devono spartirsi circa 16 milioni di contributi pubblici. Diciamo che alla fine Roma non si è rivelata poi così “ladrona”.

Torniando alla questione Radio Padania in Puglia però, la situazione è tuttaltro che tranquilla. Il ripetitore padano è piazzato ad Alessano, dieci chilometri a nord di Leuca. Il sindaco Gigi Nicolardi viene tempestato di telefonate di concittadini indignati: “Ma come, consenti l’installazione nella nostra città dell’antenna per farci insultare dai leghisti? Fa’ qualcosa, rimuovila!”. “Non ho poteri per bloccarla – risponde imbarazzato – dipende tutto dal ministero”.

Nei bar monta la protesta, si costituisce un comitato cittadino, le emittenti locali minacciano esposti alla magistratura, i deputati preparano interrogazioni parlamentari, il segretario provinciale del Pd, Salvatore Capone, s’infuria: “Com’è possibile che dobbiamo ascoltare 24 ore su 24 insulti ai meridionali?”. Che fare? Nulla, è il radio-federalismo esteso al Sud. L’avanzata del transistor leghista è appena cominciata, forte di finanziamenti, appoggi e venti ministeriali a favore.

giovedì 6 gennaio 2011

Catastrofi naturali. Un 2010 da dimenticare


Le catastrofi naturali sono state particolarmente devastanti nel 2010 con 295.000 morti e ed un costo di 130 miliardi di dollari, cifre nettamente superiori alla media degli ultimi 30 anni.

Lo ha stimato oggi una delle maggiori compagnie di riassicurazione del mondo, la tedesca Munich Re. Il terremoto di Haiti a gennaio con 222.570 morti è stata la catastrofe con il bilancio più alto, seguito dall'ondata di caldo e dagli incendi che hanno flagellato la Russia durante l'estate (56.000 morti) e dal terremoto che ha colpito la Cina in aprile (2.700).

Per quanto riguarda gli eventi che hanno causato danni materiali, il peggiore è stato il terremoto di febbraio in Cile (30 miliardi di dollari, oltre a 520 morti) e le inondazioni da luglio a settembre in Pakistan (9,5 miliardi di dollari, oltre a 1.760 morti).

Nei paesi più sviluppati, l'Europa occidentale è stata colpita dalla tempesta Xynthia in febbraio (65 morti e 6,1 miliardi di dollari di danni) e gli Stati Uniti dai tornado per un totale di 4,7 miliardi. In totale, Munich Re ha contabilizzato 950 catastrofi naturali nel 2010, una cifra molto superiore alla media di questi ultimi trenta anni (615).

Nel 2010 i disastri naturali hanno fatto quattro volte più vittime della media dal 1980, 295.000 contro la media di 66.000, e sono costati 130 miliardi di dollari contro una media di 95 miliardi.

Fonte: Dazebao

mercoledì 5 gennaio 2011

Il Tg5: «Wikipedia? Una enciclopedia ideologizzata»


Il Tg5 ha deciso di iniziare l’anno con un servizio (2 gennaio, edizione delle 20) che si esprime su Wikipedia in questi termini:

- Sono sempre più gli errori che vengono scoperti
- E che non possono essere modificati e corretti
- Del resto con internét sono cambiate fonti e attendibilità delle notizie
- Quindi niente di più facile che Wikipedia si riveli piena di errori
- Di giudizi critici sommari
- Il cui valore è tutto da verificare
- In cui giudizi, commenti e dati storici non sono verificabili
- Il che ne fa una enciclopedia ideologizzata
- Che fa finta di essere libera
- Quindi invitate i ragazzi a diffidare

Conclusione: «Alla fine è sempre meglio la vecchia cara enciclopedia».

Visto che ad affermazioni tanto forti non segue uno straccio di fonte (per esempio, cosa giustifica l’affermazione «Sono sempre più gli errori che vengono scoperti»?) e che vi sono pure e semplici inesattezze (non è vero che gli errori, che pure ci sono, «non possono essere modificati e corretti» – e ora chi corregge il Tg5?) il sospetto, al contrario, è che sia il Tg5 a fornire un servizio di informazione ideologizzato. Contro la rete. Proprio quando ci sarebbe un grande bisogno di alfabetizzazione dei cittadini digitali. E, evidentemente, dei media tradizionali.



Fonte: ilNichilista

martedì 4 gennaio 2011

Salvare il mondo mangiando le cose giuste

Tra i buoni propositi per il futuro dovrebbe esserci quello di modificare le nostre abitudini, a partire dal cibo che consumiamo ogni giorno. Bisognerebbe iniziare proprio dal carrello della spesa e imparare a riempirlo con i prodotti giusti. Invece di mangiare le convenzionali pietanze, si potrebbero sperimentare nuove ricette che tutelino il nostro ecosistema. Così quando andiamo al supermercato è utile leggere le etichette, misurare la nostra impronta ecologica e chiedersi: «Facciamo a sufficienza per salvare il nostro Pianeta?». Eccovi alcuni consigli per orientarvi nella nuova dieta che salverà il pianeta.

INSOSTENIBILE

La carne
Il 2011 è stato proclamato dall’Onu anno internazionale delle Foreste. Tra i boschi e la carne esiste uno stretto legame. Gli allevamenti di bovini, necessari per soddisfare il fabbisogno dei voraci onnivori americani ed europei, stanno distruggendo gran parte delle foreste tropicali. La maggior parte della carne che mangiamo proviene dai pascoli, ottenuti distruggendo ettari di foresta pluviale, i polmoni dell’Amazzonia. Non solo mandrie, a dimezzare l’estensione boschiva c’è anche la soia. Qualcuno potrebbe pensare che la colpa è dei vegetariani che ne sono dei grandi consumatori, ma non è così. La coltivazione di questa leguminosa, circa l’80 per cento, è destinata all’alimentazione degli animali. Oltre ai danni per le foreste, i bovini con le loro deiezioni producono una grande quantità di gas metano che aumenta l’effetto serra. E vanno considerati anche il consumo di acqua, di energia fossile e di risorse, necessari a riempire il nostro stomaco di grassi animali. Per tutelare la nostra biodiversità e le foreste, dunque, è necessario diminuire il consumo di carne.

Latte e uova
Ma gli allevamenti producono anche latte e derivati. Per far posto ai pascoli, necessari a ottenere questi alimenti, milioni di ettari di foresta pluviale sono scomparsi. Il latte di mucca, inoltre, viene frequentemente contaminato con antibiotici, ormoni della crescita, erbicidi e pesticidi veicolati dal foraggio. In merito alle uova, non tutte provengono dalle stesse galline. Alcune sono costrette a crescere in gabbie minuscole, senza la possibilità di muoversi liberamente. Sarebbe giusto, quindi, comprare solo quelle sulla cui confezione sia indicato: “Allevamento a terra”.

Ogm
Per non contribuire ulteriormente alla distruzione del nostro habitat è opportuno mangiare biologico. Gli organismi geneticamente modificati non migliorano la produttività agricola e comportano gravi rischi sociali ed economici. Invece d’ingrossare le tasche della Monsanto, dovremmo arricchire le piccole aziende che ogni giorno preservano i nostri terreni, rispettando l’agricoltura tradizionale, quella che ci è stata tramandata dai vecchi contadini. Gli Ogm, invece, sono pericolosi per la salute e per l’ambiente. Preferire il biologico significa salvaguardare la biodiversità e la sovranità alimentare.

Frutta e verdura fuori stagione
In questo periodo campeggiano nei negozi e nei supermercati grandi quantità di frutta esotica. Ma quanti chilometri hanno percorso questi prodotti e quanta Co2 hanno emesso in atmosfera? Acquistare prodotti fuori stagione non è conveniente perché gli alimenti tardivi costano più del dovuto, e spesso sono di scarsa qualità. Consumare frutta e verdura di stagione e locale aiuta a sostenere la nostra economia e le relazioni con i produttori. Al supermercato dovremmo essere dei consumatori consapevoli, preservando un’agricoltura di qualità.

Acqua in bottiglia
Una delle poche cose che possiamo ottenere gratis, direttamente dal rubinetto, è l’acqua. Stranamente, però, molti amano andare al supermercato e pagarla. Il solo imbottigliamento comporta l’uso di 365mila tonnellate di PET, 693mila tonnellate di petrolio e 950mila tonnellate di Co2 equivalente in atmosfera. Per ridurre i rifiuti e difendere l’acqua come diritto, sarebbe opportuno bere quella che arriva nelle nostre case, sicura ed economica.

SOSTENIBILE

Latte vegetale

Invece di bere latte di mucca potremmo optare per quello vegetale che rappresenta una valida alternativa. Il latte di soia è ricco di proteine, si trova facilmente sugli scaffali del supermercato, sia aromatizzato (vaniglia, cioccolato, orzo) che arricchito con vitamine e calcio. Quello di riso è ottimo bevuto fresco, come quello di mandorla. Il latte d’avena, infine, è uno dei più nutrienti ed energetici.

Cereali e legumi
Ceci, lenticchie, fagioli e fave sono la nostra fonte di proteine, ne contengono quasi il doppio rispetto alla carne. Secondo la Piramide Alimentare della Società scientifica vegetariana (SSNV) è necessario consumarne 5 porzioni al giorno (ma la quantità dipende dall’età, dal sesso e dal livello di attività fisica). I legumi, inoltre, sono ricchi di calcio, ferro, vitamine del gruppo B e D e acidi grassi omega-3. I cereali, meglio se integrali, in molti Paesi rappresentano l’alimento principale per l’intera popolazione. Miglio, segale, farro, kamut, quinoa apportano molte sostanze nutritive all’organismo.

Frutta secca
Per molti la frutta secca rappresenta un attentato alla forma fisica perché ricca di grassi e zuccheri, ma in realtà una manciata al giorno offre un valore energetico molto alto. Rappresenta, inoltre, un rimedio naturale contro il colesterolo. A beneficiarne di più, infatti, sono le persone che hanno alti livelli di Ldl e quelli che mangiano troppa carne rossa. Sebbene piccoli, questi semi sono ricchi di proteine, fibre, sali minerali, vitamine e altri principi antiossidanti.

Frutta e verdura fresca
Le verdure crude vanno consumate all’inizio di ogni pasto in modo da assumerne tutti i nutrienti. A foglia verde o di colore giallo-arancio sono la principale fonte di vitamina, in particolare A, E e C e anche di calcio, ferro, potassio, acido folico e fibre. Dovrebbero essere la base di ogni tipo di dieta così come la frutta fresca, ricca di vitamine, fibre, potassio, calcio e ferro.

Alghe
Agar-agar, arame, dulse, hijiki, kombu, nori, spirulina, wakame: sono alcuni nomi delle varietà di alghe che ogni giorno potremmo aggiungere alla nostra dieta. Lasciate in ammollo per alcuni minuti, una volta reidrate possono essere abbinate a cereali, legumi e verdure. Questi organismi, che crescono nelle profondità marine o nei luoghi di acqua dolce, sono ricchi di proteine, enzimi, oligoelementi, aminoacidi, clorofilla, vitamine e sostanze minerali.

Fonte: Terranews

lunedì 3 gennaio 2011

Inaugurato l'oleodotto Russia-Cina. Mosca punta ai mercati dell'Asia-Pacifico

Almeno 42.000 tonnellate di petrolio greggio sono arrivate in Cina da un nuovo oleodotto che collega l'Estremo oriente russo al nord-est della Cina, inaugurato ieri.

La condotta petrolifera, che collega la città russa di Skovorodino, nella regione del fiume Amour, e la città cinese di Mohe, termina a Daqing nel nord-est della Cina. Secondo Pepeline branch of Petro Cina (Pbpc), l'operatore della tratta cinese dell'oleodotto, in tutto a gennaio in Cina attraverso le tubazioni dalla Russia o dovrebbero arrivare 1,32 milioni di tonnellate di petrolio.

L'oleodotto è lungo quasi 1.000 km (72 km in Russia e 927 in Cina) e dovrebbe trasportare 15 milioni di tonnellate di greggio all'anno dal 2011 al 2030, nel quadro di un accordo firmato tra Mosca e Pechino che trasforma la problematica frontiera dell'Amour, dove ai tempi dell'Urss e di Mao non mancarono scaramucce e scambi di fucilate e minacce, in un hub petrolifero-gasiero per trasportare gli idrocarburi dello Stato-mercato-energetico russo verso l'assetata crescita cinese e i rampanti mercati dell'Asia-Pacifico. L'oleodotto è solo una sezione della pipeline russa Siberia Orientale-Oceano Pacifico, lunga 4.000 km, che va da Taishet, nella Siberia Orientale al porto sul Pacifico di Kozmino.

Il petrolio è cominciato a fluire nell'oleodotto cinese dopo che alle 11,50 (ora locale) di domenica, l'amministratore delegato della Pbpc, Yao Wei (nella foto) ha premuto il pulsante di avvio alla frontiera con la Russia ed ha detto solennemente in un tripudio di bandiere rosse con le cinque stelle: «L'entrata in servizio dell'oleodotto Cina-Russia rappresenta l'inizio di una nuova fase della cooperazione energetica tra la Cina e la Russia».

Il troncone cinese dell'oleodotto inizia nel paese frontaliero di Mohe ed arriva a Daqing, entrambi nella provincia dell'Heilongjiang, nella Cina nord-orientale.